OGGETTO: Una epocale corsa allo spazio
DATA: 09 Settembre 2023
SEZIONE: Geopolitica
AREA: Cielo
L’assalto ai cieli non è che agli inizi, ma, con il numero di programmi e missioni in continuo aumento (400 nei prossimi dieci anni), già si sgomita per non rimanere indietro.
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Plus ultra. Era il motto che conferiva alle navi decorate con lo stemma della bandiera spagnola tra XV e XVI secolo la missione di scardinare, a vantaggio dell’uomo europeo, le porte dell’ignoto e tracciare nuove rotte marittime, oltre «quella foce stretta dov’Ercule segnò li suoi riguardi», secondo la descrizione dantesca. Plus ultra potrebbe oggi comparire sulla fiancata di quelle “moderne navi” di cui ricerca e innovazione aumentano, per prove ed errori, la capacità di sostenere lunghi viaggi spaziali ed effettuare operazioni ritenute un tempo possibili solo in narrazioni fantascientifiche. Quella che, fino a un secolo fa, era una competizione sugli oceani tra potenze commerciali e militari, complicata dal ruolo inedito delle compagnie mercantili, oggi si ripropone in forme e modalità differenti nella geopolitica dello spazio extra-atmosferico.

«L’universo è un oceano, la Luna corrisponde alle isole Diaoyu, Marte è l’isola Huangyan. Se non ci andiamo ora, anche se siamo in grado di farlo, saremo incolpati dai nostri discendenti. Se altri ci andranno, prenderanno il sopravvento e voi non potrete andarci nemmeno se lo vorrete. Questo è un motivo sufficiente.»

M. Davis, China, the US and the race for space, “The Strategist”, 12 luglio 2018

Sono le parole pronunciate, nell’ambito di un’intervista, da Ye Peijian, ingegnere, comandante e progettista capo del programma di esplorazione lunare cinese. È la dimostrazione lampante del fatto che il Celeste Impero non è disposto a perdere la sfida tecnologica con i rivali occidentali, e principalmente con gli Stati Uniti. Ma, se veramente mira a raggiungere entro il 2045 quel primato nella tecnologia spaziale che è stato fissato, con tanto di tabella di marcia, da China Aerospace Science and Technology Corp, azienda di primo piano nei programmi spaziali cinesi, allora non deve sorprendere che l’apparato industrial-militare cinese stia cercando di bruciare le tappe: è del dicembre 2020 l’atterraggio sulla Luna del lander Chang’e-5, che è riuscita a rientrare con successo sulla Terra riportando un campione di superficie lunare; Chang’e-4 è il nome di un rover che si muove sulla faccia nascosta della Luna e funge da ponte radio cosmico strategico tra la Terra e la Luna, grazie a un satellite-relay, Queqiao; nel frattempo, la terza generazione del sistema cinese di posizionamento satellitare, Beidou-3, con ben 30 satelliti garantisce oramai una copertura pressoché globale; infine, non meno rilevante appare il Memorandum of Understanding raggiunto tra China National Space Administration (CNSA) e Roscosmos il 9 marzo 2021 per la costruzione di una base permanente situata sul suolo o nell’orbita lunare.

Dalle dichiarazioni di Ye Peijian si possono trarre considerazioni sia sull’entità della posta in gioco nella nuova corsa allo spazio, sia sulla continuità tra spazio atmosferico e spazio extra-atmosferico in un’ottica strategica. Nel discorso sulle interdipendenze rientra anche la sicurezza dell’esosfera e delle infrastrutture che vi orbitano, tema tornato alla ribalta con gli esperimenti su sistemi missilistici anti-satellite effettuati prima dalla Cina (2007) e più di recente dall’India (2019). Mentre si assiste a una lenta e inesorabile militarizzazione dello spazio, che parte della comunità internazionale vorrebbe scongiurare, occorre ricordare che molte delle attività quotidiane sulla Terra si basano oggi su tecnologie e sistemi operanti nell’esosfera, tant’è vero che per lo US Department of Homeland Security 14 su 16 settori infrastrutturaliritenuti di importanza critica dipendono da GPS. A livello globale, la maggior parte degli aspetti della vita umana non può rinunciare ai sistemi satellitari, dalle comunicazioni telefoniche su volo aereo ai dispositivi di telerilevamento ambientale. Ma, come ricorda il prof. Nayef Al-Rodhan, l’ampiezza delle interdipendenze tra terra e cielo tocca tanto più gli interessi vitali degli Stati, quanto maggiore è il numero di sfere della sicurezza connesse alle infrastrutture dell’esosfera: sicurezza umana, sicurezza nazionale, sicurezza ambientale, sicurezza transnazionale e sicurezza transculturale.

