Vale ancora la pena, oggi, in un mondo “disincantato”, leggere racconti fantastici? E tutto l’interesse, come nei romanzi polizieschi, sta solo nel divertimento dello sbrogliare gli indizi che portano all’epilogo? L’ultimo libro pubblicato da Gianfranco de Turris per Bietti, nella collana l’Archeometro, dal titolo Qualcosa d’altro – che antologizza una serie di racconti brevi scritti nell’arco di tre decenni – afferma un diverso principio: il “fantastico” risiede proprio nello “sconvolgimento” del reale, e nell’insolito che piomba d’improvviso nelle nostre vite, stravolgendole. Ogni periodo produce la propria, peculiare combinazione di incredibile, grottesco e mostruoso; e ogni nuova generazione cresce dando per scontati questi riferimenti. Recuperare la stranezza che emerge tra le maglie dell’ordinario significa raschiare via ciò che è familiare, vedere con occhi diversi ciò a cui assistiamo ogni giorno. Ma cosa rende così “strane” queste storie?
I racconti di Gianfranco de Turris si articolano tra l’indagine psichica e quella realista – tra il bizzarro e il sottile: l’effetto è allo stesso tempo esilarante e snervante, come se ci fosse un universo alternativo che ci tende continuamente degli agguati. È qualcosa di perturbante, un momento terrificante in cui la vita consueta subisce un mutamento assoluto, incidenti che lacerano il tessuto nebbioso delle cose che apparentemente sono sotto controllo – ciò accade quando intravediamo l’essere dietro l’apparenza, il vuoto dietro il volto di un’apparente armonia. Questo tessuto fosco della razionalità, di solito, tiene tutto insieme, perché nulla addomestica meglio della mente. O, almeno, è quanto siamo soliti pensare. Lo stile dell’autore – pieno di inquietanti allusioni e grottesche distorsioni – entusiasma perché spezza le catene di causa-effetto, costringendoci a chiederci, ad esempio: e se gli unici veri ricordi di cui disponiamo avessero avuto origine nei sogni? Quando sono accaduti quegli eventi? Quale parte di noi ha visto avvenire queste cose? E cosa stanno facendo quei settori della nostra anima mentre ci sottomettiamo a ciò che tendiamo a pensare come le nostre “vite reali”? Si accenna sempre ad una vasta architettura soprannaturale, così oscura e incomprensibile che è difficile affermarne esplicitamente l’esistenza. È un viaggio avventuroso e divertente, dinamico ma leggero, un’esperienza affascinante; chiunque ami la letteratura magica e le trame fantastiche potrà facilmente apprezzarlo. Il modo in cui le storie sono costruite riporta un’esperienza visiva superba, con la giusta quantità di dialoghi e testo, in modo che il lettore possa adattarsi agevolmente al mondo e all’ambiente. I personaggi, diversi tra loro per personalità, provenienza e convinzioni, sono introdotti al lettore in modo breve e diretto, in modo che tutto possa sembrare più familiare. C’è un potere in questo tipo di racconti che affascina presentando un mistero che getta nell’oscurità, che cade oltre la nostra comprensione, coinvolgendo il subconscio. Proprio come nella vita reale, i conti non sempre tornano, la narrazione si svolge nel modo in cui non ci si aspetta, e in quello spazio scopriamo alcune delle evocazioni più potenti di ciò che significa “essere uomo”. Le informazioni assumono progressivamente una qualità quasi luminosa: legami nascosti e discendenze intrecciate, finalizzati a rivelare un senso più grande e più profondo della complessità del mondo. Nostro fantastico quotidiano.
Una tale esperienza di lettura tende a spogliare il lettore di ogni impulso che non conduca a ciò che appare come essenziale, a far nascere nuove aspirazioni: essere sempre più fedele alle fondamenta del mondo e alla lotta per comprenderlo. Questo impulso è temperato dalla consapevolezza che non possiamo mai appropriarcene del tutto, ma questa apparente mancanza è forse la nostra vera forza.