OGGETTO: Le guerre post-umane sono già qui
DATA: 27 Maggio 2025
SEZIONE: Postumano
FORMATO: Scenari
Il mare, con i suoi fondali inconoscibili, è stato a lungo frontiera ignota e terribile. Mentre la terra continua a colorarsi di rosso, il profondo blu marittimo si tinge di spie meccaniche, ed è un’innovazione che parte dalle grandi potenze telluriche. Russia e Cina aggiornano le loro flotte e raccontano la storia di una nuova forma di conflitto fondata sul post-umano, sull’IA integrata, sugli sciami decentralizzati e coordinati.
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C’erano una volta le potenze continentali. Quelle che vincevano per estensione, profondità, artiglieria e capacità di assorbire l’invasione. La Cina e la Russia, eredi di una visione bellica legata alla terra, guardano entrambe alla possibilità di aggiornare la propria dottrina. Entrambe, per ragioni diverse, hanno avviato una metamorfosi militare che non riguarda più l’accumulo di mezzi quanto l’ibridazione dei domini, unire sensore ed arma, pilota e codice. Mentre le flotte statunitensi incarnano ancora il paradigma della forza centrata sulla superiorità aeronavale tradizionale, Pechino e Mosca stanno costruendo una nuova grammatica bellica fondata sul mare, che da un lato è più caldo di armamenti, sistemi e proiezioni, dall’altro è più freddo e impersonale.

La crisi, sempre più trasparente, della Pax Americana si specchia nell’alba di una nuova era di confronto geostrategico, un’era il cui paradigma è già inciso nei linguaggi macchina e nelle logiche autonome dei sistemi d’arma emergenti. La corsa al riarmo, lungi dall’essere una mera riedizione di passate tensioni imperiali, tradisce una metamorfosi del conflitto stesso, in cui l’umano appare sempre più come un accessorio, un residuo. Pechino e Mosca sono entrambe impegnate a ristrutturare i propri arsenali per entrare nel XXI secolo con una dottrina bellica che si fa progressivamente post-umana.

La Cina rivede la propria visione, storicamente subordinata ad una dimensione continentale – pensata per la difesa del territorio, il contenimento tattico e la stabilità interna – e la riformula al fine di proiettare capacità offensive nel mare profondo, nel cielo, nel cyberspazio e oltre l’atmosfera. Simbolo di questa transizione è il massiccio investimento nella flotta oceanica. Dove un tempo predominava l’ossessione difensiva, oggi l’attitudine è invece espansiva. Il varo di piattaforme come la portaerei Fujian: mastodonte galleggiante, ottantamila tonnellate dotate di sistemi elettromagnetici per il lancio aereo, attesta il superamento simbolico della subordinazione tecnica alla marina statunitense. La Cina, storicamente percepita come una potenza imitatrice, protende ora per affermarsi. Proliferano anche i sottomarini nucleari e convenzionali: pensati non per la dissuasione atomica, ma per un nuovo paradigma di guerra sottomarina autonoma e proattiva. Si tratta di vettori subacquei autonomi, dotati di capacità decisionali artificiali e progettati per operazioni di interdizione, posizionamento mine e contromisure attive, si anticipa un’epoca in cui la contesa algoritmica raggiungerà i fondali oceanici. Parallelamente, Pechino ha costruito una sofisticata rete cibernetica e di guerra elettronica, pensata per operare attraverso la saturazione di segnali, l’oscuramento dei sistemi guida e l’infiltrazione delle reti informatiche civili e militari. Lo stesso principio vale per il dominio elettromagnetico: attraverso sistemi di spoofing, interferenze GPS e piattaforme di jamming, la PLA si prepara a rendere cieco e sordo un eventuale nemico tecnologicamente avanzato. La battaglia, come dimostra il conflitto ucraino, si gioca sulla capacità di mantenere intatta la propria percezione del campo.

La guerra si è disfatta della carne. Si muore sempre meno, eppure si continua a combattere. Le flotte si muovono senza marinai, le onde vengono esplorate da gusci vuoti con antenne al posto degli occhi, e i cieli sopra il mare sono pattugliati da intelligenze sospese.

