OGGETTO: L'Europa incompiuta
DATA: 22 Novembre 2024
SEZIONE: Difesa
FORMATO: Analisi
AREA: Europa
Le crisi non attendono, la carta patinata esprime solo un moto dell'animo che, guardando ad un unico aspetto, quello del business, tralascia prospettive operative, tempistiche, fattibilità. L'Europa - anche leggendo l'European Defense redatto dal Boston Consulting Group - si scopre più indifesa e meno coesa che mai in un momento in cui i ritardi appaiono incolmabili e la politica assurge allo stato di pura impalpabilità.
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Domanda facile facile: cos’è che alimenta il corso degli eventi sì da portarli ad ardere? Un aiuto per i giovani romantici e struggenti: guerra, denaro e concorrenza. Nessun volo pindarico, nessuna poesia, solo ruvida prosa. La storia più recente, così attuale da poter essere ancora novellata tra le cronache, ha riportato indietro nel tempo il vecchio continente, intaccato da eventi bellici che dell’imprevedibilità hanno fatto la loro peculiarità. Le valutazioni presentate con autorevole frequenza, tuttavia, offrono cocktail sulfurei che, o principiando da valutazioni eminentemente economico finanziarie o dando la stura ad analisi pseudo belliche, confondono acque di per sé già abbastanza torbide. Il panorama è decisamente molto più complesso, e limitarne la comprensione escludendo alcuni aspetti per privilegiarne altri è certamente fuorviante, specialmente su un palcoscenico turbolento come quello europeo.   

Non è inopportuno richiamare alla memoria le linee programmatiche del mercato unico continentale, riconducibili al solco tracciato già nel 1985 dal Libro Bianco di Jacques Delors, un documento che non solo ha impattato sul processo di integrazione politico-economica, ma ha anche indotto ad appunti riguardanti gli effetti su interessi e sovranità nazionali, favorendo alcune economie piuttosto che altre. È un dato di fatto, come è un dato di fatto che si sia giunti ad una polarizzazione economica interna all’UE, soggetto portatore di una centralizzazione decisionale sempre più spinta in un ambito che, privilegiando tecnicismi economico finanziari, ha evidenziato lacune sempre più profonde in politica estera e, last but not the least, nell’ancor più negletto contesto degli aspetti afferenti alla difesa. Proclamare una comprensibile ed ecumenica avversione alla guerra, popolare e foriera di suffragi, non ha evitato che le granate deflagrassero sì violentemente da produrre echi sempre più rimbombanti. 

L’elezione di Trump ha solo accelerato un processo di cui la Presidente della Commissione Europea Von der Leyen aveva obtorto collo già preso atto richiamandosi alla necessità diimplementare le spese securitarie, un intento condiviso anche da Roberta Metsola, Presidente del Parlamento, ma evidentemente poco recepito nelle più recondite sale di Palazzo Berlaymont, dove fronde e scontri politici si protraggono incuranti delle contingenze in atto che sembrano, invece, sospingere come brezza pericolosi refrain di appeasement in salsa sudeta. Il mercato bellico, naturalmente soggetto alle circonvoluzioni strategiche della politica industriale, si attiva in funzione dell’incontro tra la domanda, sostenuta dall’aumento del budget, e l’offerta; rispetto agli altri mercati, quello della difesa difficilmente preserva una postura neutrale verso i produttori. Le poste in gioco, garantite dai singoli bilanci pubblici, gravando sulle fiscalità nazionali, inducono governi ed imprese a tentare di tornare in possesso almeno di quota parte delle risorse investite in forma di ricavi, cosa pressoché impossibile per carenza di filiere pronte, a differenza di quelle statunitensi. Eccoci, dunque, sul molo dell’inefficienza, all’accorato addio ai mai abbastanza amati euro, vittime di una spesa priva di razionalizzazione, coordinamento, efficienza ed efficacia, cercando di evitare che gli incrementi delle tensioni politiche con le collaterali aumentate disponibilità dei vari budget, lievitati da ecumenici e tardivi timori, portino a una dispersione degli impegni o ad una duplicazione dei sistemi d’arma o all’acquisto di equipaggiamenti obsoleti.

La filosofia da guardia alla stalla vuota, induce solo ora a scelte omogenee e standardizzabili, vellicando la mitica dimensione della Ricerca e Sviluppo, un paradigma di investimento certo non improvvisabile in archi temporali ristretti. Non a caso, nessuna azienda europea compare tra i top ten dei produttorievidenziando l’insostenibilità di un confronto con l’industria yankee. Se in UE aumenta la spesa, negli USA si innalza l’export, con la conclamata incapacità europea, post invasione ucraina, di assicurare le produttività difensive nazionali. Secondo il noto principio per cui, non volendo affogare, si ingolla spasmodicamente acqua, l’UE ha dovuto acquisire equipaggiamenti non europei. Un altro problema è quello riguardante la frammentazione industriale, con la già accennata clonazione degli asset: la cooperazione difensiva tende a calare. Beninteso, la parcellizzazione produttiva era già nota da tempo e considerava come significativa la variegata collocazione geografica degli impianti, non vagliando le criticità logistiche susseguenti ad un ipotetico attacco. Bella la boiserie, bella la cassapanca, ma come movimentare agevolmente il materiale sotto incursioni missilistiche, considerando il fatto che la Military Mobility non è stata adeguatamente valorizzata?

