OGGETTO: Geopolitica dell'Acqua
DATA: 22 Marzo 2021
SEZIONE: inEvidenza
Il composto chimico più abbondante in natura è l'acqua, eppure la guerra per "l'oro blu". è appena iniziata.
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Il composto chimico più abbondante in natura è l’acqua. L’essere umano senz’acqua muore dopo una manciata più o meno abbondante di ore, e da che possiamo saperne questa sostanza esercita comprensibilmente su tutto e tutti una forza per certi versi simile alla Gravità. Le prime comunità umane sono state fondate sulle rive di grandi e costanti corsi idrici (manco a dirlo: Tigri ed Eufrate), e ancora oggi la disponibilità di acqua pro-capite è indice di ricchezza assoluta del territorio in analisi. Le comunità umane gravitano intorno all’acqua o fanno sì ch’essa graviti intorno a loro. La domanda sembra ovvia ma forse non lo è poi così tanto: a cosa serve l’acqua nell’Antropocene? In linee generali e riducendo all’osso serve a bere, pulire, irrigare, illuminare, produrre. Le aziende che generosamente si occupano di dare da bere agli assetati sono una pletora, e di queste soltanto quindici si contendono un mercato dal valore di circa trecento miliardi di euro annuo. Le più grandi sono: francesi, americane, cinesi; e producono acqua in bottiglia, bibite e assimilati. Per quanto concerne invece le altre funzioni dell’acqua, le questioni si complicano assumendo una forma da mettersi le mani nei capelli. Gli aspetti tecnico-politico-economici nella gestione delle risorse idriche spaziano dalle campagne alle università, dai piani più alti dei colossi della finanza alle stanze dei bottoni più segrete. Micheal Burry, il nemmeno quarantenne che nel 2007 scommise sul fallimento delle famose too big to fail vincendo a mani basse (oggi gestisce la Scion Capital Investment), alla domanda su cosa avrebbe deciso di investire rispose seccamente: “investirò in Acqua”. Dalla disponibilità di oro blu dipende per via diretta la capacità produttiva delle derrate alimentari e degli allevamenti e dunque, in buona sostanza, una quota fondamentale del carico da piazzare sui piatti delle bilance commerciali tra vari paesi, ma anche e nondimeno la quantità di energia elettrica producibile in maniera totalmente pulita affrontando solo i costi di investimento iniziale e di manutenzione. Le centrali idroelettriche associate a bacini idrici più o meno artificiali sono oggi il modo più economico e pulito di produrre energia con costi operativi tecnicamente irrisori. Soprattutto se degli investimenti iniziali molto cospicui, ritenuti strategici, se ne fanno carico i vari pantalone sparsi per il globo e se poi per vicissitudini normative, crisi economiche, guerre o accordi multilaterali, tali strutture finiscono in mano di colossi privati dell’energia.

L’energia prodotta serve ovviamente per i processi industriali, ma attenzione perché l’acqua nei processi industriali serve in una quantità tale di modi (dalla chimica fine all’industria pesante) che forse è conveniente definirla come il composto più abbondante in natura, ma anche come il più importante in assoluto per le comunità umane. In un mondo sovrappopolato e vessato dall’instabilità climatica diventa chiaro che le tecnologie di scoperta, raccolta, distribuzione, utilizzo e recupero dell’acqua sono strategiche, e le nazioni sovrane, più o meno mosse da ataviche tendenze egemoniche, questo lo sanno; e dunque, in maniera più o meno lecita, tendono ad accaparrarsi quanta più acqua possibile. I paesi più attivi in questo fondamentale settore sono ovviamente gli anglosassoni USA e UK, la Francia e la Cina, con la Russia in apparente forte ritardo. In sostanza i seggi permanenti delle Nazioni Unite. Il Brasile, ad esempio, che è il paese con le risorse idriche più ricche al mondo e dovrebbe dunque essere anche uno dei più benestanti, vede il suo indice di Gini – espresso in percentuale – essere pari a 51,3 (coefficiente che se pari a zero indica che i redditi sono equamente distribuiti in maniera perfetta e pari a uno indica, invece, che sono perfettamente accentrati nelle mani di una sola persona). Il Brasile è uno dei paesi più diseguali al mondo pur essendo uno dei più ricchi in risorse, e non solo idriche. Ma questa è un’altra faccenda. Nel corso degli anni, nel Paese più grande dell’America Latina, a partire dalla fine del secolo scorso, una ricca sequela di privatizzazioni ha concesso ad aziende private (nel caso specifico Suez sopra tutte) di accaparrarsi l’utilizzo a scopo di lucro delle strutture di gestione e distribuzione delle acque del Brasile in cambio di promesse contrattuali dalla natura sovente opaca. Cos’è dunque la geopolitica delle acque o dell’acqua? Il fiume Colorado comincia ricco e florido negli Stati Uniti dove irriga milioni di ettari di terra e produce quantità esorbitanti di energia per poi ridursi ad un rivolo tossico oltre il confine con il Messico.