Eppure, le preoccupazioni dei vertici politici e militari raggiungono il loro apice nella consapevolezza dello stretto legame tra esosfera e comparto della difesa nazionale. Non sono soltanto i tradizionali mezzi militari su mare e in aria a dovere la propria massima funzionalità ai sistemi di comunicazione satellitare, ma anche gli oggi onnipresenti droni, da includere in un più ampio discorso sulle capacità di intelligence (si ricordino le modalità di conduzione della war on terror avviata nel 2001 con vasto utilizzo di tecnologie all’avanguardia, tra cui i droni, e immagini ad alta risoluzione sulle aree di maggiore attività dei gruppi terroristici trasmesse tramite sistemi satellitari). La sfera della sicurezza nazionale sfonda così la barriera della biosfera estendendosi persino oltre l’esosfera, come i programmi spaziali cinesi stanno dimostrando. L’impressione è che un’accelerazione della militarizzazione dello spazio sia questione di pochi anni: un dossier di estrema urgenza nel contesto delle Nazioni Unite su cui i maggiori attori della scena internazionale si affrettano già a mettere in chiaro la propria posizione.

«Sul piano del diritto internazionale, la Francia si oppone alle proposte di Cina e Russia per la messa al bando di alcuni tipi di armi nello spazio, preferendo un approccio basato sulla proibizione di determinati comportamenti, una posizione condivisa dalla maggior parte dei Paesi occidentali.»

Gaspard Schnitzler, Corsa allo spazio: Parigi chiama, l’Europa risponde, “ISPI”, 17 febbraio 2022

Se anche il quadro di diritto internazionale imperniato sul Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967 e Accordo che regola le attività degli Stati sulla Luna e sugli altri corpi celesti del 1979 dovesse reggere all’urto della nuova “politica di potenza spaziale”, resterebbe comunque l’interrogativo sul ruolo ingombrante e imprevedibile dei privati, moderni eredi delle grandi compagnie mercantili dell’età delle scoperte geografiche. Nello scramble for outer space una variabile decisiva è rappresentata dall’avanzata non soltanto di imprese private impegnate nel settore spaziale, ma soprattutto di partenariati pubblico-privati (P3) che testimoniano come gli Stati non costituiscano più gli unici attori, dotati di risorse e influenza, a contare. A conferma di ciò, «nel 2004, il Ministero della Difesa statunitense ha dichiarato che i satelliti disponibili sul mercato fornivano fino all’80% della copertura di banda satellitare utilizzata dall’esercito americano» e, più in generale, malgrado i notevoli rischi connessi al traffico di informazioni sensibili o alla crittografia, «le comunicazioni satellitari acquistate da partner commerciali sono [e resteranno, ndr] una parte fondamentale dell’infrastruttura militare» (N. Al-Rodhan, Meta-Geopolitics of Outer Space, National Power and Global Politics, “ISPI”, 13 giugno 2019). A meno che non si sia disposti a sostenere costi più elevati, un’opzione che paesi come Cina, Francia e Russia non sembrano voler escludere.