Dopo due anni di difficoltà tattiche sulle coste del Mar Nero, la Voenno-morskoj Flot si sottopone a un’autopsia preventiva. Si mira ad una ristrutturazione radicale, all’integrazione massiva di sistemi autonomi in ogni dominio operativo. Cinque reggimenti composti esclusivamente da unità unmanned sono in fase di costituzione. La Russia, segnata dalle cicatrici operative del conflitto ucraino – dove la sua storica base di Sebastopoli è stata resa insostenibile dalla tattica “sciamaforme” dei droni low cost ucraini – si affretta a integrare la lezione algoritmica nella propria dottrina bellica. I reggimenti unmanned sono destinati a operare con un ventaglio completo di sistemi autonomi: aerei, terrestri, navali di superficie e subacquei. Si tratta di un riconoscimento della supremazia tattica e strategica dell’agente non-umano nel moderno campo di battaglia. La formazione stessa dei cadetti viene aggiornata, imparano a pilotare droni prima ancora di imparare a manovrare una nave. Le mani che una volta si esercitavano sul sestante ora manipolano interfacce grafiche. I curricula militari vengono aggiornati: ogni allievo deve saper distinguere tra un velivolo FPV e un USV kamikaze, ogni ufficiale futuro sarà anche un programmatore, analista e lettore di flussi dati. I nuovi comandanti si preparano a non condurre solo uomini, ma sistemi. La marina russa è stata, per secoli, una costruzione pesante: navi monumentali, artiglieria, orgoglio imperiale. Ora, forse, si prepara a diventare leggera, atomizzata e decentralizzata. La risposta russa è, per ora, un riflesso: non si tratta di una scelta proattiva ma una risposta mimetica a Kiev, che ha dimostrato che anche una potenza secondaria può infliggere ferite, se armata di creatività, connettività e droni. Gli armamenti ucraini che hanno attraversato il Mar Nero non erano sofisticati, ma erano abbastanza numerosi, rapidi e difficili da intercettare. Ancora più importante, erano nuovi.

Entrambe le potenze stanno costruendo eserciti a bassa visibilità e alta reattività, stanno formando ufficiali che siano più ingegneri che strateghi. Si converge su un principio: lo spazio marino non è più immenso, ma granularmente conoscibile. La vecchia nebbia di guerra – che salvò convogli e porti per secoli – viene filtrata da reti di sensori che metabolizzano in tempo reale salinità, firma acustica e persino il campo magnetico lasciato da uno scafo. L’assenza di personale diventa, paradossalmente, la massima forma di ubiquità: se non c’è equipaggio, ogni perdita è statisticamente irrilevante. L’automazione navale verticalizza il potere più di qualsiasi dreadnought novecentesco. Solo Stati-continente dotati di ecosistemi industriali chiusi possono permettersi la catena di fornitura necessaria per produrre sensori, batterie e magneti di terre rare.

L’esercito russo, spesso descritto come lento e gerarchico, non è nuovo a mutazioni improvvise. La storia militare della Russia è fatta di crolli improvvisi e resurrezioni tecnologiche inaspettate. Se davvero questi reggimenti unmanned prenderanno forma, se saranno operativi su vasta scala, allora ci troveremo davanti a una nuova forma ibrida: una flotta post-industriale in un Paese ancora ancorato alla potenza terrestre. Allo stesso modo la Cina ha ribaltato il paradigma che la vedeva relegata a potenza terrestre regionale. Oggi si presenta come una macchina bellica agile e integrata, il cui pensiero militare è sincronizzato con le tecnologie emergenti. L’Occidente, ancorato alla nozione militare di Sea Control, guarda a questa trasformazione con studio e sottovalutazione. Ma non si può ignorare che il nuovo volto della guerra si specchia nei laboratori di Wuhan, nei cantieri navali di Shanghai, nei cieli digitali sopra il Pacifico. La Cina e la Russia non si muovono per vincere una guerra del passato, ma per rendere impossibile quella del futuro.

Resta l’interrogativo etico: delegare all’IA la discriminazione fra peschereccio e fregata significa accettare un margine d’errore che diventa subito incidente diplomatico. La guerra-cloud non consente spettatori innocenti: il segnale GPS agganciato alla rotta di un drone suicida può essere emesso da un telefono su un’isola turistica. La responsabilità si fa stocastica. E tuttavia, mentre il mare si svuota nei prodromi della guerra automatica, le conseguenze di questa restano un’incognita: l’automazione assoluta uccide anche l’eroismo che legittima il conflitto. Se a morire è soltanto una latta semovente, che racconto patriottico potrà mai fiorire? Forse, alla lunga, proprio l’assenza di sangue in coperta renderà la guerra meno sostenibile politicamente: senza funerali, senza martiri, la retorica nazionale evapora. È l’ipotesi estrema: che questo mare imbottito di sistemi automatici e IA integrate generi una nuova noia cosmica della violenza.

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