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Il Danubio scorre per ben 2800 Km attraversando dieci paesi europei, sgorga in Germania e sfocia nel Mar Nero romeno, ed è da secoli croce e delizia degli scontri transfrontalieri. Il suo bacino idrografico interessa complessivamente quasi una ventina di paesi, tra cui l’Italia per uno 0,15%. Il lago d’Aral, a causa delle sue dimensioni chiamato anche mare, semplicemente oggi non esiste quasi più a causa dell’utilizzo forsennato e squilibrato delle acque degli affluenti e del bacino stesso. Il Mar Morto, uno dei bacini idrici più fascinosi e salati, è al centro di una disputa tra Giordania e Israele per la costruzione di un canale che dal Mar Rosso dovrebbe portare le acque verso il Mar Morto producendo energia sfruttando il naturale dislivello di più di 400 metri che sussiste tra i due mari. Il sistema fluviale Yarlung-Tsangpo-Brahmaputra è uno dei sistemi idrici più grandi e potenti del pianeta ed è al centro di una complicatissima disputa territoriale sui diritti di utilizzo delle risorse tra due delle potenze più rampanti del globo (Cina e India) che vogliono sfruttare tale sistema fluviale, ciascuno per parte sua, a più non posso. E questi sono solo esempi lampanti di dispute attorno alle acque di superficie. Sarebbe troppo dire che alla base di ogni conflitto ci sia una questione di approvvigionamento idrico; ma certamente non lo è dire che,  le risorse idriche di un territorio spingano le potenze politico-economiche a muoversi fino allo scontro al fine di poterne sfruttare almeno una parte ritenuta equa. Il Nubian Sandstone Aquifer è il bacino idrico sotterraneo d’acqua, cosiddetta fossile, più grande mai scoperto e forse persino immaginato. Questo è ubicato in uno dei territori più aridi e meno sviluppati della Terra, che guarda caso è anche, purtroppo da molti anni, uno dei più instabili a livello politico. Sopra questo giacimento di vita dalle dimensioni bibliche stanno i deserti del Chad, del Sudan, della Libia e dell’Egitto. Gheddafi aveva cominciato a realizzare un progetto faraonico di sfruttamento delle acque di tale falda ponendo strategicamente la Libia in una posizione di enorme vantaggio geopolitico di fatto: sarà un caso che adesso quello stesso Paese sia una sorta di vago ricordo? Come diceva Andreotti: “a pensare male ci si azzecca sempre”. 

