Rileggo gli appunti della pandemia. Inizio dalle prime pagine. Rivedo un’immagine. Balza agli occhi, con violenza. Fa a pugni con quella dei camion militari con le bare dei morti per Covid a Bergamo. Papa Francesco, solo, unico, eletto, sul sagrato della Basilica di San Pietro. Confronto le due immagini. Lo stesso silenzio che annichilisce. Il suono continuo delle sirene delle ambulanze, sullo sfondo. “Da settimane sembra sia scesa la sera” dice, quel tardo pomeriggio (sono le 18 circa) il Pontefice. Piazza San Pietro è deserta. Scende, incessante, una pioggia sottile. Come unico riparo, Francesco sceglie l’ombra del crocifisso che la telecamera, indiscreta, indugia a osservare. Quel Gesù crocifisso mezzo nudo, anche lui viene bagnato dalla stessa pioggia. Cerco, in internet, l’orazione del papa. È la fine di marzo 2020. Leggo uno stralcio:
“Fitte tenebre si sono addensate sulle città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda”.
Papa Francesco
Papa Francesco, da qualunque parte lo si voglia guardare, è il diverso. È lui il papa che non si è “fatto dopo la morte di un papa”. Insomma è l’altro. Non, banalmente, “un altro”. Avevamo già letto questa sua rivoluzione nella storia pontificia come una profezia morselliana, già preconizzata in Roma senza papa. “Il primo papa della mia vita, quello sotto cui sono nato, è anche l’ultimo papa che è stato a tutti gli effetti regnante: Pio XII”. Con il sottotitolo “Cronache romane di fine secolo ventesimo”, Roma senza papa è stato il libro d’esordio del Guido Morselli postumo, pubblicato da Adelphi nel 1974. Un anno dopo il suicidio dello scrittore, un anno dopo quella notte del 1973, il suo colpo di pistola. Viene alla luce al grande pubblico uno scrittore imprescindibile della letteratura italiana contemporanea e Giulio Nascimbeni lo battezza: è nato un gattopardo del Nord. Ma non è solo Gattopardo, del resto quella di Nascimbeni sul Corriere della Sera era una provocazione, anzi “la prima tentazione”. Roma è senza papa perché il pontefice a tempo si è trasferito a Zagarolo. Ma il papa di Morselli che pontefice è? Un bellissimo Giovanni XXIV. “Il bellissimo viso fratesco (dicono che abbiamo il più bel papa dei tempi moderni) guarda con una dolcezza ispirata e un po’ astratta”. Jorge Mario Bergoglio, il papa regnante (che è nato a Buenos Aires nel 1936) non è certo un adone, ma cerca di dare di sé un’immagine di dolcezza (malgrado lo schiaffo stizzito alla cinese, giusto poco prima della pandemia da coronavirus).
Nel romanzo di Morselli, siamo alle soglie del 2000. Chi parla è don Walter, sui quarant’anni, svizzero, affascinante sacerdote – giornalista seppur di “un giornale di provincia” che aveva veduto pubblicato un suo saggio dal titolo Difesa dell’Iperdulia. Vuole incontrare il Papa. Nel piccolo come nel grande, nonostante le gerarchie, l’amore, per chi indossa l’abito talare, è anche terreno, profano, insomma ci si può fidanzare. Altri tempi. Crolla il mito della castità in un mondo che ha le incrostazioni della vecchia morale per cui essere figlio di un prete è quasi un insulto. “Fijo de prete” dicono i bambini in coro che non hanno ancora digerito l’ultima novità, cioè il “matrimonio ecclesiastico”. Anche don Walter, coniugato, rilancia l’attrattiva del celibato: è più appetibile della sua abolizione, una “sconfitta della carnalità”. A Milano: “sui muri dell’arcivescovado, scritte a gesso ancora leggibili insinuano: Prima la pillola, poi la moglie”. Il Papa di Morselli ha una fidanzata. “La fidanzata del Papa” ha un nome indiano, Oona Lynne Berenice Maraswami. È una teosofa e missionaria di buddhismo zen, di Bengalore. Non è però una gran bellezza: “cinquantenne, brutta e non per ossequio alla moda, pozzo di scienze vertiginose, autrice di quattro volumi sul neoplatonismo e suoi influssi sul misticismo orientale”. “La chiesa volta a volta si è messa contro l’uso del tabacco, la vaccinazione, il parto indolore, gli anticoncettivi, l’eutanasia, e alla fine ha dovuto approvare tutto. Incanalare i fenomeni sociali, non ignorarli o combatterli, questa è la sapienza cristiana”.
Ma torniamo alla piazza San Pietro deserta. Il preludio della Dissipatio. La dissipazione del genere umano. A Roma non c’è il Papa, secondo la vulgata morselliana. È il contrario di quanto avvenuto a fine marzo 2020. A Roma c’era il Papa, ma Roma non c’era. Una scena da film, si è detto. Papa senza Roma, il rovesciamento della profezia morselliana. Ma le profezie, spesso, parlano a contrariis. Don Walter torna nella capitale cardinalizia.
“Quando la nostra comitiva rimise piede in città, questa ci parve, o parve a me, diversa. L’assenza del grande Romano (non Giovanni o Pio o Benedetto, ma Lui, impersonalmente e sovranamente), quella assenza, stata dianzi un’idea, diveniva una misurabile lacuna, aperta nelle cose, più che fra gli uomini. E le cose la subivano disfacendosi”.
Guido Morselli, Roma senza papa
Non è il ritratto di quanto stiamo vivendo? Quel dipinto che sa “di squallore noto, e senza compenso”. Sono parole antiche, quelle scritte da Guido Morselli nell’Anno Domini 1966. Ma sembrano scritte ieri, oggi anzi. “Sotto l’asfalto screpolato o disciolto, per le strade, rispuntavano sconnesse le piccole selci consunte. Polvere nelle vetrine e sui davanzali, negli sporti delle facciate, polvere e stanchezza di tanti anni addensati e inutili. La città cessava di essere antica, era vecchia, per la prima volta”. La città eterna ci è sembrata, improvvisamente, in un tardo pomeriggio del 2020, vecchia. Vecchia come quel signore vestito di bianco, piegato su se stesso, che pregava. Le mani giunte, sotto la pioggia.