Ai fini di corrette ed efficaci analisi strategiche tu molto spesso insisti sull’importanza della geografia intesa “umanisticamente”, cioè non come una scienza matematizzata esatta, ma culturale ed antropologica e quindi, in questo senso, caratterizzata da una forte componente di arbitrarietà. Dalla lettura della relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2020 viene fuori l’immagine di un Mediterraneo sempre più caotico, non a caso questo è anche il tema dell’ultimo numero di Limes. Con maggior riferimento alla Turchia, Erdoğan sta espandendo la propria sfera d’influenza non solo in Libia e nell’Egeo, ma anche con la vendita di armi all’Ucraina e l’ininterrotta cooperazione in questo settore che continua dai famosissimi 48 droni Bayraktar TB2 del 2019 e con la scelta del governo albanese di affidare l’addestramento delle proprie forze armate alla Turchia. L’Italia non è e non si concepisce come una potenza talassocratica. A fronte di tutto ciò, ti chiedo, quali possono essere i suoi obiettivi strategici? Come può giocarsela (se può giocarsela)?
È una domanda da un milione di dollari. Per noi è molto complicato giocarsela con la Turchia per molteplici ragioni. Partendo dal fatto basilare che è un Paese con una tradizione imperiale antichissima dai profondi legami storici con austriaci, russi etc. Nonostante gli italiani di solito si immaginino la Turchia come un paese arretrato, questo Paese è in realtà la testa di uno spazio che è non solo culturale, ma soprattutto geopolitico: i suoi confini si estendono da quella che una volta era chiamata l’Asia Minore fino al Xinjiang, cioè l’area che corrisponde al Turkestan orientale e che si trova in Cina. Questa idea di sé è strettamente legata al residuo antropologico imperiale che per noi italiani è molto difficile da comprendere. La Turchia attualmente confina con l’Italia data la sua forte influenza in Albania e soprattutto in Tripolitania, dove controlla direttamente il territorio attraverso la realizzazione di servizi indispensabili per la popolazione locale con il fine di rendere permanente la propria presenza in quest’area. La Turchia ha quindi una concezione fortemente statuale di sé ed esercita nel solco della sua secolare tradizione imperiale un disinvolto uso della forza e della potenza. Noi fatichiamo molto a comprendere questa forma mentis poiché a differenza nostra i turchi non vivono in una condizione post-storica in cui i sacrifici inevitabili legati alla potenza sono inaccettabili da parte dell’opinione pubblica. In Italia la potenza non è più un valore. Nel discorso pubblico essa è completamente assente, noi abbiamo un’impostazione prettamente economicistica. Il fatto che Italia e Turchia facciano parte della NATO e siano formalmente alleati nella Tripolitania sono sciocchezze giuridiche insignificanti: l’avere a che fare con un Paese che in nome della potenza è pronto a fare la guerra, anche se per il momento in maniera limitata, trascende le nostre capacità di comprensione e di relazione con un soggetto di questo tipo. Quindi l’Italia non può fare un granché. Dobbiamo essere consapevoli che in questo caso dovremmo essere pronti all’uso della forza ed essere consapevoli di farci molto male, cosa di cui l’Italia non è in grado e che l’opinione pubblica non accoglierebbe in alcun modo. In alternativa potremmo bluffare di usare la forza, ma anche in questo caso ritengo che l’Italia non ne sia capace. L’unica azione veramente praticabile è quella di chiedere agli americani di controllare meglio la Turchia e se non dà fastidio che si sia allargata troppo e vada ancora bene in funzione antirussa e anti-iranica.
Per quanto riguarda un’altra superpotenza, cioè la Cina, tu hai più volte osservato che nelle relazioni italo-cinesi post-covid sarebbe stato più conveniente bluffare millantando di cedere ai tenui vezzi del Dragone per poter poi trattare da un punto di maggiore forza con gli Stati Uniti. Al contrario sembra proprio che la classe politica del precedente Governo fosse fideisticamente convinta che la Cina sia destinata ad usurpare il ruolo degli Stati Uniti e che quindi convenga saggiamente abbandonarvisi senza riserve. Come ti spieghi questa falsa convinzione? Secondo te con il nuovo Governo vi è un cambio di direzione?
