Per comprendere le reazioni seguenti al discorso tenuto ad aprile da Mario Draghi non si può prescindere dalla ricostruzione dei fatti storici che ne hanno consentito la realizzazione. Nello specifico, bisogna risalire alla volontà politica dell’attuale presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che nel corso della relazione sullo stato dell’Unione europea a fine 2023 di fronte al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria annunciò di voler affidare a Mario Draghi l’incarico di redigere un piano contenente le linee guida sulle sfide prossime dell’Unione.
In particolare, il consulente Draghi si sarebbe dovuto concentrare su tre sfide: lavoro, inflazione e contesto imprenditoriale. Assolto il compito, preparato il paper nella forma di una relazione dettagliata sulla competitività dell’Ue, Draghi si è immedesimato nella parte del consigliere, senza allusioni né accenti o venature squisitamente politiche. Per coloro che lo conoscono, infatti, il silenzio tenuto a seguito di quella che avrebbe potuto tranquillamente essere considerata una prolusione accademica, non priva certamente di coloriture politiche (se per politica deve intendersi la costruzione di indirizzi ed azioni finalizzate al bene di uno Stato ed alla selezione e cura dei suoi interessi vitali), è sintomatico del disimpegno all’assunzione di qualsiasi carica. La visione di Draghi potrebbe essere la fonte di ispirazione per un programma di governo dell’Ue per i prossimi cinque anni con obiettivi concreti ed effettivi.
Non sono mancate reazioni di tenore opposto al suo discorso, sia in Italia che in Europa. Troppo vicino è l’impegno delle elezioni di giugno e tutti i leaders, di partito e istituzionali sono esposti. Secondo la premier Giorgia Meloni, Draghi potrebbe avere un occhio di riguardo per il nostro paese. L’ufficio stampa di Palazzo Chigi, però, ha ribadito in una nota che “qualsiasi contatto o negoziato volto a definire i futuri assetti dei vertici politici dell’Unione potrà avvenire solo dopo le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo“. Più fredda e distaccata, invece, è stata la reazione di Matteo Salvini, che alla domanda diretta su cosa pensasse dell’eventuale nomina di Draghi è rimasto ondivago.
Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, ritiene, invece, che l’ex premier sia la persona giusta al posto giusto nell’Unione europea:
«È una buona notizia – ha affermato Tajani -. Noi siamo stati al governo con lui ed è stato un eccellente presidente della Bce, è uno degli italiani più autorevoli nel mondo, una risorsa della Repubblica, ed è un bene che sia stato scelto per lavorare sulla competitività, settore per noi molto importante. È l’uomo giusto al posto giusto.»
Tajani, però, ci ha tenuto a precisare che l’indicazione del candidato presidente della Commissione europea spetta al partito di maggioranza relativa. E Draghi, va detto, non è iscritto ad alcun partito o gruppo europeo.
I più entusiastici sostenitori della Presidenza Draghi sono sicuramente Calenda e Renzi. Critico e caustico è stato Mario Monti che nel suo libro Demagonia imputa a Draghi la paternità delle politiche draconiane e austere, come il Fiscal Compact. La leader del PD Elly Schlein ha detto no all’ipotesi di sostenere Mario Draghi come futuro presidente della Commissione europea. La Segretaria del Partito democratico ha ricordato che alle elezioni europee i socialisti sostengono la candidatura di Nicolas Schmit. “Questo non toglie stima e considerazione per il profilo, ma come gruppo dei socialisti abbiamo un solo candidato”, ha tagliato corto Schlein.
Si è subito detto che questo sia un intervento da candidato alla guida della Commissione più che di un tecnico. Le voci più insistenti sembrano accreditare come sempre più fondata l’ipotesi di un incarico solo che in una prima fase si vociferava che la candidatura, alternativa al von der Leyen bis, potesse essere sostenuta soprattutto dall’ECR e da una fronda del Ppe, nei giorni scorsi il sostegno parrebbe giungere anche dal Presidente francese Emmanuel Macron e dal suo partito Renaissance che aprirebbe a una candidatura supportata anche da Renew Europe.
“Mario Draghi dovrebbe essere il prossimo presidente del Consiglio europeo”. Non al vertice della Commissione al posto della spitzenkandidat Ursula von der Leyen, come da rumor delle scorse settimane ma come successore di Charles Michel alla testa dei capi di governo dell’Unione. È quanto si legge in un editoriale pubblicato sul sito dell’Atlantic Council, uno dei principali think tank americani, firmato dal senior fellow Mario De Pizzo.
Nell’uno o nell’altro caso, però, la proposta dovrebbe partire per ragioni tecniche oltre che politiche da un esponente del partito di maggioranza relativa (che stando ai sondaggi dovrebbe essere il PPE). Il fronte interno è spaccato tra i sostenitori, anche se pochi, di una nuova esperienza di coalizione a guida von der Leyen, scelta come candidata alla Commissione il 7 marzo 2024 a Bucarest al congresso di partito. C’è chi invece ritiene che proprio la Presidente abbia dato avvio alla successione indicandolo come consulente a settembre 2023. Sarebbe ora in corso la costruzione di un’ampia piattaforma di consenso per sponsorizzare la candidatura dell’ex premier italiano. Orban, Tusk e Mitsotakis sarebbero a favore.
Chi nel PPE osteggia la candidatura possibile di Draghi a Presidente del Consiglio europeo è certamente Viktor Orban. Secondo i Trattati, a subentrare a Charles Michel, dal primo luglio 2024 se non si dovesse trovare un candidato dopo le elezioni, sarebbe proprio il presidente di turno dell’Unione, l’ungherese Viktor Orban. Pare proprio che l’ex presidente del Consiglio italiano sia maggiormente interessato al Consiglio europeo e non alla Commissione. Oltre a Orban, le cui dichiarazioni pro Draghi sono apparse sincere e tempestive, il problema può derivare da altri candidati che in questo momento se non più forti, sembrano avanti, vale a dire il presidente del PPE Manfred Weber e il Commissario europeo per il mercato interno e i servizi Thierry Breton.
Draghi, certamente, ha un peso specifico suo proprio, questo è indubbio. Ma rispetto ad altri nomi in lista non fa parte di nessuno dei grandi partiti politici europei e questo è un fattore non trascurabile nella nomina del presidente del Consiglio europeo (come di altri ruoli istituzionali). Tanto che lo stesso Financial Times cita tra gli altri possibili candidati anche i premier di Spagna e Danimarca, Pedro Sanchez e Mette Frederiksen, che rispetto a Draghi avrebbero invece il sostegno politico dei socialisti. Addirittura, c’è chi all’interno del PPE sta valutando l’ipotesi di Roberta Metsola come Presidente della Commissione Ue e di Draghi come Presidente del Consiglio Ue, lasciando al secondo partito o gruppo l’indicazione del nome per il ruolo di Presidente del Parlamento Ue in una logica di coalizione.
Dunque, se per la Presidenza della Commissione il percorso è in salita, potrebbe risultare meno complesso portare Draghi alla Presidenza del Consiglio d’Europa. Un ruolo di primo piano, forse meno incisivo di quello di capo della Commissione europea ma che ha maggiori doti di mediazione visto che riunisce i leader dell’Ue per definire l’agenda politica dell’Unione e rappresenta quindi il livello più elevato di collaborazione politica tra i paesi dell’UE, quello che delinea anche gli indirizzi. Insomma, il luogo ideale nel quale applicare i temi che ha affrontato nel suo ultimo intervento.