OGGETTO: Nell'occhio del ciclone
DATA: 28 Febbraio 2023
SEZIONE: Ambiente
FORMATO: Analisi
AREA: Oceania
La calamità che si è abbattuta sulle coste neozelandesi è l'emblema del fallimento di una politica pigra, che non ha interesse a riconoscere i cambiamenti in atto.
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Una filosofia che fa i conti con se stessa, deve incontrare la realtà bruta e indiscreta. O così crede una certa filosofia realista. Maurizio Ferraris ha avuto il suo memento philosophari quando fu scosso da un terremoto in uno stanzino di albergo in Messico: là incontrò la realtà che si oppone alla soggettività e all’interpretazione. In Centro America, la filosofia realista riscoprì la preminenza dei fatti sulle interpretazioni. Se si riconoscesse la preminenza della realtà sopra ogni altra forza, la prevalenza dell’ontologia sull’epistemologia, allora si scriverebbe della brutalità del Ciclone Gabrielle. Un ciclone tropicale che discendendo dalle acque dell’Oceano Pacifico del Sud ha portato con sé venti tremendi, che hanno spazzato raccolti, tetti e animali in fuga dalla tragedia. Sulla terraferma, alluvioni centenarie hanno sommerso campi e città a un tempo. Frane di detriti e fango hanno trascinato con sé strette strade in burroni rocciosi. Fiumi di alberi – rimasugli di una silvicoltura esportata per supportare l’espansione edile della Cina –, hanno spezzato ponti in due e ridotto strutture portanti a ridicoli filamenti. Ma la narrazione realista sarebbe un faux pas da accademico. La mera accettazione racconterebbe la situazione, la devastazione, l’evento; non l’accidente per i suoi effetti.

Il ciclone è un accidente. Quanto il terremoto. L’accidentalità, per sé, scappa alla teorizzazione della scientificità accademica. L’intellettuale francese Paul Virilio ha enumerato gli accidenti che scuotono le teorie: la catastrofe naturale, il disastro industriale, il cataclisma. Gli eventi, insomma, che spingono la collettività a riflettere, poiché ogni altro evento viene messo in pausa dall’incedere prepotente dell’avvenire. Il procedere spedito della società post-industriale viene messo in questione. Il fango asciutto disteso ovunque e un marrone mare calmo è tutto ciò che rimane di una catastrofe.

Il ciclone che si è scaraventato su Aotearoa Nuova Zelanda ha, nel giro di pochi giorni, costretto il nuovo governo ha dichiarare uno stato di emergenza nazionale e a far sfollare centinaia di migliaia di persone dalle proprie case. Il governo guidato da Chris Hipkins, a seguito delle dimissioni della prima ministra Jacinda Ardern a fine gennaio, ha impiegato l’esercito nella costa Nordest del paese per fare fronte al cataclisma portato dalle centinaia di valanghe di fango e alluvioni causate da improvvise bombe di pioggia.

Sulle orme di una “filofollia”, per apprendere la magnitudine di una catastrofe naturale del calibro del Ciclone Gabrielle, viene da inseguire l’amore per un atto impensabile delineato da Paul Virilio, allora, ciò che è “inimmaginabile, impensabile”, diventa tutt’a un tratto capace di catturare l’attenzione. La distruzione portata dal cataclisma descrive lo stato malsano della nostra natura, lo stato deteriore del nostro mondo. Gli avvisi totalitari dell’ecologismo pessimista sono impraticabili per classi politiche scolarizzate da decenni di espansione neoliberale trascinata dalla combustione fossile. Sospinta dall’ignoranza, la classe politica trova più facile preservare un’opinione che riconoscere i cambiamenti. Ogni avviso urlato dalla gioventù inesperta resta lettera morta.

Allora, la “dimensione del panico” prende il sopravvento, lastricando il terreno per il sorgere di una “filosofia della vastità”. Una saggezza conscia dell’incapacità di prevedere l’accidente; una conoscenza trainata dalla “ricerca tecnoscientifica” a prevedere l’impensabile, ciò che fugge alla regola e affronta il destino avverso. Il coupe de foudre per il cataclisma accidentale attrezza il pensiero per la differenza. Poiché il passato non prepara mai la fortuna, né offre strumenti forti a sufficienza alla memoria per ricordare che cosa è stato e che cosa potrà venire. Un accidente, quale il ciclone che ha devastato le coste neozelandesi diventa spesso un coupe de grâce. Un manrovescio abbattuto su volontà stanche: i risultati dovrebbero essere dimissione en masse dalla politica – inseguendo le decisioni di Nicola Sturgeon e Jacinda Ardern. Il disastro naturale è un avvenimento che costringe a cambiare i connotati alle abitudini, un evento che, con la sua distruzione, porta una rivoluzione delle strutture scientifiche e delle istituzioni atte a prevedere i cataclismi naturali.

Gli accidenti materiali, che nulla sanno di mimesi né di apprendimento dal passato, rinfacciano alla società una mancanza di talento alle redini del potere e una ignoranza della disfatta ecologica della politica. L’accidente è un privilegio per una società che vive nell’istante dell’accadere: la civiltà che ha compreso l’immediatezza degli eventi, ha catturato la mancanza di preparazione che i Paesi di tutto il mondo stanno patendo di fronte all’arrivo forsennato di una potenza distruttiva. Gli oceani surriscaldati evaporano in mille lacrime sui visi delle persone colte di sorpresa dall’accidentalità delle catastrofi; ma una classe politica capace dovrebbe comandare preparazione alla sofferenza che lo sviluppo post-industriale disastroso ha lanciato sulle popolazioni. Il disastro non insegna, tuttalpiù rinfaccia.

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