OGGETTO: “Noi non possiamo morire”
DATA: 30 Agosto 2021
SEZIONE: inEvidenza
Franco Battiato, il monastero, l’ascesi nel silenzio. Dialogo con Juri Camisasca
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Juri Camisasca è tra le personalità più anomale e sfuggenti del nostro tempo. Nato nel 1951, ha esordito poco più che ventenne, nel 1974, con un disco sperimentale, La finestra dentro, pubblicato dalla Bla Bla di Pino Massara, con Franco Battiato dietro le quinte. Proprio il sodalizio con Battiato è forse l’aspetto più noto della vita di Camisasca: dal progetto Telaio Magnetico a Genesi, Gilgamesh e Telesio, la collaborazione con il grande musicista e cantautore siciliano non si è mai interrotta. Per Battiato, Camisasca ha scritto canzoni straordinarie – Nomadi, ad esempio, raccolto nell’album Fisiognomica. Ha scritto anche per Alice, Milva e Giuni Russo. Soprattutto, è la ricerca spirituale a definire la vita di Camisasca: monaco benedettino dalla fine degli anni Settanta, sceglie, dal 1988, la vita eremitica, alle pendici dell’Etna. Le edizioni La Vela, per cura di Antonello Cresti, hanno pubblicato La risposta nel silenzio, libro in cui Juri Camisasca riassume i tratti salienti della sua cerca. Noi, ci siamo messi sulle sue tracce.   

Juri Camisasca: lei ha vissuto l’esplosione musicale e la controcultura degli anni Settanta in Italia. Gli Area, la PFM, il prog italiano, i festival di Re Nudo. Oggi sembrano territori impossibili da replicare anche e soprattutto per via della repentina velocità nella quale le nostre vite vengono risucchiate. Noto un nichilismo dilagante sempre più prepotente. Cosa ne pensa a riguardo?

The Times, They Are A-Changin, cantava Dylan nel 1964. Saranno cambiati davvero i tempi?  Sul piano musicale non mi pare ci siano state delle innovazioni. I gruppi attuali stanno percorrendo le strade tracciate dalle grandi band del passato. Ci sono vocalist e strumentisti di notevole livello, complessi molto forti, ma in linea di massima vedo un work in regress, manca la voglia di esplorare, di osare. Però ammetto che ogni tanto esce qualcosa di buono. L’altro giorno mentre ero al supermercato sentivo Nothing else matters dei Metallica, un gran pezzo. Per quanto riguarda i festival degli anni Settanta, più che altro erano un modo per ritrovarsi insieme all’insegna della libertà, una libertà che era sottolineata anche da una tendenza musicale protesa verso la sperimentazione. C’era la necessità di sganciarsi dagli stereotipi imposti dalla società per cercare altre dimensioni. Molte cose potevano essere discutibili, come ad esempio una certa spiritualità troppo evanescente ed affettata, e a volte paradossalmente contaminata dalla politica. Ora invece ci siamo incapsulati nei cellulari. Tutto questo progresso tecnologico è un’arma a doppio taglio. Da un lato ci offre possibilità straordinarie sul piano professionale, dall’altro stiamo perdendo progressivamente i contatti naturali a favore dei contatti virtuali. Ci stiamo dimenticando che la vita è anche poesia, non guardiamo più il cielo, non passeggiamo più nei boschi, o al limite ci andiamo con gli smartphone accesi.  I social network stanno atrofizzando la nostra sensibilità a favore della polemica e dell’aggressività. È tutto molto triste. Quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo? 

Nel 1974, il suo esordio musicale; esce “La finestra dento”, album originalissimo, intimo, astratto. Dentro c’è l’urgenza e il mondo di un giovane molto particolare. Suonano con lei, nel disco, personaggi quali Franco Battiato, Lino Capra Vaccina, Gianni Mocchetti. Mi racconta la genesi di questo lavoro?

Quando iniziai a scrivere canzoni con l’idea di realizzare un LP non sapevo cosa dire. L’idea di trattare argomenti di stampo sentimentale la trovavo assurda e totalmente aliena al mio modo di essere. Furono le pitture di Hieronymus Bosch a farmi scattare la molla della creatività. Feci pertanto uso di descrizioni molto fantasiose e anche piuttosto scioccanti per esprimere le mie paure e le mie insicurezze. Il tutto contornato da una buona dose di effettismo per colpire l’ascoltatore. Devo dire che da un punto di vista terapeutico mi è stato molto utile. In effetti dopo aver scaricato una certa rabbia mi sono sentito più tranquillo. All’epoca non avevo nessuna esperienza di sala d’incisione. La situazione fu presa in mano da Pino Massara e da Franco Battiato i quali, con i musicisti della cerchia Bla Bla (l’etichetta di allora) si occuparono della produzione dell’album. Io mi limitavo ad approvare o meno le loro proposte sul piano delle sonorità e degli arrangiamenti.

All’improvviso accade qualcosa. La scelta repentina di lasciare il mondo della musica (ma anche in un certo modo la società) per vivere in un monastero e diventare monaco benedettino. Cosa è scattato in lei esattamente? Come ha vissuto quegli anni di silenzio, preghiera e contemplazione in un mondo “altro”?

