Una delle teorie senza dubbio più affascinanti sulla nascita e la proliferazione degli Stati come forma di organizzazione sociale venne elaborata dall’economista americano Mancur Olson, a cavallo fra gli anni Novanta e Duemila. In un articolo accademico intitolato Dictatorship, Democracy, and Development illustrò come si sia giunti a un contratto sociale fra comandati e comandanti, o, per dirla con le sue parole, di come si sia usciti dall’anarchia. In un mondo anarchico non vi sono incentivi a produrre e ad accumulare beni poiché questi potrebbero essere razziati da un gruppo di banditi itineranti, cioè sempre alla ricerca di nuove comunità da cui prendere, muovendosi in uno spazio geografico impossibile da definire. Il cambiamento arriva da una presa di coscienza propria dei banditi: conviene razziare sempre la medesima comunità, lasciando che costoro si sentano protetti dagli altri banditi itineranti; solo così si potrà aumentare la produzione e di conseguenza i beni da razziare. Il furto diventa così “tassazione”. Nascono i banditi stazionari. Nasce, in buona sostanza, lo Stato: una comunità delimitata da confini (che corrispondono alla proprietà dei banditi stazionari, ora diventati oligarchi) entro i quali cercare di estrarre il massimo surplus possibile da usare per il tornaconto di una ristrettissima cerchia.
A leggere l’ultimo libro di Luigi de Magistris – Poteri Occulti (Fazi Editore, 2024) – sembra che i secoli passati ad ammorbidire (o democratizzare) il processo olsoniano di organizzazione statuale siano stati vani. Questa controstoria d’Italia fotografa un Paese in balia di poteri troppo ricchi e potenti per essere arginati, tanto che, ricorrendo alle definizioni già menzionate, fra banditi e uomini dello Stato sembra non esserci alcuna lombrosiana differenza. Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta e massoneria deviata costituiscono un ordine parallelo a quello costituzionalmente definito e garantito. La controstoria si rivela così essere una storia con dignità e tanta verosimiglianza: un tentativo permanente di golpe istituzionale come quello che ai tempi della P2 venne messo nero su bianco nel piano di rinascita democratica. I suoi punti – sostiene de Magistris – vengono portati avanti oggi, senza che nessuno abbia la possibilità di opporvisi. Più che Fratelli d’Italia, il Partito Democratico, o il Movimento Cinque Stelle, l’Italia sarebbe così governata da un «vero e proprio partito unico della spesa pubblica, del tutto trasversale tra le forze politiche: una torta immensa da gustare nella confusione tra maggioranze e opposizioni, controllori e controllati.»
La totale commistione fra potere mafioso e massonico – in ciò che de Magistris definisce potere massomafioso – porta a un perenne svuotamento di qualsivoglia ammantatura costituzionale nell’operato di parlamenti e governi. La percezione della corruzione, come noto, segue una curva irregolare. Solo in occasione di eventi dalla particolare rilevanza mediatica si assiste a un risveglio delle coscienze da parte della cittadinanza. È successo nel 1992-93, il biennio che ha chiuso una stagione politica, mettendo fine allo stesso tempo al dominio mafioso di Cosa Nostra, che durava da cinquant’anni, ovvero da quando il suo apporto fondamentale permise agli alleati di sbarcare in Sicilia durante le ostilità con le forze dell’Asse. Da allora, la saldatura fra Cosa Nostra e istituzioni, in funzione anticomunista, è continuata incontrastata, almeno fintanto che il comunismo ha rappresentato una minaccia. In questo periodo le mafie facevano il “lavoro sporco” per i poteri occulti statuali, ammazzavano e mantenevano il controllo in territori periferici; frattanto lo Stato garantiva una pressoché totale impunità. Quando ciò cominciò a venir meno iniziò la guerra. L’attacco frontale di Cosa Nostra deriva proprio dalla consapevolezza che il potere politico non riusciva più a contenere l’azione dei magistrati: su questo punto, l’importanza del maxiprocesso è indiscussa.
Si vis pacem, para bellum. Le bombe e gli omicidi che hanno fatto implodere la Prima Repubblica servivano a giungere al tavolo delle trattative con un vantaggio decisivo. Le mafie non volevano diventare lo Stato, ma volevano penetrarvi per non correre più rischi come quello concretizzatosi negli anni Ottanta. Con il crollo delle vecchie ideologie soltanto una ne usciva integra: quella neoliberista, incarnata dal nuovo monarca (quasi) assoluto, Silvio Berlusconi. La tensione fra Stato e mafie termina nel 1994, anno che vide trionfare Forza Italia alle prime elezioni del nuovo corso repubblicano, partito che – nella ricostruzione di de Magistris – appariva tutt’altro che sgradito al mondo di mezzo italiano. Da allora il potere mafioso, non più siciliano ma calabrese, ha fatto propri i principali gangli istituzionali d’Italia. Ciò che rendeva (e rende) la ‘Ndrangheta davvero incontrastabile è la quantità di uomini delle istituzioni al suo servizio, il che le permette di reagire alle offese non tanto con la violenza fisica (sebbene in Calabria faccia ancora vedere il suo volto più brutale), ma scatenando una potenza di fuoco “legale” inaudita. A ciò si aggiunga che la quantità di denaro liquido che reimmette nell’economia nazionale è tale che se dovesse, anche in minima parte, interrompersi, le conseguenze per il Paese sarebbe tutt’altro che lievi. Abuso di potere e legalità formale erodono così i meccanismi costituzionali, giorno dopo giorno, arrivando a una convivenza di fatto con il potere massomafioso.
La ricetta di de Magistris per rispondere a quest’offensiva senza precedenti che sembra aver fatto propri gli organismi statuali è la riscoperta della questione morale. In un periodo in cui non si parla di poteri occulti, segno della loro totale normalizzazione, l’autore vorrebbe l’emergere di cittadini incorruttibili, incomprabili, capaci di adoperare la Costituzione come loro arma. Una riscoperta di valori comuni che però si scontra con l’epoca più individualista della storia. Quali politiche attuare, dunque, se manca un elettorato attivo coeso in grado d’indirizzare le istituzioni, a partire da quelli locali, nella direzione giusta? I banditi stazionari che guardano al mondo per concludere i loro affari miliardari sembrano pertanto implacabili. E a chi da fuori cerca di capirne i meccanismi non resta che lasciarsi affascinare da un lessico oscuro, da dinamiche che ai più potranno apparire complottiste, e da un potere sconosciuto e dunque potenzialmente senza limiti. Rimane un principio di delusione quando, tornati alla realtà, il mondo di mezzo che abbiamo cercato di comprendere sembra non lasciar traccia nelle nostre vite.