OGGETTO: Umano, per sempre umano
DATA: 28 Marzo 2025
SEZIONE: Postumano
FORMATO: Scenari
AREA: Altrove
Che ne sarà dell'uomo in un'epoca di progresso avanzato e di dominio della tecnica? Rileggere Dune di Frank Herbert, o il "Ciclo delle Fondazioni" di Isaac Asimov, ci aiuta a comprendere lo scenario più inquietante fra tutti: saremo disumanizzati solamente nella misura in cui ci lasceremo disumanizzare.
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L’umanità resterà tale anche dopo la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Resterà umana, perché inevitabilmente le tecnologie sono e saranno libere solamente di servire e ampliare il livello di potenza delle maggiori collettività. Talvolta, immaginando futuri distopici in cui l’uomo, svuotato delle proprie responsabilità potrebbe abdicare alla superiore capacità di sopravvivenza delle IA, si dimentica quanto di materico soggiaccia a simili incubi. La materia tradotta in carne, ideologie e metafisica, non può farsi da parte neppure dinanzi a ciò che apparentemente è eterico.

Su queste colonne, non più di due anni fa, preconizzammo la morte dell’umano in nome dell’idolo tecnico e tecno-scientifico, declinato in un crescente principio di irrealtà che alle spaventose città futuriste di Neom, al delirio del metaverso e all’irreale, avrebbe preferito un comodo ritiro dal mondo. Un’anarchia non militante, crepuscolare. Simile a quella dei monaci ed eremiti sul finire dell’impero romano. Invocata da filosofi come Heidegger, da registi come Miyazaki. Nuove Atlantidi e deviazioni concettuali, sono figlie dell’assommarsi – tipico delle civiltà al crepuscolo – di ossessioni e paure dell’ignoto tali da impedirci di scorgere gli invisibili lacci che continuano a tenere insieme tutto il sistema.

Dismessi i panni della catastrofe tecnica prossima ventura, provando dunque a rivedere e forse a contraddire quanto a suo tempo sostenuto, ci si può comunque ritirare dal mondo. Sapendo però di sfuggire a un mondo che è tremendamente umano. Anche nelle sue distorsioni. Ciò che pure nella letteratura fantascientifica sussiste, quando questa non finisca per assecondare le ossessioni decadenti, è che l’elemento umano non può essere disciolto nemmeno dalle sue invenzioni o fantasie più perverse.

Nel “Ciclo delle Fondazioni” di Asimov, come in “Dune” di Herbert, tecnologie pur avanzatissime passano quasi in secondo piano rispetto agli umori sempre presenti che regolano i delicati meccanismi del potere. La fantascienza di Asimov è dispiegamento intergalattico delle medesime pulsioni e degli stessi lacci securitari che regolano e deflagrano nel confronto tra le grandi potenze. Nel mentre, un convitato di pietra si insinua tra le pieghe della successione dei protagonisti del ciclo di romanzi: la storia e la sua interpretazione. In gergo asimoviano: la psicostoria. Una chiave di lettura infallibile del processo di disgregazione dell’impero galattico, della necessità di correre ai ripari e di adattare costantemente la propria manovra per non soccombere.

La Fondazione è una comunità che rischia di crollare ogni volta che smarrisce il senso della realtà, rifugiandosi in solide certezze o replicando schemi già noti. Da qui un continuo ripensamento. Il ritorno alla bussola del passato, letto in maniera critica e senza alcuna sudditanza. La psicostoria è comprensione complessa della fenomenologia umana. Nel dipanare le paure, le pulsioni, le reazioni degli uomini dell’impero galattico, sta tutta la sua potenza. Sorta di Provvidenza Divina, al servizio dell’impero degli uomini. Nessuna tecnologia, fosse anche la più avanzata, può nulla contro un tale profondo scavo e una simile comprensione dell’uomo, perché a servirsi delle tecnologie sono sempre esseri umani. Non a caso il “Ciclo delle Fondazioni” non contempla esseri robotici, come in altre fortunate opere di Asimov.

Parallelamente, in “Dune” la metafisica della storia emerge come potente transizione verso un destino già deciso. Un destino che non sarà migliore, né esente dalla violenza. Rimanere estranei alla metafisica, al sentimento collettivo dei popoli, è esercizio pericoloso pari al trascurare la psicostoria. Nessuna teoria politica astratta e nessun meccanismo di semplice bilanciamento tra le casate dell’Imperium può ignorare l’importanza della comprensione e dell’assimilazione di Arrakis. Fulcro concettuale dell’intera vicenda narrata da Herbert è dato non solo dal possesso della “spezia”, ma piuttosto dal controllo delle “anime” di Arrakis. Non con le armi, né con una manifesta superiorità di valori o di strumentario tecnologico, bensì siglando una nuova, santa alleanza con i Fremen possono crearsi i presupposti per il contrattacco.

La profondità umana è principalmente culturale. Esiste, nonostante da decenni si sostenga la sostanziale uguaglianza razionale di ogni essere umano. Di stereotipi, superstizioni e leggende si nutre la complessità dell’umano. Neppure nel più tecnologicamente avanzato futuro verranno meno tali sfumature. Un certo grado di violenza che sembra connaturato nella concezione naturalmente spaziale delle collettività di ogni epoca storica, diviene dunque il motore di ogni progresso. L’elemento da cui scaturisce lo stesso incubo tecno-scientifico. Non la tecnica che disumanizza l’umano, ma l’umano che a costo di sopravvivere accetta di lasciarsi disumanizzare. Posto che si possa essere, davvero, disumanizzati.

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