Per rispondere bene a questa domanda dovrei scrivere un libro. Diciamo che una sera mi sono coricato e il mattino dopo ero una persona completamente diversa. Ho incominciato a vedere il mondo con occhi nuovi, mi si sono aperti orizzonti straordinari. Entrare in monastero è stata una necessità dettata dalla mia sete di scandagliare i misteri dell’anima. Avevo bisogno di vivere in un’atmosfera ordinata e silenziosa, lontana dalle frenesie e dai clamori del mondo. L’esperienza conventuale è stata un’autentica palestra dello spirito, mi ha irrobustito interiormente e mi ha insegnato a comprendere le ragioni degli altri, ad accettare anche chi non è in sintonia con la tua visione.

Una scelta ancora più estrema, dopo aver preso i voti, è stata quella (se non sbaglio intorno al 1988) di lasciare il monastero e andare a vivere ai piedi dell’Etna, in solitudine. La decisione di diventare eremita. Scelta dovuta forse ad una ricerca ancora più approfondita del silenzio per spingersi sempre più in profondità nella sua ricerca spirituale. Ancora oggi vive da eremita quindi? Cosa sono stati tutti questi anni (interrotti ogni tanto da alcune sorprendenti uscite musicali)?

Sì ancora adesso vivo alle pendici dell’Etna. Senza la scuola monastica e senza l’esperienza meditativa non sarebbe possibile portare avanti uno stile di vita eremitico, o meglio, lo potresti anche fare ma rischieresti di condurre una vita vegetativa che nulla ha a che vedere con la spiritualità e la contemplazione. Saper restare da soli non è così semplice, la mente può giocare brutti scherzi e turbare la quiete interiore. Bisogna avere una certa solidità psichica ed essere orientati verso i valori superiori, sentire l’armonia del silenzio, avere la capacità di vivere nel presente, percepire il senso della comunione universale con l’esistenza, ma soprattutto sentirsi in compagnia di Dio. Questo è lo status nel quale cerco di mantenermi.

Nel bellissimo libro-intervista “La risposta è nel silenzio” (curato dallo scrittore e divulgatore culturale Antonello Cresti che lei presenterà a Libropolis il prossimo 8-9-10 ottobre) ripercorre tutte le tappe salienti della sua vita e della sua carriera musicale. Interessante soprattutto la parte in cui vengono scandagliati le liriche delle sue canzoni. Com’è nata questa collaborazione con Antonello?

La collaborazione con Antonello Cresti è iniziata con la realizzazione del docufilm Non cercarti fuori, regia di Francesco Paladino. Abbiamo discusso della possibilità di pubblicare un libro-intervista ed è nato La risposta è nel silenzio.

A fare da ponte tra il suo percorso musicale che divora il sacro e le sue scelte di vita vi è anche l’attività di pittore di icone. Arte tutt’altro che semplice, visto che per immergersi nel sacro e realizzare l’immagine giusta, occorre attraversare continuamente una certa luminosità. Come nasce questa passione e come in seguito si è sviluppata?

Ho conosciuto il mondo dell’Icona mentre ero in monastero. Sono rimasto affascinato dall’aspetto ascetico-liturgico di quest’arte. Una monaca, esperta di iconografia e con un gran talento per la pittura, mi insegnò i primi rudimenti. Pian piano feci progressi. Ora credo di realizzare dei buoni lavori. Voglio sottolineare il fatto che l’icona non è un semplice oggetto decorativo, essa è realmente un veicolo che ti eleva spiritualmente. È una presenza. Florenskij nel suo capolavoro Le porte regali cita la Trinità di Andrej Rublëv come una delle prove dell’esistenza di Dio.  Ovviamente è tutto un discorso legato alla profondità di preghiera che il pittore è in grado di raggiungere. Non per niente quest’arte è sempre stata esercitata nei monasteri. I più grandi pittori di Icone in realtà sono stati dei grandi mistici. L’autore della Theotokos di Vladimir deve aver avuto per forza un contatto celeste per poter realizzare un’immagine di quella potenza trascendente.

Il grande mistero della morte mi terrorizza e affascina al tempo stesso. Per molti significa abbracciare una nuova vita, quella forse promessa dal cristianesimo. Per altri significa semplicemente scomparire nel buio. Sono allarmato dal pensiero del non essere più, del non esserci più, all’improvviso e per sempre. Fallita la tensione escatologica cara a Sergio Quinzio (la promessa di Dio, la resurrezione dei morti) cosa può rimanere di concreto per continuare a illuminare la fine della strada con l’ultimo brandello di fede?

Questa nostra avventura terrena è un breve episodio, ma è anche un grande mistero. Essa si manifesta all’interno di due eventi sui quali non abbiamo alcun dominio, la nascita e la morte.  Non conosco il pensiero di Sergio Quinzio, ma i saggi orientali dicono che i nostri patimenti e le nostre paure derivano dalla cosiddetta Avidyā, ovvero l’ignoranza. In pratica noi non sappiamo niente della vita e di noi stessi. Noi non sappiamo chi siamo. Alcune grandi anime hanno avuto esperienze di rapimenti in dimensioni di beatitudine e di luce inimmaginabile. Questa Luce Mistica Immortale è il fondamento ultimo del nostro essere. Conoscere questo fondamento ultimo significa conoscere la propria eternità. Tutte le paure vengono superate e l’esistenza si trasforma in un ringraziamento continuo, anche nella sofferenza. C’è solo una strada che ti porta a scoprire tutto questo: la meditazione. Noi non possiamo morire, e un giorno ci faremo una bella risata di tutte le nostre paure. Solo tre cose ci vengono richieste: rispetto per gli altri, retta coscienza e una fiamma nel cuore che arda verso l’alto.

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