La politica ed il conflitto non temono l’innovazione tecnologica. La frontiera del potere coincide con quella di ogni novità sociale, inclusi i più moderni strumenti tecnici e finanziari. Elham Makdoum racconta la rapidissima ascesa delle criptovalute come mezzo di evasione del potere pubblico in campo internazionale. La Geopolitica delle Criptovalute, edito quest’anno da Castelvecchi, conduce il lettore tra le pieghe di un mondo in fermento ma di certo sconosciuto ai più. Le criptovalute ed i loro network di scambio hanno permesso ad attori non-statali di collezionare e scambiare risorse con una rapidità e segretezza straordinarie, che si tratti di Hamas alla ricerca di armi o dei cartelli messicani riforniti della materia prima per il fentanyl dalla Cina. Grazie alla decentralizzazione finanziaria è diventato più facile destabilizzare, trafficare e colpire in profondità; la diffusione delle criptovalute, assieme al deep web e ai social media, accelera esponenzialmente l’erosione dell’ordine globale e premia quei poteri capaci e volenterosi di combattere asimmetricamente, dalla Russia putiniana all’internazionale jihadista.
Il mondo islamico colse il potenziale straordinario delle criptovalute già nel 2012, e da allora un numero notevole di casi e aneddoti confermano la centralità della nuova finanza per organizzazioni terroristiche o para-statali del Medio Oriente. Al-Qaeda o Hamas erano – e sono – tallonate in ogni loro mossa: gli eventi dell’11 settembre avevano condotto al lasciapassare per le intelligence occidentali a sorvegliare i movimenti economici del mondo intero. Rifornirsi di armi o raccogliere donazioni per la jihad era pericoloso. La tecnologia della blockchain, così privata e rapidissima, offrì invece la possibilità di compiere operazioni economiche di mole notevole in pieno segreto. Le istituzioni della sicurezza occidentale furono prese alla sprovvista, essendo in ritardo nello studio di queste nuove tecniche.
Attentati di importanza storica, da Parigi a Mumbai, sono stati resi possibili dall’accoglienza a braccia aperte di una tecnologia così all’avanguardia. Makdoum riassume questa tensione definendo il fenomeno come archeofuturista. La cultura politica e bancaria dell’Islam flette i propri costumi ed istituzioni informali per raggirare i più preparati servizi del mondo. Del resto il progresso tecnologico per definizione scuote gli equilibri preesistenti, e ciò vale anche per il mantenimento dell’ordine internazionale. La cripto-jihad è un simbolo della finanza democratizzata.
La guerra non è una forma culturale, è un modo d’essere sociale che prende la forma delle società in questione. Le guerre contemporanee si combattono online in quanto l’internet è la nuova piazza, inclusi i bitcoin che si parli di crowdfounding o controspionaggio. Lo spazio digitale delle criptovalute è percorso da conflitti e bracci di ferro che riflettono la realtà politica internazionale. L’Ucraina aggredita trovò ossigeno nei mercati crypto prima ancora di essere soccorsa dagli elefanti statali – sì grandi, ma lenti.
Questo nuovo mondo pare favorire la nuova asse di resistenza autoritaria ed eurasiatica, composta da potenze revanchiste e stati canaglia. Russia, Corea del Nord e proxies iraniane sono campioni dello spazio finanziario informale, popolato da hacker e miniere di criptovalute. Portare attenzione sulle debolezze di una sicurezza occidentale basata su vecchi monopoli – il sistema SWIFT, lo strapotere americano, la frontiera tecnologica – è uno sforzo assolutamente vitale e riscontrabile raramente nella pubblicistica contemporanea, spesso concentrata sulle forme più superficiali del conflitto multipolare.
Passano gli anni ed il fascino della guerra asimmetrica non tramonta. Pare confondere in ogni sua nuova reiterazione. La Repubblica Popolare Cinese sta conducendo una guerra senza limiti nei confronti degli Stati Uniti, ed una delle colonne portanti di tale sforzo consiste nel foraggiare i narcotrafficanti messicani. Con un placet governativo i cartelli esportano quantità formidabili di pericolosissime droghe oltrefrontiera, tra cui l’infausto Fentanyl. La Cina, produttrice della materia prima necessaria, causa un indebolimento notevole della società americana restituendo il favore dai tempi delle Guerre dell’Oppio. La flessibilità delle criptovalute permette alla tratta di continuare imperterrita sotto gli occhi delle autorità americane. La prospettiva aperta dal giornalismo attento e meticoloso di Elham Makdoum è spaventosa: la tecnica più moderna apre sì le porte alla sorveglianza di massa, ma in verità favorisce la fuga anarchica da essa e perciò il disordine criminale su scala globale.
Il cuore di Geopolitica delle Criptovalute va oltre la geopolitica, quindi la politica internazionale e marziale. Parlare di criptovalute e politica significa parlare di crittografia e valori. Il lettore è introdotto al dilemma della crittografia, dando voce ai suoi alfieri quanto agli scenari più violenti causati dall’anarchia finanziaria. Le criptovalute sono solo uno dei campi sociali dove la crittografia si offre come soluzione al panoptikon algoritmico senza però saper costruire ancora istituzioni solide. Libertà e sicurezza si sfidano con la stessa intensità dei dibattiti sull’intelligenza artificiale. Ad oggi istituzioni e crittografia sembrano toccarsi solo nei selvaggi mondi delle intelligence, del conflitto asimmetrico e dei portafogli offshore. Makdoum dona al lettore il privilegio di conoscere il tema e di così portarlo nel dibattito civile e nella cultura comune italiane. Le criptovalute oramai sono un fatto della vita quotidiana per milioni di cittadini in Venezuela, Guatemala o Russia. La scelta delle istituzioni occidentali, indirizzata a fare di questi strumenti un corollario finanziario e non un sostituto delle valute fiat, non deve ostacolare la comprensione dell’Altro – a Sud, Est ed Ovest.