Uno sparo. Uno soltanto. Un colpo di pistola alla tempia. Intorno il buio, esangue, di una torrida notte d’estate. Aveva spento la luce. Aveva smesso di leggere. Finito di scrivere. L’orologio allacciato al polso segnava la 1 e 30. Una strada laterale, una piccola casetta, quasi un rifugio, un tana, nella morbida provincia prealpina. Il tempo si ferma qui, fra il 31 luglio e il 1° agosto 1973. Nel cuore di quella calda notte varesina, un uomo di sessant’anni decide di togliersi la vita. Quest’uomo che ha nome Guido Morselli, sulla carta d’identità, aveva scritto, per vezzo, “agricoltore”. Prima di togliersi la vita, fuma una pipa, il resto del tabacco rimane sul tavolo, scrive alcuni appunti sul diario e brevi note postume sul calendario. Forse beve un sorso di vino rosso, forse del cognac. Che cosa si fa prima di togliersi la vita? Si posano gli ultimi sguardi. Con tenerezza, con struggimento, con una sorda rabbia. Si prende commiato dalle care cose. È un addio. Lente lacrime gli rigano le guance. Il cuore è in tumulto. Gli occhi scuri scintillano. Sul tavolo una lettera per la Questura raccoglie le sue ultime parole: “Non ho rancori verso nessuno”. La parola rancore è tutta riversata dentro se stesso. L’unico. “L’eletto, il dannato”. Nessuno poteva immaginare che, dietro ai tormenti dell’uomo, si nascondeva un grandissimo scrittore. Se fosse un romanzo, sarebbe Dissipatio. Dissipatio H.G.. Se fosse un film, si chiamerebbe, forse, Dissipatio H.G.. Un film tratto dal suo romanzo non l’hanno ancora girato.
«Fare attenzione perché l’arma è carica» aveva scritto, di suo pugno, nel testamento in cui destinava quella terribile Browning 7,65 a suo fratello, Mario, insieme alla penna stilografica d’oro. Una pistola vale quanto una penna dorata. Un biglietto lasciato sul tergicristalli della sua Lancia Ardea, il testamento abbandonato sul tavolo. Dalla cassetta delle lettere oscilla una busta rispedita al mittente dalla casa editrice: Dissipatio H.G., la sua ultima opera letteraria. Il libro così smarrito dev’essergli sembrata una condanna a morte, la condanna definitiva al silenzio. Il profetico romanzo Dissipatio H.G. (in italiano: “dissipazione del genere umano”) di Guido Morselli concepito nel 1973, pochi mesi prima del suicidio, era stato rispedito, dalle case editrici, alla casa del mittente. E questo suo romanzo è uscito postumo, con Adelphi, nel 1977. Il protagonista, unico personaggio vivo di Dissipatio H.G., in questi giorni pandemici, un po’ assomiglia a qualcuno che conosciamo bene: lucido, ironico, ipocondriaco e, soprattutto, fobantropo. Non odia gli uomini, ne ha paura. «Andarmene, dunque, senza lasciare traccia. Questo mi è parso essenziale»: le parole fischiano come proiettili, dal revolver ancora caldo e carico che ha nome Dissipatio H.G., a distanza di quasi mezzo secolo. La soluzione sembrava a portata di mano, «liscia e pulita, facile». Si allude alla Browning, come fosse una donna, nel testo. «Sono andato a prenderla, la mia ragazza dall’occhio nero, mi sono ridisteso sul letto con lei. Ho premuto la bocca sulla sua, a lungo. L’ho sollecitata col dito, una prima volta. Non abbastanza a fondo. E una seconda volta, sempre con la bocca sulla sua Non la terza, perché d’un tratto l’ombra mi ha avvolto. E la quiete». La morte come l’amore. Fare alla morte, come all’amore. Il protagonista di Dissipatio H.G. aveva deciso di farla finita, di togliersi la vita, in uno strano laghetto, in fondo a una caverna, in montagna. All’ultimo momento, forse, un ripensamento e la decisione di tornare indietro. In quella parentesi, quel breve intervallo, il genere umano (H.G., appunto) è scomparso. Dissipato. Parentesizzato. Volatilizzato.
Nella traduzione americana di Dissipatio H.G. (New York Review of Books, dicembre 2020), a cura della compianta Frederika Randall, al titolo originale latino è stata aggiunta un’ulteriore precisazione dopo i due punti: “The Vanishing”, espressione che, in italiano, riesce riduttivo rendere con un semplice “svanire”. Si tratta della fine del mondo, del resto. «Uno degli scherzi dell’antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra. La caduta dei cieli. Non esiste escatologia che non consideri la permanenza dell’uomo come essenziale alla permanenza delle cose. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi. (…) Andiamo, sapienti e presuntuosi, vi davate troppa importanza. Il mondo non è mai stato così vivo, come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. Non è mai stato così pulito, luccicante, allegro». «It’s the End of Humanity. Maybe It’s for the Best» ha titolato il New York Times recensendo “Guido Morselli’s eerie and fantastical 1977 novel”, lo scorso gennaio 2021, con un articolo firmato da Dustin Illingworth. Poche settimane fa, postumo e intraducibile il capolavoro morselliano è apparso in Germania, grazie alla prestigiosa casa editrice Suhrkamp Verlag, tradotto da Ragni Maria Gschwend (con postfazione dello scrittore sassone Michael Krüger). Dissipatio H.G., in Germania accanto al titolo affianca la parola “Die Einsamkeit”, che significa “la solitudine”. Solitudine o scomparsa? Quale di queste due parole racchiude l’enigma di Dissipatio? “Relitti inconsistenti, e ormai reliquie. Da quella notte un mezzo mese è trascorso. Un lungo panico, in principio. E poi, ma tramontata subito, incredulità, e poi di nuovo paura. Adesso l’adattamento. Rassegnazione? Direi proprio accettazione. Con intervalli di proterva ilarità, e di feroce sollievo”. Non sono forse parole, queste reliquie del 1973, che descrivono il nostro presente, con assoluta, spietata precisione?
