OGGETTO: Safari Sarajevo
DATA: 31 Agosto 2024
SEZIONE: Storie
FORMATO: Racconti
AREA: Europa
I 1425 giorni dell’assedio di Sarajevo, avvenuto nel cuore degli anni Novanta, furono teatro non solamente di una guerra cruenta, scandita da odi etnici; in quei giorni, come denunciato dal documentario di Milan Zupanič, la barbarie trovò il suo punto culminante quando “turisti” occidentali diedero dimostrazione di quanto la morale umana possa, miserevolmente, regredire allo stadio animale.
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È l’estate del 1994. Gli Stati Uniti vivono a pieno l’illusione della loro egemonia unipolare sull’orbe terracqueo. Tale potenza è resa ingenuamente munifica attraverso l’organizzazione dei Campionati mondiali di calcio in stadi dall’erba tosata al millimetro e di colore verde fluorescente.  

In Italia sulle note di Jovanotti si «pensa positivo» seguendo, sullo schermo di televisori Mivar full-color e cornetto Algida a sciogliersi sulle dita, il ritmo da rullo compressore della Nazionale di Maldini e Baggio che viaggia, a suon di gol, verso la finale di Pasadena. Da Milano a Palermo, come nelle case-vacanze dell’Elba o dell’Eolie, si vivono spensierate le ore delle notti magiche, che solo le zanzare infastidiscono.

In quegli stessi giorni un ristretto gruppo di uomini facoltosi, di varia provenienza – statunitense, russa, canadese, italiana, spagnola – atterra all’aeroporto di Belgrado. Sono turisti ma non indossano brache corte né camicie Acapulco, i loro borsoni sono pesanti e viaggiano nelle stive degli aerei con il supplemento del bagaglio speciale anche se non con tengono mazze da golf. I turisti in questione portano anfibi, occhiali neri antiriflesso e tuta mimetica per la caccia nei boschi, nelle loro borse ci sono cartucce, mirini notturni, treppiedi e fucili di precisione. Non escono dall’aeroporto, ma è un uomo in divisa – lui invece un autentico ufficiale di professione – a condurli in una un’altra pista di decollo, questa volta defilata. Ad attenderli c’è un elicottero militare: il trasferimento è verso la cittadina di Pale, sulle colline che circondano Sarajevo.

Due anni prima, nell’aprile del ’92, i carri armati delle forze serbo-bosniache – in opposizione alla decisone del governo bosniaco di rendersi indipendente dalla Federazione Jugoslava, in quel momento la maschera di uno stato non più multietnico, che voleva coattamente farsi serbo -, avevano preso posizione sulle alture intorno a Sarajevo, chiamando a raccolta i serbi ortodossi che lì abitavano. Sebbene a pochi chilometri dalla capitale bosniaca quelle colline già erano l’abbozzo di uno stato sostanzialmente secessionista e filoserbo che gli accordi di Dayton avrebbe riconosciuto con il nome di Repubblica Srpska, ossia la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. La sua capitale era appunto la città di Pale. Questa fu uno degli avamposti militari dai quali furono condotti i 1425 giorni dell’assedio su Sarajevo, il più lungo della storia del Novecento. Pale fu scelta come capitale in quanto città ricca di valori simbolici per l’epos popolare serbo: nei secoli passati, era stata la piazzaforte degli aiducchi, i combattenti antiturchi; poi, quando divenne polo strategico, subì un repentino mutamento. Si trasformò in centro politico, militare e propagandistico con tanto di televisione (canale S) ed agenzia di stampa (la SRNA), il suo campo da calcio fu trasformato in pista di atterraggio per gli elicotteri, la sala cinematografica in prigione per i musulmani bosniaci catturati e per i serbi non allineati. La città, sotto il controllo delle truppe del generale Ratko Mladic – futuro boia di Srebrenica -, si riempì di milizie armate fino ai denti, le “tigri” del signore della guerra Arkan vi facevano tappa fissa. Più che ad un resort a cinque stelle Pale assomigliava ad un paradiso della violenza.

Ciononostante, è per arrivare in questo avamposto che i facoltosi turisti occidentali hanno pagato un fiume di denaro. Desiderando un break dalla languida estate del ’94, tramite canali opachi, si sono comprati un week-end adrenalinico sul fronte per un safari umano. Dal loro punto vista irripetibile occasione, causata dalla peculiarità di quella guerra, per tentare di colpire un bersaglio civile, vivo, con la certezza dell’impunità, anzi per tornare, pochi giorni dopo, sulle spiagge battute dalla radiocronaca delle vicende calcistiche. Fornito di fucile di precisone, protetto dagli alberi e con la visuale completamente spalancata sulla città in asfissia, durante le guerre balcaniche, chi aveva i soldi per un giorno poteva essere cecchino, poteva avere il potere di togliere la vita mentre vigliaccamente si nascondeva fra le colline.

La pratica del safari umano a fini turistici sulla Sarajevo assediata è una delle pagine rimaste oscure di una guerra amorale di cui si riteneva, oramai, di sapere tutto. La denuncia è arrivata nell’estate del 2022 all’Al Jazeera Balkans Documentary Film Festival, una rassegna di film e documentari di impegno su temi sociali. In quella occasione il regista sloveno Milan Zupanič ha presentato un documentario di 75 minuti – Sarajevo Safari, disponibile su Mubi – in cui scopre, tramite testimonianze di prima mano, quanto l’essere umano può essere senza scrupoli. Capace di sparare con un fucile da cecchino sulle teste di civili inermi, nel contesto di una guerra in cui non è neppure coinvolto, al solo fine di soddisfare un desiderio sadico. La barbara attività venatoria è messa su pellicola da Zupanič per dimostrare soprattutto, grazie all’indiscutibile forza delle immagini, quanto la miseria umana possa raggiungere profondità che vadano oltre l’orizzonte del pensabile. 

Le indagini sui responsabili, sull’identità dei “turisti”, sono tuttora in corso. Ad oggi si conosce solamente il volto di una persona, peraltro piuttosto nota, che ha partecipato al safari. Questa persona è Eduard Limonov. Il cangiante scrittore e fondatore del partito nazional-bolscevico russo, la cui vita ha ispirato la biografia di Emmanuel Carrère, edita in Italia per Adelphi. In quest’ultima si narra della diretta partecipazione di Limonov alla guerra in Bosnia a fianco dei serbi, con tanto di simpatici scambi d’amicizia con il generale Arkan; d’altra parte, uno dei momenti topici della suo soggiorno nei Balcani, quando si sdraia, in posizione di tiro e con l’occhio sul mirino della carabina, pronto per sparare una sventagliata di colpi sulla città, sebbene omesso dal testo adelphiano, è stato reso pubblico dalla BBC e può essere fruito direttamente su Youtube

Roma, Aprile 2024. XVII Martedì di Dissipatio

Sul Viale dei cecchini, a Sarajevo, all’altezza dell’hotel Holiday Inn,vi era un cartello, immortalato dallo scatto del fotografo Enric Marti, su cui vi era apposta una macabra ingiunzione: “RUN OR R.I.P.”. Ai cittadini della capitale bosniaca questo monito era arcinoto, così come la convivenza con la morte, solo non sapevano che quest’ultima poteva essere portata oltre che da un soldato nemico, come sempre avveniva nelle guerre, anche da un turista annoiato, come per la prima volta avvenne in quell’estate del ’94.

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