OGGETTO: Malaparte: l’arcitutto
DATA: 12 Novembre 2021
SEZIONE: inEvidenza
Magnetico, bugiardo, geniale. Polemista e scrittore assoluto. Dialogo con Giordano Bruno Guerri intorno a Curzio Malaparte
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A fine intervista Giordano Bruno Guerri mi domanda è se il libro mi è piaciuto. Io lo davo per scontato. La scrittura è appassionata, così la storia del grande scrittore e giornalista scivola via che è una bellezza. Ammette soddisfatto che è contento di vedere finalmente ristampato questo suo saggio del 1980, L’arcitaliano. Vita di Curzio Malaparte (Bompiani, 2021). La prima cosa che mi è venuta in mente dopo averlo letto è stata quella di mettermi in contatto con lui per parlarne al telefono.

Maledetto, sornione, affascinante, bugiardo, colto, bellissimo. Malaparte ci appare come una sorta di eroe, epico e geniale. Giornalista di prestigio, arrestato e confinato, scrittore importantissimo, regista di film, viaggiatore instancabile, uomo di mondo. Da dove parte l’idea di raccontare la vita di questo personaggio completissimo e così importante?

La data della prima pubblicazione è il 1980. È un libro che ha quarant’anni ed è ancora così vivo. Tenendo presente l’anno di pubblicazione la prima necessità, il motivo che mi ha spinto a scrivere questo libro, è identica al motivo per cui scrivo tutti i miei libri; ovvero, c’è una situazione storiografica a mio parere iniqua (un personaggio giudicato in modo sbagliato) che io cerco di correggere. Nel 1980 non si parlava di Malaparte. E se lo si faceva, l’unico aggettivo usato per descriverlo era uno solo: voltagabbana. Veniva tagliato fuori da qualsiasi contesto, anche dal contesto letterario. Lo studio parte da qui, per riposizionarlo correttamente nel suo tempo e nel suo valore. Da lì, dall’uscita di questo saggio, tutto è cambiato (ed infatti oggi l’opera di Malaparte è pubblicata da Adelphi). Si tratta dunque di una operazione di revisione storiografica. Revisionismo non è una parolaccia, come cercano di farla apparire, ma si tratta del dovere di ogni attività scientifica e di ricerca. Rivedere i risultati acquisiti nel tempo e aggiornarli alla luce di nuovi studi e nuove scoperte.

Il suo saggio è diviso metaforicamente in tre parti. La nascita e l’avvicinamento di Malaparte verso la forma d’arte più congegnale. La carriera e le peripezie durante il Ventennio. Il successo letterario e gli ultimi anni della sua vita. Dove, secondo lei, Malaparte si è sentito più personaggio e uomo arrivato in queste tre fasi fondamentali?

Sicuramente nell’ultima parte, perché Malaparte voleva avere successo, ambiva al successo con tutte le sue forze in tutte le fasi della sua vita. Il tempo di maggiore gioia e soddisfazione è stato l’ultimo, quando il successo è infine arrivato. E non solo un successo nazionale (cambiava giornale e lo seguivano decine di migliaia di lettori) ma internazionale. Un successo che nessuno scrittore aveva all’epoca. Negli anni Quaranta e Cinquanta era un personaggio di fama mondiale.

Malaparte ha scritto tanto, tantissimo. Oltre ai suoi due grandi classici ritroviamo sicuramente Maledetti Toscani, Tecnica del colpo di stato, Il Buonuomo Lenin. Quali titoli importanti oggi si dovrebbero ristampare per comprendere ancora meglio questo personaggio tanto multiforme?

Sicuramente Donna come me e Sangue. Perché sono libri di alta letteratura. Ancora più curati e sofisticati di quelli citati sopra.

Nell’immenso vuoto contemporaneo di oggi, tra regole assurde, binarismi, cazzate intellettuali, mancano molto personaggi così colti e carismatici. Bisognerebbe spendere il tempo a leggere Kaputt! e non restare impassibili a guardar sbraitare in tv i caratteristi del nulla. Malaparte, Pasolini. Ma anche Mishima, Céline. Che fine hanno fatto personaggi di questo calibro? Perché non si sono più replicati? E, se esistono, chi sono oggi i nuovi Curzio Malaparte?

Domanda ciclica che spesso mi viene fatta su d’Annunzio. Dovremmo affrontare l’intero problema della società italiana e il suo stato attuale per rispondere a questa domanda. La funzione dello scrittore è un po’ rientrata nei ranghi. Lo scrittore si dedica alla scrittura, ai suoi libri, a vincere premi, a ristampare e sicuramente meno a partecipare come intellettuale d’intervento (se non in televisione). Non è più nel corpo vivo della società, facendo politica o compiendo azioni clamorose. Un po’ per debolezza un po’ perché non ci sono più personaggi del genere.

Forse l’opera più complessa di Malaparte, la più importante è Kaputt. Dentro ci sono le sue visioni, gli orrori della guerra (che lui, almeno intellettualmente, amava) il ventennio fascista. Come nasce in Malaparte l’idea di scrivere questa lunga opera così avvincente, anomala, gonfia di epica e di visioni?

Malaparte ha vissuto in pieno la guerra, su vari fronti. Non credo che amasse la guerra nel senso di prendere il fucile e sparare; amava la guerra come fatto epico fra popoli e dato storico grandioso, sia pure negativo. I dettagli del suo racconto, per lo più inventati, fanno parte del suo immaginario onirico, che in Kaputt e La pelle danno veramente il meglio proprio per via di questo sfondo della guerra.

Per certi versi associo questo romanzo al Viaggio al termine della notte di Céline (edito però dieci anni prima): entrambi miscelano fantasia, dramma, pensiero critico, diario e una certa dose di crudeltà. Possiamo davvero pensare ad un’associazione tra questi due romanzi?

Possiamo associarlo, certo. Come si può associare Malaparte a tutti i quei personaggi e scrittori studiati da Maurizio Serra, come nel volume L’Esteta Armato. Rientra sicuramente nel filone intellettuale degli scrittori da lui descritti.

Ho un problema con il presente. Siamo subissati di informazioni; la rete è tela di ragno che cattura pronta a farti sprofondare in un buco nero. Possiamo sapere qualsiasi cosa ma fondamentalmente non apprendiamo nulla. Il cervello va in tilt e i giovanissimi, spaesati e ancora privi degli strumenti giusti, affrontano il futuro con un nichilismo quasi disperato. Chissà Malaparte come avrebbe affrontato questa società così disumanizzata? Ha senso insistere, soprattutto negli anni della formazione, con una riscoperta di personaggi come Malaparte per poter risvegliare coscienze le smarrite, gli animi battaglieri assopiti, le volontà abortite?

Non sono molto d’accordo con questa sua visione, con questo annichilimento. Si tratta di una generazione che cresce con strumenti e quindi con mezzi, conoscenze e con visioni diverse da quelle passate. Dalla mia e per certi versi anche dalla sua. La diversità è una cultura che va in profondità, con la lettura dei libri, in contrapposizione con la cultura di oggi, più ampia ma che forse rimane più in superficie. Questa diversa cultura produrrà risultati diversi: che debba necessariamente produrre risultati inferiori non è dimostrato. Può produrre risultati importanti benché diversi. Magari non produrrà una quantità di scrittori raffinati e profondi, ma produrrà gente aperta al mondo e alle novità, non è detto che sia peggiore della nostra. Non sarei così negativo. Oltretutto, ho qualche indicazione confortante da due figli – eccezionali – di 15 e 10 anni, Nicola e Pietro.

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