«Gli uomini hanno scatenato, in trenta secoli, circa 5000 guerre. Hanno avuto il torto (la trovata risale a Albert Camus), se non di cominciare la Storia, di proseguirla. Io non li condanno. La loro colpa peggiore, o più recente, era l’Imbruttimento del mondo. Si usava aggiungere altre imputazioni: l’Inquinamento, l’Inferocimento (anzi, con eufemismo, la ‘violenza’). L’Inflazione. (Senza eufemismo: la peste monetaria). Io non li condanno. Forse mi basta di sapere Crisopoli ridotta a Necropoli. È un castigo adeguato, ai miei occhi».
Guido Morselli
A che scopo? È un trauma, inconcepibile e irrazionale, una realtà surreale che paralizza, che agita le psicosi. «Sul trauma paralizzante, si leva e vaneggia la paura. Che è fatalmente un male della ragione discorsiva, estraneo agli angeli e alle bestie». La dissoluzione secondo Morselli “doveva avvenire nell’ambito o nei pressi della privacy, altare dell’individualismo. Ciascuno per suo conto, dove e come i casi suoi o i suoi usi e interessi portavano”. Chi vive, sopravvive. Eletto o dannato[1]. Solo e superstite. “Certo è che sono il superstite. Per caso? Mi rispondo no. Ho sempre pensato che il Caso, supposto che esista col C maiuscolo non sia «asylum ignorantiae», non si distinguerebbe in alcun modo da una superiore volontà imperscrutabile. I Lloyd’s, i grandi assicuratori londinesi, non consideravano uragani e colpi di mare, incendi e terremoti, fatti accidentali o ‘accidenti’, li chiamavano, ufficialmente «acts of God». Io sopravvivo. Dunque sono stato prescelto, o sono stato escluso. Niente caso: volontà. Che spetta a me interpretare, questo sì. (…) È un’alternativa assoluta, ma mi si concede di scegliere. Io, l’eletto o il dannato. Con la curiosa caratteristica che sta in me eleggermi o dannarmi. E bisogna che mi decida”. Cucirsi la propria prigione, tessere, in solitudine, la propria tela di ragno, recintare il proprio corpo con un immaginario filo spinato ha significato aver salva la vita. Non è forse così? Eppure già Guido Morselli, in Dissipatio H.G., pensava ai bisogni da soddisfare, alle provviste da mettere in cascina.
«Bisogni? Ahimè, mi mancheranno, sono già tutti soddisfatti. L’umanità ha faticato per secoli al solo intento di accumularmi provviste. Cibi, bevande, vestiti. Combustibili».
Guido Morselli
Ma al di là della società, una “cattiva abitudine”, chi sopravvive al cupio dissolvi cerca soccorso, cerca aiuto, va perdutamente in cerca di un medico. Ma nemmeno il dottore risponde al telefono. C’è una pandemia, ora, come si fa? È Karpinsky. «Sentivo una voce, la sua. Karpinsky, il medico che mi curava, era un uomo intelligente. Indipendente d’idee, o almeno non conformista. E era umano. Forse per questo non lo amavano». Umano, tanto umano, da essere quasi una figura salvifica, cristologica. Un esempio di virtù. «Non beveva, mangiava poco: gli piacevano le Gauloises, aveva le dita gialle di nicotina, e le moto di grossa cilindrata». L’ultimo uomo, l’ex uomo, è, però, convinto che lo rivedrà. «Vero e presente. Ritto nel suo camice bianco, macchiato di sangue sul petto dove l’hanno colpito. A braccia aperte. Ma la testa china come quando, nella mia camera, mi ascoltava, appoggiato alla finestra; e sotto il camice spunteranno i calzoni sgualciti». L’ultima parola proiettile del romanzo è una sigaretta, l’ultima parola di Dissipatio H.G. è dedicata a un medico, al dottor Karpinsky. Questa parola è “gauloises”. In tasca l’ultimo uomo, il sopravvissuto alla fine del mondo, tiene, per lui, per un medico, un pacchetto di gauloises.
[1] “Io sopravvivo. Dunque sono stato prescelto, o sono stato escluso. Niente caso: volontà. Che spetta a me interpretare, questo sì. Concluderò che sono il prescelto, se suppongo che la notte del 2 giugno l’umanità ha meritato di finire, e la “dissipatio” è stata un castigo. Concluderò che sono l’escluso se suppongo che è stata un mistero glorioso, assunzione all’empireo, angelicazione della Specie, eccetera. È un’alternativa assoluta, ma mi si concede di scegliere. Io, l’eletto o il dannato. Con la curiosa caratteristica che sta in me eleggermi o dannarmi. E bisognerà che mi decida. Ha un bel dire Baudelaire il Mago: “Plonger au fond du gouffre, Enfer ou ciel qu’importe? Au fond de l’inconnu…”, p.86