Le complesse mutazioni degli equilibri dell’anglosfera portate dall’elezione di Donald Trump stanno generando numerosi cambiamenti nello scenario internazionale. Il mandato trumpiano orientato sia alla bilateralizzazione dei rapporti che alla ridefinizione delle proprie sfere di controllo ed influenza, sta, infatti riequilibrando tanto le ambizioni dei propri alleati quanto gli equilibri nel campo occidentale. Le conseguenze internazionali del nuovo MAGA in questo senso si confrontano aspramente con le ambizioni del Global Britain e con quelle degli europei. Portando ad un nuovo gioco di rapporti tra Washington, Londra e Bruxelles. Per meglio indagare i nodi dei rapporti anglo-americani e transatlantici abbiamo intervistato il dottor Luca Mainoldi, membro del consiglio di redazione di Limes.
-Dottor Mainoldi, come valuta l’approccio “transactional” di Trump nei rapporti internazionali? E quali conseguenze aspettarsi dalla sua linea nei rapporti transatlantici?
Le mosse di Trump, a mio modesto avviso, sembrano volte a passare dall’Impero informale americano alla postura di nazione più potente della terra, libera di muoversi perseguendo i propri interessi, senza badare troppo a quelli dei suoi alleati (o vassalli).
L’approccio trumpiano è basato quindi su negoziati diretti e in forma possibilmente bilaterale con chiunque sia ritenuto utile a perseguire l’interesse nazionale americano. Di qui l’apertura alla Russia ma pure l’estremamente ruvido approccio con gli alleati cui si chiede da un lato di prendersi le proprie responsabilità per garantire la loro sicurezza e dall’altro addirittura di cedere la propria sovranità come nel caso del Canada (definito “il 51esimo Stato degli USA”) e della Danimarca per quel che concerne la Groenlandia. In questi ultimi due casi l’approccio transazionale trumpiano dovrebbe mirare, alzando di molto la richiesta, a ottenere concessioni sostanziali in termine di accesso alle strutture militari indispensabili per controllare la rotta artica.
E qui si vede uno degli obiettivo di questa amministrazione.
-Quale?
Ritagliarsi una sfera di influenza esclusiva nell’emisfero occidentale (una specie di rivalutazione della dottrina Monroe allargata alle regioni artiche). Questo anche a scapito del tradizionale alleato britannico; non si dimentichi che il Canada fa parte del Commonwealth e Re Carlo III è il suo Capo di Stato. Non è un caso che Re Carlo sia apparso in una foto sul posto di comando della portaerei Prince of Wales (prima visita di un Sovrano britannico su una unità in mare della Royal Navy in quasi 40 anni) indossando l’alta uniforme della Marina sulla quale spiccavano decorazioni militari e onorificenze canadesi, tra cui l’Ordine del Canada e l’Ordine al Merito Militare Canadese.
-Quali sono gli altri obiettivi del presidente USA?
Sicuramente l’altra priorità di Trump è quella di riportare in patria quante più manifatture possibili; di qui le guerre commerciali con vicini (ancora il Canada e il Messico), alleati (UE) e avversari (Cina) combattute a suon di dazi.
-E invece per quanto riguarda il rapporto con il Cremlino?
La politica trumpiana verso la Russia sembra orientata a spingere quest’ultima a svincolarsi il più possibile dall’abbraccio con la Cina (cosa che a detta di osservatori come il generale Carlo Jean appare difficile) per poi negoziare da un punto di forza un accordo a tre, Pechino, Mosca e Washington, per definire le rispettive sfere di influenza.
Naturalmente la politica avviata da Trump suscita resistenze sia all’interno sia all’esterno degli Stati Uniti. In particolare all’interno degli apparati da parte degli organi e delle persone più legati all’approccio “imperiale” e al partito democratico statunitense. Trump tra l’altro non sembra essere interessato minimamente al cosiddetto Soft Power, un concetto elaborato da uno studioso di area democratica, Joseph Nye. Di qui le scure che si sono abbattute sullo USAID (United States Agency for International Development), o sulle emittenti Voice of America, Radio Free Europe/Radio Liberty e Radio Free Asia.
-Cosa è cambiato rispetto al suo precedente mandato?
