OGGETTO: Prospettive marziane
DATA: 03 Dicembre 2024
SEZIONE: Società
FORMATO: Scenari
Fin dalla epoca d'oro della Fantascienza si è sognato di Marte e oggi sembra si sia sempre più vicini a raggiungerlo. Almeno a parole, da oltreoceano arrivano segnali che indicano come l'umanità sia destinata a diventare una specie "multiplanetaria" e che dunque serva sviluppare, fra le altre cose, una economia spaziale, in particolare del primo settore. Ma questo allontanamento dalla Terra potrebbe nascondere una volontà di distaccarsi dalla condizione umana, forse un desiderio ultimo di diventare noi stessi i marziani.
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Le prospettive spaziali dell’uomo sembrano aver trovato nel Pianeta Rosso, il nuovo e più accessibile obiettivo. A seguito di promesse trumpiane e muskiane, gli interessi finanziari ed economici nel corroborare ricerche dedite al raggiungimento di questo risultato – il piede umano su Marte – sono di certo aumentati. Tali esointeressi rispetto alla terra, fomentati da un nuovo tipo di corsa spaziale a tre, USA, Russia e Cina (e forse anche una ESA da aggiungere), possono rendere fieri i migliori progressisti. Questa nuova frontiera da superare infatti non si esime dalla necessità umana, premesso che esista, di superare i propri limiti.

Eppure un grande scrittore di Fantascienza nel 1964 diede alle stampe un romanzo dacché potrebbe tranquillamente risultare un anticipo del mondo che sarà: Noi Marziani di Philip K.Dick. Questo autore ci ha dato più volte prove del suo genio anticipatore dei tempi, ad esempio su Do Androids dream of electric sheep? (1968), dove una Los Angeles distopica è invasa da prodotti e pubblicità cinesi e dove gli Androidi sono indistinguibili dagli umani. Dick , tra i suoi romanzi e i suoi racconti, ci ha dato molti altri casi di fantasia estrema proiettata in un futuro schizofrenico, ma con una lucidità tale nel disporre le conseguenze possibili da non risultare così lontano da una cinica realtà. Proprio su Noi Marziani un ragazzino autistico si ritrova invischiato irrimediabilmente nella rete di interessi di speculatori edilizi e costruttori di reti idrauliche senza poterne uscire se non tramite la violenza. Egli è l’elemento sacrificale che gli sciacalli dell’Oikos sono pronti ad utilizzare come pedina per le proprie soddisfazioni, per nulla interessati al loro bene. Sempre nello stesso romanzo, appare un robot con la forma di Abraham Lincoln alimentato ad energia nucleare, che ripete per L’eternità un discorso sulle macerie di una scuola.

Philip K. Dick getta un monito sulla Hybris umana e sul suo essere il motore immobile della dannazione e lo fa contestualizzandolo nella fantascienza. L’uomo fantascientifico di Dick proietta nel futuro i suoi drammi e le sue debolezze, manifestando una fallibilità che sembra distruggere qualunque predisposizione progressista incline alla fantascienza.  Questo è il contrario di ciò che Condorcet proponeva su “Abbozzo di un quadro storico sui progressi dello Spirito Umano”, un vero e proprio manifesto del progressismo datoci dal martire della rivoluzione francese. In tale testo il progresso umano verso un futuro florido, non solo tecnicamente parlando, ma anche da un punto di vista morale, è un qualcosa che Condorcet ritiene insito nella storia e nella filosofia umane, e dove la scienza gioca un ruolo chiave nell’ indirizzare questa costante perfettibilità. Questa digressione potrebbe portare ad una domanda più che lecita su come percepire tali notizie che ci vengono fornite sui progressi della tecnologia nell’ avvicinarci alla frontiera marziana: queste notizie sono positive? Se lo sono, in quale grado? Oppure sono un nuovo modo per distrarci dalle problematiche che affliggono l’uomo e il suo stesso pianeta?

