In tempo di pace, o meglio dire in luogo di pace, il reporter deve trasformare i suoi sogni in racconti. E raccontare i suoi sogni. Il fronte letterario diviene la sua frontiera. Non esiste niente oltre al racconto, l’obiettivo diventa raccontare quello che si vede, ciò che si vive – si vive e si vede per poter raccontare. Il racconto dei racconti, The tale of tales diventa la narrazione della vita per come è vissuta. L’eccezione è la vita vissuta.
I cunicoli della tradizione si aprono sui grattacieli dell’avvenire. Scalinate e gradini nascosti assaltano la collina di Kilburn e si inerpicano sul Mount Victoria. Il vento caldo strilla lungo i bordi della strada. La marea sale e fa sobbalzare qualche barca, le onde sono spinte da lontano, dal ruggito del vulcano tongano – l’eruzione del Hunga Tonga-Hunga Ha’apai ha spaventato qualche marinaio urbano e messo in allerta tsunami la Nuova Zelanda.
La natura è crudele e non più sublime. Essa è in rivolta. Eppure, Aotearoa Nuova Zelanda è meta naturalistica. Il Dipartimento di Conservazione (DOC – Department of Conservation – Te Papa Atawhai) è il braccio del governo atto a mantenere vivida tale attrattiva. Agenzia governativa adibita a preservare la naturalità dell’isola occidentale più a oriente di tutte, DOC ossiede centinaia di rifugi sparsi per il paese ed è l’attore istituzionale che preserva una cultura kiwi sempre alla ricerca della vita all’aperto.
Partner strategico in progetti come quello di ZEALANDIA – Te Māra A Tāne, DOC è un attore culturale che produce conservazione. Nel santuario selvaggio incastonato nel recinto urbano di Wellington, la visione-a-500 anni è di restituire al terreno la sua forma pre-umana. Questa, da un punto di vista ambientale e conservazionista, è la scelta più coraggiosa: ammettere che la terra guadagna dignità dall’estinzione volontaria della specie umana. Rimuovendo l’essere umano da un terreno, non si può più dire che vi siano degli effetti avversi delle azioni umane su quello — ecco il trionfo dell’ambientalismo onesto! L’unica conservazione che va fino in fondo pratica la preservazione della natura tout court. L’ecosantuario barricato da una recinzione anti roditori è un progetto con ambizioni di conservazione, che vuole preservare l’integrità della flora e della fauna di Aotearoa – come il tuatara, un relitto antico 65 milioni di anni ed endemico della Nuova Zelanda. Il progetto afferma che ciò che è da riscoprire, da preservare, da adorare è la natura incontaminata: la natura come essa è stata. La natura allora riceve protezione e viene conservata, recintata, stretta, limitata – per far sì che essa viva. La conservazione si tramuta quindi in un salvataggio, in un fine: la restaurazione della natura è un rimedio alle intemperie umane. L’eccesso di novità, d’altronde, stempera la bellezza che coglie all’improvviso: l’inusuale inaspettato sovrasta, avvolge, cattura.
La Nuova Zelanda è una nazione livellata dalla mancanza di un passato culturale, la storia diventa così tutta naturale. La storiografia non può scavare oltre i Moriori, un gruppo di coloni proveniente dalle isole polinesiane, che visse nelle Isole Chatham dal XVI secolo fino allo sterminio da parte dei Māori nelle Guerre del moschetto. Aoteaora è un paese dove la nobiltà non ha accumulato larghe masse di terra – tuttalpiù i meglandlords possiedono mucchi di case nelle grandi città come fonte di reddito. Non vi è una classe che prevale sulle altre in quanto a ricchezza superficiale. La terra può essere posseduta per diritto dagli iwi (tribù Māori discendente da un antenato comune e associata ad un determinato territorio), che la lascia in concessione a chi la vuole proteggere. Oppure la terra è posseduta per acquisizione.