Trump a differenza della sua prima amministrazione sembra aver questa volta dalla sua parte importanti componenti dell’establishment a stelle e strisce, sia nel settore federale sia in quello privato. Settori del Pentagono che vedono con preoccupazione la perdita di importanti capacità industriali indispensabili allo sforzo bellico (si pensi solo al settore navale) così come l’ala libertaria e tecnocratica della Silicon Valley incarnata ancor più che da Elon Musk da Peter Thiel.
-Come valuta il ruolo che sta acquisendo la Gran Bretagna di Keir Starmer specie per quanto riguarda la crisi dello scenario transatlantico?
Lo scontro interno americano coinvolge la sfera angloamericana incarnata dall’alleanza dei Five Eyes (dei quali naturalmente fa parte il Canada messo nel mirino trumpiano). Un’alleanza che se costituisce il nucleo più coeso dell’impero informale americano, ha dall’altro canto permesso alla Gran Bretagna di esercitare un’influenza, sia pure da una posizione di Junior Partner, sull’America stessa. A mio avviso la nomina di persone di fiducia a capo dell’intelligence community e della CIA va pure vista non solo nell’ambito dello scontro interno agli apparati statunitensi ma pure nell’ambito della competizione che si è creata all’interno dei 5 Eyes. Londra sta reagendo da un lato creando un’alleanza 4 Eyes (UK, Canada, Australia e Nuova Zelanda) e dall’altro avvicinandosi all’Unione Europea.
-Un avvicinamento orientato per quanto riguarda il rapporto con l’Europa al tema dell’aumento delle spese per la difesa?
Il riavvicinamento con l’UE è orientata all’obiettivo di aver voce in capitolo nella definizione dei rapporti di forza nel Vecchio Continente. La Gran Bretagna inoltre vuol partecipare con le proprie aziende al programma lanciato dalla Commissione Europea RearmEurope, scontrandosi con Parigi che vi vede un’occasione per rafforzare la propria industria militare. Questo senza considerare la posizione di Berlino che sembra intenzionata di riarmarsi sul serio dopo 30 anni di spese militari piatte.
La Gran Bretagna insieme alla Francia è inoltre l’unica potenza europea a disporre dell’arma nucleare. In teoria entrambi i Paesi potrebbero mettere il proprio deterrente nucleare a disposizione degli altri Stati europei. Ma considerazioni politiche e strategiche a parte, occorre osservare che l’armamento atomico britannico è incentrato sui missili Trident statunitensi che sono revisionati in America. C’è inoltre un’altra considerazione da fare.
-Quale?
Nell’ambito di un possibile accordo con Mosca, Washington potrebbe offrirle il proprio aiuto per difendersi dal limitato arsenale nucleare inglese (e francese). Fantapolitica? No è quanto temeva il governo di Sua Maestà ben prima dell’avvento di Trump, ai tempi di Bush Senior. Un documento del 1992 declassificato di recente esprimeva la preoccupazione di Londra che nell’ambito dell’apertura dell’Amministrazione di Bush padre alla Russia di Eltsin, l’America avrebbe potuto cedere tecnologie per rafforzare le difese missilistiche di Mosca, rendendo impossibile per la Gran Bretagna colpire la capitale russa, diminuendo così il significato strategico del suo piccolo arsenale nucleare.
Il Regno Unito espresse agli Stati Uniti le proprie preoccupazioni, ma all’inizio del 1992 c’erano reali timori che il Pentagono avrebbe dato priorità alla difesa missilistica rispetto alla credibilità della deterrenza nucleare della NATO. Per tanto furono comunicate a Washington le profonde preoccupazioni del Regno Unito dai massimi livelli del governo britannico.
-E come si traducono questi processi nell’attualità?
Tornando al 2025 non è certo un caso che Re Carlo (ancora lui) abbia invitato il Presidente americano ad una visita di Stato a Londra (definita dal Primo Ministro Starmer “unprecedented second UK state visit“) dopo quella del 2019. L’alleanza angloamericana è in corso di revisione, ma il Regno Unito ha forse perso i propri riferimenti all’interno dell’establishment americano? Il tempo ce lo dirà.