Un conservatore e un progressista hanno veramente la stessa opinione quando si tratta di spingere l’acceleratore nella corsa marziana? Già Hannah Arendt e Martin Heidegger, alle notizie dello Sputnik russo e vedendo le prime immagini della terra dallo spazio, preventivarono la fuga dalla Condizione Umana in favore di relazioni tecnologiche che eradicano l’uomo da se stesso. L’incedere in questo senso della technè nello sradicamento si ripercuote anche nel romanzo di Dick, dove gli autoctoni marziani sono esacerbati dal loro stesso territorio da coloni senza alcuna remora e dove il sopruso è una costante. Noi Marziani evidenzia, nel protagonista, un frangente schizofrenico di questo sradicamento, del portare l’uomo fuori dalla sua stessa dimensione originaria, con un lancio continuo e metaforico di distrazioni che gli permettano di orbitare continuamente lontano dalla sua stessa origine. Questa proiezione potrebbe addirittura preventivare un futuro abbandono, prima ancora della Terra, dell’uomo stesso al suo destino oscuro e fondamentalmente schizoide, come la società odierna ci appropinqua costantemente. Forse dobbiamo prima conservare ciò che è sempre stato e mantenerlo, o accettare il fallimento e gettare lo sguardo altrove? Oppure dietro questo “altrove” non si nasconde altro che la rapacità dettata dalla mera sopravvivenza, o peggio ancora, dall’interesse?

Roma, Aprile 2024. XVII Martedì di Dissipatio

Proprio queste sensazioni, di abbandono della condizione umana, dilatano preoccupanti scenari dove gli “avateachers” di oggi non sono altro che precursori del robot Lincoln di Noi Marziani e dove le notizie di possibili coltivazioni su Marte non fanno altro che gettare le future basi per gli Arnie Kott (lo speculatore idraulico del romanzo di Dick) del futuro. Non è un caso che lo scrittore americano negli ultimi anni di vita cercò nei codici gnostici di Nag Hammadi una sorta di salvezza dalle tenebre che l’uomo fa dilagare nello spazio e forse anche nel tempo, perlomeno dalla sua prospettiva. Come ad evidenziare: noi uomini crediamo di conoscere noi stessi tanto bene da poter diventare “Noi marziani”? Oppure dovremmo concentrare gli sforzi sulla nostra interiorità, ad oggi frammentata e depauperata, consentendoci di ripristinare una certa integrità ad oggi manchevole? Sempre in relazione a Marte, sempre Philip K.Dick, andò ancora oltre nel suo romanzo Le tre Stimmate di Palmer Eldritch (1965), dove uno spacciatore intergalattico fornisce proprio a coloni sul Pianeta Rosso, delle vite fittizie grazie ad un potente allucinogeno, per distrarli dall’orrore della loro quotidianità. Ciò ci rimanda addirittura a forme di quotidianità dove il fittizio delle “vite” condotte nei social network assumerebbero già un principio guida di tale allucinazione. Qualcuno potrebbe anche lecitamente pensare che l’Uomo-Maceria del XXI secolo sia soltanto un punto di partenza presupposto e che non è possibile perdere tempo a cercare di ricucire una psiche permanentemente schizoide.

Questa predisposizione consente però di cercare in un altrove, tanto fisico quanto metafisico, come potrebbe essere Marte (o TikTok), la nostra tranquillità dell’animo, e non ci aiuta nel progettare un futuro senza inclinazioni amorali ed ambiguità etiche. Quando lo sfruttamento e il sopruso divengono delle condizioni aprioristicamente accettate, per via della frammentata psicologia umana attuale, questo non fa altro che porre una base solida per creare i Marziani. Questi sono alieni, non solo in quanto futura popolazione topograficamente descritta, ma soprattutto come futuri uomini spregiudicati e sempre più distanti da qualunque etica o contro etica che ci pone come umani in sé. E la tecnologia, non solo in quanto tale, ma anche in quanto sogno non ancora realizzato, o mondo possibile, contribuisce ulteriormente a creare una prospettiva di estraniamento dove la speranza non è quella di ritrovare te stesso ma di estraniamento ulteriore. Questo atteggiamento crea il presupposto necessario per abbandonare la terra e per accettare unilateralmente vite fittizie di benessere inattuale, poiché così il bene non verrà oggi ma un domani inesistente, su Marte. 

A un tratto ci si accorgerà che non si va oltre. Perché l’età modernissima ha cominciato col produrre nuove macchine per far andare una vecchia etica. Negli ultimi trent’anni sono successe più cose di quante prima succedessero in trecento. E un giorno si vedrà che l’umanità si è sacrificata alle grandi opere che essa stessa ha creato per facilitarsi la vita.”
-Karl Kraus, Detti e Contraddetti, Adelphi, Milano, 2016

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