L’aristocrazia, al massimo, viene importata dall’estero. Le politiche rivolte ad attirare gli investitori sono ormai comuni di qualsiasi governo, che sia National o Labour non importa: de-tassazione degli investimenti e ‘svendita’ dei visti. L’individuo viene visto secondo il suo valore economico e può di conseguenza ottenere la cittadinanza, o la residenza, a seconda di quanto vuole investire. Oltre questa, vi è poi un’aristocrazia dei viaggiatori. Le classi privilegiate si possono permettere di lasciare l’isola, andando a studiare in college europei, nel Regno Unito, o negli Stati Unit; oppure abbandonano l’isola per un periodo di tempo limitato: viaggiando e riportando il mondo nella più grande delle isole del Pacifico.
Durante il periodo di lockdown, intenso, tremendo, i kiwi si sono ritrovati costretti tra il Mare della Tasmania e l’Oceano Pacifico. Isolata dal resto del mondo, ancora oggi le frontiere della Nuova Zelanda sono chiuse e gli ingressi ristrettissimi – se non per le Isole Cook, protettorato della Nuova Zelanda. Per paura della variante Omicron, sono state impedite ulteriori prenotazioni per le strutture ricettive: hotel gestiti dal governo in cui chiunque voglia entrare nel paese deve spendere un periodo di 14 giorni di quarantena. Un’isola fredda, semi-antartica viene trasformata dall’isolamento nella terra più fruttuosa e lussuriosa del mondo. Aotearoa rappresenta ormai il paradiso in terra, il sogno delle super-elitè che tutto possono permettersi, di costruirsi bunker anti-atomici quanto resort (come Peter Thiel sta cercando di fare a Queenstown).
«The taste of the people is conservative», sostenne Emerson a proposito degli inglesi. Eppure, quelle parole sono così attuali per i discendenti dei coloni del Regno Unito. L’economia della nazione è portata avanti dai possessori di fattorie, vera spina dorsale della Nuova Zelanda. Un’economia implosiva, spinta dall’inflazione al 5%. Gli agricoltori e le coltivatrici di bestiame mantengono in vita fattorie bucoliche e accudiscono il bestiame, producendo latte, carne di agnello e di manzo. Prodotti primari della dieta kiwi e principali beni esportati all’estero, insieme all’alluminio.
«Politeness is the ritual of society», continua il filosofo trascendentalista, come se avesse studiato alla maniera di un Jared Diamond la popolazione kiwi. La cortesia viene trascinata in ogni discorso, o incontro casuale, ai limiti della decenza; il pudore è innalzato a dispositivo di interazione sociale. La società neozelandese è sobria, l’eccesso è esiliato; il disobbediente Brian Tamaki viene incarcerato. Un’esasperata ricerca della gentilezza anima gli atteggiamenti – la cortesia è inseguita a tutti i costi, whatever it takes. In ogni parola si nasconde un disperato tentativo di essere docili, mansueti. Perché la classe politica lo richiede, perché la cultura lo comanda. Attraverso un andare-incontro senza pari, la decenza e il pudore divengono trasversali, sagittali. Forse, questa è la cultura che dovrebbe preservare il Dipartimento di Conservazione. Unica eccellenza pratica in un paese dove la cultura generale latita.
La Nuova Zelanda è uno dei paesi più istruiti al mondo, dove la media vede una popolazione istruita per 14 anni. Il che significa studi primari, secondari e terziari, o post-secondari (diploma avanzato). Tuttavia, la storia rimane una materia per privilegiati. In una nazione che non conosce il fardello e la brutalità del passato lontano – i primi insediamenti Moriori risalgono al 1500 –, tutto si trasforma in etica pratica. La conoscenza geografica è una scienza per dotti e sapienti, perché l’educazione rappresenta un canale primario per il lavoro, una pre-esperienza, un tirocinio, un praticantato; non saggezza personale, né canale primario per la scoperta del sé, o condotta di vita.
Qua esiste un confine, una possibilità. Nella lotta per il predominio, per il controllo dell’istruzione e della crescita del paese, c’è un confronto tra una declinante educazione di origine anglosassone e l’avvenire di una cultura Māori. Al di là della litania quotidiana delle morti nei sobborghi periferici, o per incidenti stradali, forse esiste una nuova possibilità per Aotearoa. Al di là dei disastri ambientali, una nuova conservazione.