Da noi la maggior parte delle volte le rivoluzioni cominciano nelle strade e finiscono a tavola. Longanesi, aveva ragione, sapeva leggere l’anima del popolo italiano, ma guai a sottovalutare l’Italia come realtà secondaria del Grande Gioco. Solitamente quando le strade di diplomatici, capi di Stato, rappresentanti di governi stranieri o agenti segreti, portano a Roma, è proprio a tavola che cominciano gli intrighi internazionali. Giuseppe Conte, apparentemente un neofita della politica, lo ha capito fin da subito. Ed è il motivo per cui l’attuale premier, a differenza di tutti i suoi predecessori, si è tenuto la delega ai servizi segreti. Berlusconi diede l’incarico a Gianni Letta, Mario Monti a De Gennaro, Enrico Letta e Matteo Renzi a Minniti, Gentiloni a Pizzetti, mentre Conte si è tenuto per sé “l’antica arte del dossieraggio” come ricorda anche l’ex ministro Rino Formica intervistato di recente sul Quotidiano Nazionale. Una strategia raffinata, di un uomo consapevole del peso e del valore delle informazioni riservate in un Paese, che nella diplomazia profonda, resta uno dei più importanti al mondo. E a volte una semplice informazione riservata, può salvarti la vita (politica). Il tweet di Donald Trump “pro-Giuseppi” durante le consultazioni al Quirinale, prima del governo Conte II, arrivò proprio nel periodo in cui il ministro della Giustizia americano Barr era a Roma a caccia di prove per dimostrare che la vicenda Russiagate fosse un complotto contro il tycoon. Questo dovrebbe far riflettere.
L’Italia gode di una posizione geografica che fa della sua terra un crocevia strategico, la porta tra Oriente e Occidente, il ponte che unisce Nord e Sud del mondo, ma è anche il regno dell’impossibile, dove tutto è possibile, dove i segreti diventano sigilli e allo stesso tempo delle profezie. Ma è anche luogo di Bellezza, che per sua natura resta un mistero divino, è un elemento imprescindibile, una cornice ultraterrena, capace di trasformare un viaggio in un assalto, un lavoro in una missione, un appuntamento in una cospirazione. Roma è la Base per eccellenza. Un covo di cellule dormienti, di agenti silenti, di coperture nemmeno troppo ricercate. Tutti sanno, dunque nessuno sa. Il silenzio, quasi omertoso, è un codice non scritto, una cupola immaginifica che fa da garante a coloro che operano sottotraccia. Per questo non sono mai piaciuti i leader troppo rumorosi. È un gioco di equilibrismi, dove si pratica l’arte della dissimulazione, è un cavallo su cui si sale e si scende, un fuoco che scalda ma che brucia, se non si è all’altezza del compito.
Nessuno alla fine è mai al sicuro. Nemmeno Giuseppe Conte, che fino a qualche mese fa, sembrava intoccabile. Ora che Joe Biden si appresta a diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti, e l’Unione Europea ha trovato l’accordo sul Recovery Fund, la dialettica politica italiana, dopo una lunga interruzione a causa dell’epidemia, sta tornando di prepotenza. Complice la progressiva transizione che porta il Paese dalla gestione dell’emergenza alla ricostruzione con i 209 miliardi di euro concordati da Bruxelles. C’è grande movimento nelle centrali nazionali di potere. Tutti i player adesso che le carte sono sul tavolo, scoperte, si preparano al loro turno. Il “rimpasto” di cui parlano i mezzi d’informazione è in realtà soltanto “l’albero che nasconde la foresta”. I veri protagonisti, nello scacchiere italiano sono soltanto loro: Matteo Renzi, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. Il capo di Italia Viva può giocarsi lo sponsor Biden dato che ora Washington potrebbe voler riprendere in mano le sorti dell’Italia, cruciali per gli equilibri europei oltre che per sbarazzarsi dell’attivismo di russi e cinesi. In questa logica, l’attuale ministro degli Affari Esteri, potrebbe diventare un perfetto alleato, anche a costo di cedergli il ruolo da presidente del Consiglio. Non solo per fare uno sgambetto all’attuale premier, ma anche per liberare il posto alla Farnesina.
I canali privilegiati di Renzi con la nuova amministrazione statunitense consentirebbero la ricostruzione di un asse italo-americano post-Trump seppur all’interno di una “dottrina Trump” rinnovata. Non a caso lo stesso Biden ha chiamato per ultimo il premier italiano, ben quattro giorni dopo le telefonate con Macron, Merkel e Johnson (avvenute lo stesso giorno). Giuseppe Conte, oltre ai servizi, si è giocato il tutto per tutto con l’Unione Europea. Da qui la volontà di gestire autonomamente i soldi del Recovery Fund e incassare il consenso popolare dopo la primavera. Ancora una volta il destino dell’Italia si gioca fuori dai confini nazionali. Di preciso nello scontro tra Europa e Stati Uniti. Se Joe Biden decide di rompere con la dottrina anti-europea di Trump, Giuseppe Conte verrebbe sacrificato, persino da Bruxelles, se invece avvenisse il contrario allora l’Ue potrebbe salvare Giuseppe Conte per rinsaldare il fronte europeo e portare avanti la sua agenda strategica autonoma (come vorrebbe Emmanuel Macron). La domanda che dobbiamo porci per capire il nostro futuro è la seguente: quella di Trump era l’avanguardia di una visione americana, già definita, a lungo termine oppure è stata la volontà di potenza e di espressione di un uomo solo al comando?