Questo a meno che non si intenda preservare la l’Occidente tecnologico sperando che l’Est europeo resista miracolosamente. Tutto molto difficile senza integrazione e senza visioni olistiche che prescindano dalle chiacchiere da cortile. È poi il caso di stigmatizzare come gli interessi portino a collaborazioni extra perimetrali, come nel caso del GCAP (Global Combat Air Program), dove Leonardo opera con la britannica BAE Systems e la giapponese Mitsubishi Heavy Industries, secondo paradigmi che non possono dimenticare il dualismo imposto dall’Alleanza Atlantica. La UE deve dunque valutare la mutualizzazione degli investimenti, intervenendo sugli aspetti normativi volti a contenere la concorrenza interna, con la costituzione di gruppi industriali comunitari. Anche questo, diciamolo, francamente difficile, visto che l’argent est le nerf de la guerre, e che nessuno per principio condivide denaro e potere.

Roma, Novembre 2024. XXI Martedì di Dissipatio

Per decenni l’Europa ha accantonato gli aspetti securitari: a dispetto di brochure patinate propugnatrici di un’accattivante hot water discovery, ci vorranno decenni prima di riuscire a riaccostarsi alle obliate capacità, continuando a ritenere che si possa proseguire nel contare sugli USA, privilegiando gli investimenti selettivi, alla luce delle singole capacità nazionali associate a quelle americane. Benché sia tardi, è tempo per l’Europa di uscire dalla sua comfort zone e prendere atto che Washington dovrà concentrarsi altrove: con la produttività industriale, dovrà dunque essere promossa una concreta visione difensiva, mai così labile  in ritardo. Intanto la strategia produttiva deve puntare a volumi elevati ma a costi inferiori, puntando ad una industrializzazione avvedutamente specializzata, magari tentando di sfruttare le possibili economie di scala ed integrando i mercati, oppure avendo già costituito un fondo di debito capiente e realmente capace di garantire un incremento della domanda. Attenzione però: dati gli investimenti e i costi afferenti alla trascurata R&S, l’industria non può rendere profittevoli le relazioni tra l’incremento della scala produttiva e la diminuzione del costo unitario, cosa che rende i limitati prodotti europei più dispendiosi di quelli americani, con un ulteriore ostacolo frapposto da mancate interoperabilità e standardizzazione. Rimanendo in ambito finanziario, come sottolineerebbe Draghinon basta spendere di più, bisogna anche spendere meglio, con un maggior coordinamento che, come auspicato, dovrebbe raggiungere per tutti i sodali NATO il 2% del PIL. Insomma, la vecchia e gagliarda paura ha smosso meccanismi altrimenti grippati. Peccato sia un po’ tardi, visto quanto la European Defence Technology and Industrial Dependencies (EDTIB) sia limitata da una capacità da tempi di pace, inidonea per la prontezza industriale richiesta dai momenti di crisi e perciò solo ora oggetto di (tardive) attenzioni. 

Sospinta da una delle più potenti emotività, il timore, nel paniere dei buoni propositi la Commissione europea ha conservato la facoltà di individuare i progetti di interesse comune, valutando la possibilità di destinarvi fino al 25% delle risorse finanziarie programmatiche. Per attrarre gli investimenti necessari all’incremento delle capacità produttive di PMI e piccole mid-cap di settore riducendone i rischi, esiste la previsione per cui si può adire ad un finanziamento misto capace di offrire sostegno sotto forma di debito e/o capitale. Il quadro normativo proposto traccia inoltre le basi per il SEAP, per il quale gli Stati membri possono inserirsi volontariamente in un loop volto ad incentivare la cooperazione durante l’intero ciclo di vita dei prodotti bellici. Fondi pubblici e risorse private rappresentano per l’Europa un elemento di vulnerabilità, dati i valori enormemente inferiori rispetto a quelli degli altri egemoni; se le risorse pubbliche investite fossero anche solo lontanamente paragonabili a quelle americane, ne beneficerebbe la R&S incentivando innovazione tecnologica e crescita economica. Le aziende del settore della difesa nell’UE, infine,affrontano notevoli difficoltà nell’accesso ai finanziamenti, dovute, almeno in parte, al mercato finanziario che non agevola gli investimenti privati; negli USA sono rilevabili investimenti in venture capital nelle startup della difesa, cresciuti negli ultimi dieci anni del 538%, raggiungendo nel 2021 il picco dei 39 miliardi di dollari. 

Amaro calice di conclusione. Le dichiarazioni di principio non suppliscono ad anni di immobilismo e non è nemmeno pagante aggirare l’ostacolo dell’autonomia strategica; l’impostazione dello strumento militare non può essere vincolata agli aspetti finanziari: manca una visione complessiva che raccordando le varie componenti, operativa, politica, economica, logistica, superi la logica del Trattato di Lisbona, di fatto già resa obsoleta da Thierry Breton, responsabile per la Direzione Generale Defence Industry and Space e titolare di un budget di decine di miliardi di euro. Rimane da valutare il ruolo tecnico assegnato alle FA nel definire la domanda, una partecipazione limitatarispetto al rapporto esistente tra Commissione e industria. Va presa coscienza della situazione; quelche si può fare nell’immediato è poco, e non è improprio sperare che non accada nulla nei prossimi 30 anni. Le capacità produttive, una volta perdute, difficilmente si recuperano. I flussi finanziari devono essere commisurati e costanti: le assegnazioni improvvise a valanga non servono. Manca anche il personale specializzato, che ha bisogno di tempo per la sua formazione; sullo sfondo il principio dei requisiti nazionali, ovvero le specificità dei singoli sistemi, elemento che, nella sua esclusività, non limita certo numero e tipologie delle forze avverse. Tempistiche e R&S sono fattori incomprimibili, in contesti in cui la produzione si avvicina più a quella ricercata e rarefatta di un atelier che non a quella industriale d’antan. Anche la battaglia della deterrenza vede l’occidente in affanno: chi scrive di finanza ma non annovera specialisti di difesa, non fa che ripetere conclusioni scontate.

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