Questa è una bella domanda. Bisogna partire dal fatto che la classe politica non esiste in un vuoto e rappresenta necessariamente per lo meno una fetta della popolazione. I politici non creano mai niente se sanno fare il loro mestiere e, nel caso non lo sappiano fare, pensano di creare le condizioni che abitano e ce ne sono tanti di casi di questo tipo. Il politico deve saper intercettare il sentimento comune, i bisogni del Paese e a volte ciò gli riesce in maniera spontanea ed inconscia, in quanto fa parte dello stesso contesto. I 5 Stelle rappresentano senza dubbio l’approccio economicista tipico di buona parte della popolazione italiana. Infatti, secondo questo tipico di logica, considerando che la Cina ha un miliardo e trecento milioni di abitanti e fra qualche anno sarà la prima potenza mondiale a livello di PIL, è inevitabile che essa sia destinata ad essere l’attore dominante del futuro. Ciò che è sbagliato in questo approccio, ma vaglielo a far capire non solo agli italiani, ma anche alla stessa classe politica che per volontà americana è essenzialmente di formazione economicistica, è che l’economia di una nazione non corrisponde alla sua potenza. L’Italia è un satellite facente parte dell’impero americano e in quanto tale deve occuparsi di ciò che è innocuo, cioè dell’economia, e non deve assolutamente trattare materia che al contrario è pericolosa, cioè la strategia; ciò deve essere precluso ad un satellite. Avendo nella testa solo l’economia e considerando la Cina esclusivamente da questo punto di vista, se si facesse un sondaggio gli italiani si dichiarerebbero assolutamente convinti che la Repubblica Popolare rappresenti il futuro inevitabile. La classe politica del precedente governo era così ben disposta nei confronti del Dragone proprio perché rappresentava la maggioranza della popolazione. Con Draghi sicuramente cambia qualcosa anche se bisogna tenere conto che il nuovo Governo è formato da una miriade di formazioni politiche molto simili al governo precedente. Essendo molto vicino alle posizioni e alle esigenze americane e avendo avuto relazioni intime con i tedeschi, Draghi ha un’idea radicalmente diversa della Cina (con buona pace del “De Amicitia” del gesuita Matteo Ricci). Draghi è stato chiamato da Mattarella per due ragioni: in primo luogo perché rassicurasse gli americani in funzione anticinese negando la volontà di volersi realmente avvicinare alla Cina e in secondo luogo perché tranquillizzasse i garanti dei soldi del cosiddetto Recovery Fund: cioè i tedeschi. Infatti, nella realtà l’Europa non esiste e i soldi che riceveremo sono garantiti dalla Germania. Che poi l’Italia possa bluffare con gli americani mostrandosi ben disposta nei confronti di Pechino ne dubito fortemente.
A leggere la relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2020 l’Italia sembra sdoppiarsi in due realtà distinte e autoreferenziali (anche se naturalmente intercomunicanti), una virtuale e una territoriale: ora lo spazio web non solo motiva, guida e determina l’agire nel mondo “reale”, ma ha assunto una sua autonomia essenziale. Attualmente sussistono fenomeni di diversa natura riconducibili solo all’Italia virtuale e altri unicamente all’Italia territoriale. Entrambe queste Italie sono realissime e i loro confini superano il perimetro nazionale. Sei d’accordo con questa lettura?
