Nel 1947 l’Impero anglo-indiano venne diviso in due stati, uno a maggioranza indù, l’altro a maggioranza musulmano sunnita. La divisione conosciuta come “Partizione” fu un fiume di sangue e di persecuzione religiosa contro le minoranze, da entrambe le parti, e sempre nello stesso anno scoppiò il primo conflitto per il controllo della regione del Kashmir. La disputa si risolse grazie all’intervento delle Nazioni Unite con la risoluzione 47 del 21 aprile 1948, che divise la regione in due territori amministrativi, uno pakistano e uno indiano. Il 19 settembre del 1960 viene invece firmato un importante trattato sulle acque del fiume Indo, i firmatari furono il presidente pakistano Ayub Khan e il Primo Ministro indiano Jawaharlal Nehru. Il contenuto di questo trattato è strategicamente cruciale, all’India andò il controllo dei fiumi orientali, il Ravi, il Beas e il Sutlej. Al Pakistan, andarono invece i tre fiumi della parte occidentale, quindi l’Indo, il Jhelum e il Chenab. Tale accordo prevedeva anche la divisione 80/20 per cento tra Islamabad e Nuova Delhi riguardante l’utilizzo dell’acqua del bacino fluviale dell’Indo.
Nel 1971 si ritorna ai ferri corti, dopo che l’India sostenne le rivendicazioni indipendentiste della regione bengalese, che allora era un’exclave del Pakistan. Questo conflitto terminò poi con la resa delle forze di Islamabad e la creazione dello Stato autonomo del Bangladesh. Le tensioni comunque rimasero sul filo del rasoio e nel 1984 scoppiò il cosiddetto conflitto del Siachen; quando l’India occupò militarmente il ghiacciaio del Siachen, che si colloca nel Kashmir settentrionale. Ci furono diversi tentativi da parte delle forze pakistane di riprendere il controllo del territorio occupato senza però nessun risultato effettivo. L’ultimo conflitto indo-pakistano risale al 1999, quando il distretto di Kargil venne occupato da ribelli del Kashmir e da truppe regolari pakistane. In questo periodo Islamabad era convinta che con la sola deterrenza dell’arma atomica avrebbe evitato un conflitto aperto con Nuova Delhi. Ma il conflitto si verificò comunque su larga scala, infine sotto pressione internazionale, il Pakistan ritirò le sue truppe.
La minaccia più concreta che l’India ha sostenuto dopo l’attentato del 22 aprile riguarda il sopra citato trattato del 1960, difatti Nuova Delhi sa bene quanto il Pakistan sia dipendente da tale accordo e lo usa come arma strategica. Nel particolare, secondo quanto riportato da Adnkronos, l’80 per cento dell’approvvigionamento idrico del Pakistan proviene dal bacino fluviale dell’Indo. La minaccia avanzata dall’India è realmente pericolosa per Islamabad, poiché produrrebbe una grave crisi agricola, nonché alimentare e riguardante anche l’afflusso di acqua potabile in tutto il paese. Di conseguenza sono state molte le manifestazioni contro l’annunciata decisione indiana, e ora si riaccende la tensione tra i rispettivi paesi, che almeno nell’ultimo periodo sembrava pressoché diminuita. A rendere il quadro generale ancora più chiaro è senz’altro la figura del Primo Ministro indiano Narendra Modi; che è un forte sostenitore del tradizionalismo valoriale indù. Un altro elemento da tenere presente riguarda il partito di cui è leader, il Bharatiya Janata Party (BJP), che segue la filosofia politica dell’Hindutva. Tale ideologia è radicata nel nazionalismo culturale che favorisce la cultura indiana, a scapito delle infiltrazioni economico-commerciali e politiche occidentali; il BJP , trova terreno fertile anche nell’islamofobia. Il premier di Nuova Delhi ha sempre avuto una posizione molto dura nei confronti di Islamabad; ad esempio, nel 2016, come riportato da Reuters, aveva definito il paese “nave madre del terrorismo” durante un vertice del BRICS tenutosi a Goa.
L’attacco del 22 aprile è stato rivendicato da un gruppo di insorti locali, il Resistance Front (TRF), che è ritenuto un ramo del gruppo armato Lashkar-e-Taiba, con base in Pakistan. Non si tratta del primo attentato nella regione, il 9 giugno dello scorso anno, un autobus con a bordo pellegrini indù è stato attaccato da militanti islamisti, il TRF rivendicò inizialmente l’attacco ma in seguito ritrattarono. Nel 2019 a Pulwama un attentatore suicida si fece esplodere contro un convoglio della polizia paramilitare indiana, morirono 40 agenti, l’attentato fu rivendicato dal gruppo Jaish-e-Mohammed. Di attentati in Kashmir purtroppo ce ne sono stati molti, con tante vittime. Come riporta El País, il governo pakistano del Primo Ministro Sharif nega qualsiasi coinvolgimento nell’attentato del 22 aprile, il premier si era mostrato nei mesi precedenti favorevole ad un progressivo miglioramento delle relazioni con l’India, attraverso l’incentivazione del dialogo costruttivo. Il 24 aprile, sono avvenuti scontri lungo la Linea di Controllo (LoC), continuati anche il giorno successivo, e che continuano anche oggi. Lo spazio aereo è stato chiuso, Islamabad ha condotto dei test missilistici, e Nuova Delhi ha effettuato esercitazioni di difesa civile. Le Nazioni unite si dichiarano pronte a sostenere ogni tentativo di de-escalation, per la stabilizzazione della regione e per lo sforzo al fine di mantenere la pace, come dichiarato dal Segretario generale Antonio Guterres. Negli stessi giorni delle tensioni, il vicepresidente statunitense JD Vance è stato in visita in India, dal 21 al 24 aprile. L’erede del movimento MAGA -ha dichiarato- che con il Primo Ministro Modi, sono state raggiunte ottime intese, per quanto concerne i colloqui commerciali. Per Washington è fondamentale accaparrarsi l’alleanza con Nuova Delhi, che in un’ottica futura potrebbe rappresentare un freno all’espansione cinese, che sta attuando una magistrale politica di soft power. JD ha anche cercato di “tranquillizzare” i timori riguardanti il delirio tariffario di Trump, affermando che USA e India insieme possono rafforzare il loro legame, basato sull’equità delle relazioni commerciali, come riportato da Associated Press (AP).