E l’Italia? L’Italia che fa, che ne fa dell’acqua? Fondamentalmente discute, animatamente, e, come al solito, conclude poco. Il numero 3/2020 della rinomata rivista italiana d’intelligence Gnosis è un elegantissimo volume, dalla cifra quasi poetica, interamente dedicato all’acqua, in cui con grande precisione e acume si espone lo stato dell’arte presente e futuro a riguardo della stessa sostanza. Della posizione dell’Italia a livello geopolitico e delle scelte riguardanti le modalità di gestione delle risorse idriche interne, purtroppo però, davvero poca roba e molte buone intenzioni; a parte qualche buona pratica peraltro messa in campo dalla Ferrero, una delle aziende più grandi del retail alimentare globale e tra le meno invischiate nel pantano sociopolitico italiota. L’Italia fondamentalmente: fa orecchio da mercante nei riguardi del meraviglioso momento di civiltà espresso dalla popolazione in occasione del referendum sull’acqua, degradando a mera questione di partito ciò che il popolo ha elevato a bene universale comune; non comprende il potenziale educativo proveniente dall’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse in generale e dell’acqua in particolare; non ha alcun ruolo a livello locale e globale nello sfruttamento sostenibile delle risorse idriche se non parzialmente con l’Eni; non ha all’attivo nessun ruolo politico tecnologico e/o industriale nei settori più strategici della gestione delle acque, basti pensare che tra le 25 personalità più influenti nel campo delle acque non c’è nemmeno un italiano. Il neo-ministro alla Transizione Ecologica Roberto Cingolani non solo avrebbe compreso lo stato di degrado e abbandono in cui versiamo; ma ha rilanciato per il futuro, mettendo sul piatto un argomento chiave che farà capire bene perché l’acqua è così importante adesso. Il futuro prossimo, e con buona probabilità tutto il secolo che ci troviamo ad affrontare, è a batterie, che, per quanto efficienti ed environmentally friendly possano essere, vanno ed andranno caricate e ricaricate con energia elettrica sostenibile. Il ministro dice, e ascoltiamolo perché non ha torto, che sì la Fusione Fredda, come viene impropriamente chiamata, sarà il meccanismo base di produzione d’energia per il futuro, non si sa ancora quanto remoto; ma è dall’acqua che produrremo la maggior parte di energia nel breve e medio termine con una tecnologia vecchia di più di cento anni: L’elettrolisi. Ecco svelato l’arcano. Dalla molecola d’acqua esposta all’azione magica del catodo e dell’anodo attraverso cui facendo scorrere una opportuna corrente elettrica, per ossido-riduzione, il legame tra idrogeno e ossigeno si rompe producendo le due specie chimiche separate. L’idrogeno isolato e opportunamente stoccato è una fonte di energia pulita e virtualmente inesauribile, perché dal suo utilizzo si genera nuovamente acqua. Se il secolo scorso è stato il secolo dei combustibili fossili e delle plastiche da idrocarburi: tanto da riportare la nostra memoria ai fasti immaginifici del compianto Enrico Mattei: l’uomo la cui follia visionaria lo portò a pretendere sei zampe per la bestia mitologica messa a simbolo dell’Eni perché quattro non bastavano e la cui carità cristiana lo portò ingenuamente a pensare che si potesse creare sviluppo per tutti in maniera equilibrata seguendo una retta condivisione dei beni offertici dal Signore, insomma un moderno Icaro; o da rammentarci le prodezze scientifiche dell’esimio e geniale prof. Giulio Natta, che inventò di fatto la materia prima, tanto plastica da divenire appunto la Plastica, alla base di tutto il design che oggi stupidamente ci ritroviamo un poco ovunque non potendo evitare di ingerirne ogni giorno una certa quantità. Questo secolo sarà il secolo dell’acqua, e Michael Burry farà un’altra volta un gran pacco di soldi. La vera domanda è se finalmente l’Italia riuscirà a trovare il suo posto nel mondo, cominciando anche a pensare di avanzare moderate quanto legittime pretese di sviluppo che siano coerenti con i livelli e le capacità che in questo paese siamo in grado di mettere in atto. Chiaro la posizione geografica non aiuta, è troppo strategica; tanto da far pensare che se dovessimo da italiani diventare troppo sovrani potremmo essere troppo influenti. Sta alla classe dirigente capire come fare. Il 22 marzo, per quello che vale, è la giornata mondiale dell’acqua e l’Italia non è stata invitata.


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