La dimensione virtuale è realissima, vero. Sì, sono molto d’accordo. Si è delineata una distinzione netta dell’agorà virtuale dato che essa è l’unica arena in cui sono concessi fenomeni di interazione e assembramenti illimitati. Un’ Italia territoriale come tu la definisci esiste in quanto tale con dei crossover in entrambe le dimensioni: parlo di fenomeni sia legali sia illegali. La crescita dell’arena virtuale che prima era principalmente dovuta a ragioni fisiologiche legate allo sviluppo tecnologico, ora ha subito un’accelerata pazzesca a causa della crisi pandemica. Chi si informa e vive esclusivamente in questo spazio virtuale ha la convinzione che tutti la pensino come lui in quanto nei fatti viene seguito e segue persone delle stesse opinioni (nel caso dei grandi influencers assistiamo al fenomeno degli haters che in realtà costituiscono un’ulteriore legittimazione del potere social dei primi). Si determina quindi una galassia di feudi ideologici privi di qualsiasi dialettica critica interna in cui ogni opinione discordante viene severamente esclusa e additata come nemico pericolosissimo. Questo pensiero unico è profondamente ideologico e quindi è oggetto di monitoraggio da parte dell’Intelligence per rischi eversivi. Nell’agora virtuale le uniche opinioni condivise da tutti sono considerate sacre. Questo inedito processo di radicalizzazione dal punto di vista interno è causa di fratture evidenti della coesione sociale: siamo difronte ad una sorta di semi-autismo delle posizioni legato alla netta insularità delle opinioni e delle informazioni che perciò vengono scambiate per verità. Non si ha la capacità di relativizzare le opinioni e la conseguente assolutizzazione di ogni tema conduce all’esclusione di chi la pensa diversamente e quindi mina profondamente la coesione sociale in un momento congiunturale in cui essa si manifesta e si realizza esclusivamente on-line.
Sono perfettamente d’accordo. A questo proposito da un punto di vista ingenuo che potremmo definire “atteggiamento naturale” si ha quasi la convinzione che data la natura di questo fenomeno il lavoro dell’Intelligence risulti esserne facilitato: le opinioni sono sempre le stesse e quindi la minaccia eversiva da monitorare è ben individuabile. In realtà, come emerge dalla lettura del documento dell’Intelligence, questa inedita dinamica ha contribuito alla polarizzazione dei discorsi di tutti i gruppi eversivi quali quelli anarchici, marxisti-leninisti, di estrema destra e infine del movimento antagonista: gli argomenti sui cui tutti questi movimenti eversivi facevano leva erano gli stessi, le residue differenze ideologiche si esprimevano solo nella determinazione del nemico. Questo in realtà costituisce un punto di maggiore difficoltà: la polarizzazione dei temi e delle opinioni crea un gruppo compatto in certi casi fortemente eversivo che non accetta alcuna critica o differenza di veduta. La coesione sociale è minata dall’assenza di confronto dialettico.
Hai ragione. È un aspetto molto preoccupante per la coesione sociale. Osservando gli Stati Uniti, che di solito sono avanti in queste dinamiche, sembra esserci la tentazione di vivere a compartimenti stagni. Ciò è anche dovuto all’impossibilità di incontrarsi fisicamente per motivi sanitari e la conseguenza a cui assistiamo è la radicalizzazione parossistica di un determinato gruppo di opinioni: diventa addirittura difficile concepire l’esistenza di posizioni discordanti rispetto all’unica verità (condivisa).
Come abbiamo già detto la crisi pandemica ha dato una fortissima accelerata a molte tendenze preesistenti. Nel caso dell’Italia si assiste ad un’incipiente tendenza presidenzialistica a discapito del parlamentarismo, il libero mercato viene dall’alto e non più dal basso, cioè è il risultato di legislazioni e trattati fra nazioni e non valore e azione aggregativa della società civile, i partiti (eccetto alcuni casi) sono sempre più deterritorializzati e “sistemici”, i populismi stanno perdendo la propria spinta antisistemica e sembrano essere destinati all’istituzionalizzazione, la polarizzazione delle ricchezze determinata dalla pandemia e la conseguente estremizzazione dei ceti sociali si muovono nella direzione della scomparsa di quel ceto medio produttivo in costante ascesa che è la base reale delle democrazie liberali rappresentative occidentali, non solo l’economia e il lavoro, ma anche l’istruzione e ogni pratica formativa sono completamente digitalizzate: è questa la direzione verso la quale ci stiamo muovendo anche per causa del virus? È possibile fare previsioni scientifiche? Dal tuo punto di vista come cambiano gli strumenti e le metodologie dell’analisi strategica di fronte a questi radicali mutamenti?