Ci si chiede quale sia il rischio di escalation militare, soprattutto poiché ci troviamo dinanzi a due potenze nucleari della regione. L’India ha condotto il primo test nel 1974, denominato “Smiling Buddha”. Mentre il Pakistan si è dotato di armi nucleari a partire dal 1998. La Federation of American Scientists (FAS) – organizzazione statunitense no-profit, che si occupa di ricerca scientifica e tecnologica, anche in ambito di difesa e politica internazionale – stima che l’India avrebbe prodotto abbastanza plutonio per un massimo di 210 testate nucleari, e che ne avrebbe almeno 172 già assemblate. Di contro, il Pakistan ne avrebbe prodotte invece circa 170, come riportato dalla Arms Control Association (ACA), altra organizzazione, sempre degli Stati Uniti, che promuove il controllo degli armamenti. Continuando con l’analisi strategica, secondo il Global Firepower Index, la classifica militare globale del 2025, Nuova Delhi si posiziona al quarto posto, mentre Islamabad al dodicesimo. Difatti entrambe le nazioni dispongono di un posizionamento di tutto rispetto, e le rispettive forze armate hanno anche una lunga esperienza sul campo acquisita nel corso dei numerosi conflitti combattuti tra le rispettive parti. La vera sfida della diplomazia in questo caso è cercare di ristabilire un ordine nella regione del Kashmir, ma pare che non ci sia abbastanza spazio di dialogo tra le due nazioni, ed è probabile che in futuro a mediare non siano potenze occidentali, ma paesi del “blocco orientale”, tra i possibili candidati c’è la Federazione Russa, che intrattiene ottimi rapporti sia con l’India che con il Pakistan. Come riportato da Reuters, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato che il Cremlino è pronto a favorire una risoluzione diplomatica onde evitare un’ulteriore escalation, ed ha avuto una telefonata con il suo omologo pakistano il 4 maggio, e due giorni prima con quello indiano. Inoltre il portavoce del Ministero degli Esteri indiano Randhir Jaiswal ha scritto su X che il Presidente Vladimir Putin ha parlato lunedì con Modi, e ha condannato fermamente l’attacco terroristico del 22 aprile. Anche la Cina potrebbe giocare un ruolo cruciale, sfruttando il vuoto lasciato -apparentemente- dagli Stati Uniti, per innalzarsi a potenza indiscussa nella regione utilizzando lo strumento diplomatico ed economico. Ricordiamo inoltre che Pechino ha i propri interessi nel Kashmir, ne possiede infatti una parte, e quindi è possibile immaginare un suo futuro intervento diplomatico, volto a calmare le acque. Come riportato da AP, ieri il ministro degli Esteri iraniano ha avuto dei colliqui con funzionari pakistani per cercare di arrivare ad una mediazione tra Islamabad e Nuova Delhi. In particolare, Teheran invita alla moderazione sottolineando la pericolosità derivante dal possesso da ambo le parti di armi nucleari.
Storicamente la Russia ed il Pakistan hanno avuto diverse tensioni, legate al fatto che durante la guerra fredda Islamabad si era legata agli Stati Uniti, mentre l’Unione Sovietica aveva un rapporto privilegiato con l’India, anche in un’ottica antimperialista. Il progressivo riavvicinamento tra il Cremlino ed il Pakistan è avvenuto concretamente prima con il ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan, e successivamente con il disgelo e la caduta dell’Urss. Successivamente sono stati raggiunti dei traguardi nella cooperazione tra i rispettivi paesi, per la lotta al terrorismo e le manovre militari congiunte. Nel 2021, il governo pakistano e quello russo, si accordano inoltre per la costruzione del gasdotto Pakistan Stream, della lunghezza pari a 1.100 km; tale accordo rispondeva all’esigenza di Islamabad di garantirsi l’approvvigionamento energetico, in virtù della crescente domanda. La situazione rimane comunque molto delicata, continuano infatti le sparatorie lungo la Linea di Controllo, e il Pakistan assume che ci siano prove credibili di un imminente attacco indiano, come riportato da diverse agenzie stampa. Le relazioni diplomatiche tra i due paesi si sono interrotte, e le parole sembrano lasciar spazio ad una crescente sfida psicologica attraverso la minaccia di interventi militari, il malcontento si fa sentire tra la popolazione pakistana, per via della aggravata situazione economica. Bisognerà tenere sotto osservazione tutte le varie dinamiche interne dei rispettivi apparati politici, e considerare anche il peso delle lacerazioni in atto tra le grandi potenze, inoltre sarebbe rilevante comprendere tutti gli interessi strategici che sono collegati a questa complicata sfera d’azione.