L’analisi strategica deve tenere conto di tutti questi fenomeni ma la sua analisi non si limita solo a questi aspetti. Ma partiamo dall’inizio. Io non sono appassionato di nessuna tendenza presidenzialistica e ritengo che i leader da soli siano molto poco influenti: essi devono essere appoggiati dalla collettività. Come insegna la storia italiana recente la presenza di un uomo forte e capace non è condizione sufficiente del cambiamento di rotta tanto agognato e sperato. Bisogna anche dire che questa ricerca dell’uomo forte è una passione tipicamente italica. Per quanto riguarda il secondo fenomeno sono d’accordo, io la definisco la capacità di negoziare della classe media. La questione dei partiti incide sull’analisi strategica fino a un certo punto. La geopolitica non si limita alle questioni politiche, leaderistiche e di classe. Essa al contrario considerandole tutte insieme le trascende ai fini dell’analisi della traiettoria che in generale caratterizza una collettività. In questo caso esistono parametri diversi di valutazione che per quanto riguarda il nostro paese solo culturali, antropologici e di costume. Al di là della collocazione geografica a cui tu facevi riferimento, noi esistiamo inevitabilmente in un contesto cioè l’impero americano e l’Europa. Questa valutazione ci permette di capire che il nostro Paese rimane nella condizione post-storica ritenendo che la storia sia finita e schivando tutti i sacrifici inevitabili per diventare una potenza. Gli italiani si accontentano più o meno di un uomo forte e qui torniamo al presidenzialismo, ma questa atavica passione italica si declina oggi in sensi diversi: c’è chi ha piena fiducia nell’Europa (che in realtà non esiste) ed è convinto che riceveremo da lei (cioè dalla Germania) tutti i soldi di cui abbiamo bisogno, c’è chi spera che verremo salvati dagli Stati Uniti o chi si scaglia contro la classe politica. In tutti questi casi, tendendo presente tutti i fenomeni a cui abbiamo fatto riferimento, con i turchi alle porte, come si sarebbe detto fino a qualche anno fa, l’analisi geopolitica conferma l’immagine di un paese piegato su sé stesso, fortemente in crisi e che invece di interrogarsi profondamente si affida disperatamente alla sorte. Nell’analisi geopolitica si deve tenere conto dell’aspetto culturale che non è un canone obiettivo. Di obiettivo non c’è niente, esiste sempre un punto di vista. La geopolitica deve capire e descrivere i codici antropologici di ogni collettività che influiscono inconsciamente informando l’azione delle collettività stesse: di assoluto non c’è niente, esistono sempre e solo filtri e questo è l’oggetto di interesse della geopolitica. Per concludere, invece di affrontare le proprie deficienze strutturali l’Italia incolpa la classe politica sperando nella mitica Europa.
Stiamo creando una “cellula redazionale di media intelligence” che faccia ricerca e sviluppo, monitoraggio e produzione di contenuti, che sia strettamente collegata all’attualità profonda, che dialoghi in codice con attori più o meno istituzionali, che sia in grado di capire i retroscena e indicare gli scenari del futuro, in politica estera come in politica interna, fino a controllare la scacchiera informativa. Raccogliamo candidature su questo indirizzo postale scrivipernoi@lintellettualedissidente.it. Mandateci una mail con le seguenti informazioni: 1) CV allegato 2) Un commento all’articolo che trovate sul sito intitolato “Il linguaggio del potere” 3) La vostra rassegna stampa quotidiana nazionale ed internazionale 4) Le vostre letture sul tema del “linguaggio del potere” 5) Un contatto telefonico. Sarà nostra cura rispondervi personalmente, ed eventualmente ricontattarvi.