«[…] Quando nel 2015 l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha dato il via ai cambiamenti normativi, garantendo alle aziende private il diritto di possedere, vendere e trarre profitto dalle risorse estratte dagli asteroidi e da altri “corpi celesti”, altri Paesi si sono affrettati a seguirne l’esempio. In agosto [2017, ndr], il Lussemburgo è diventato il primo paese europeo a consentire ufficialmente l’appropriazione di risorse spaziali da parte di gruppi commerciali con sede nel paese. Il vicepresidente Etienne Schneider, che ha firmato la legge, afferma che l’idea era quella di attirare una nuova e redditizia industria spaziale lontano dagli Stati Uniti.»

A. Ram, US and Luxembourg frame laws for new space race, “Financial Times”, 19 ottobre 2017

D’altronde, non deve stupire che la Nasa abbia individuato tre aziende spaziali private per guidare lo sviluppo di lander lunari per i futuri viaggi sulla Luna. A essere state chiamate in causa sono Blue Origin, di proprietà dell’amministratore delegato di Amazon, Jeff Bezos, SpaceX di Elon Musk e Dynetics, con sede a Huntsville, in Alabama. Nel 2020, la missione Crew Dragon, guidata da SpaceX, è riuscita a far volare astronauti della Nasa da e verso la Stazione spaziale internazionale (ISS). Nel frattempo, c’è da sottolineare che gli Stati Uniti hanno riposto grandi speranze nel rover Mars 2020/Perseverance, atterrato con successo su Marte il 18 febbraio 2021. Ma non tutti riescono a tenere il passo delle maggiori potenze nella competizione tecnologica in atto: a dispetto della buona volontà dimostrata dalla Francia (principale contribuente al bilancio dell’Agenzia spaziale europea con una quota del 23% nel 2021) e della recente partenza del razzo vettore Ariane 5 della Jupiter Icy Moons Explore, grande assente dalla lista delle missioni spaziali su Marte è l’Unione Europea, costretta a rivedere i piani di Exomars a causa dello schianto al suolo di un primo rover lanciato nel 2016 e dei malfunzionamenti del paracadute del secondo rover. E, se ciò non bastasse, emergono già nuovi potenziali aspiranti al ruolo di avanguardie nell’esplorazione spaziale, non ultima l’India.

«“Se sei una grande potenza sulla Luna, allora puoi esercitare una grande influenza nel definire le linee di fondo della governance lunare”, sostiene Bleddyn Bowen, professore associato di Relazioni internazionali all’Università di Leicester e autore di Original Sin: Power, Technology and War in Outer Space. “La governance della Luna sarà cruciale per tutto ciò che potrà seguire nei prossimi 100 anni e… se la Luna diventerà economicamente sostenibile, sarai già sulla buona strada”.»

P. Hollinger, B. Parkin, The new contest to land on the Moon, “Financial Times”, 25 agosto 2023

Nel 2017, sul Financial Times un articolo dedicato agli sviluppi più recenti del diritto nazionale e internazionale dello spazio extra-atmosferico si concludeva con un’osservazione di Jacob Haqq-Misra, ricercatore al Blue Marble Space Institute of Science di Seattle: «If there’s going to be a space race now it won’t be political. It’ll be economic». Affermazione forse valida prima della tempesta scoppiata nel 2020 con la pandemia e proseguita con la guerra russo-ucraina, che ha offerto una finestra di opportunità irripetibile per le potenze desiderose di consolidare il carattere multipolare dell’attuale sistema internazionale. L’India rientra nel novero degli attori emergenti nella Space Economy, anche in qualità di membro dei Brics, e ha voluto darne dimostrazione attraverso l’atterraggio ben riuscito del lander Chandrayaan-3 avvenuto il 23 agosto scorso, notevole biglietto da visita per la presidenza di Narendra Modi in vista del prossimo G20 a Nuova Delhi e autentico momento corale di orgoglio nazionale per tutto il popolo indiano. Un successo che segue appena di qualche giorno il fallimento del lancio russo del lander Luna-25.

Mentre Giappone e Corea del Sud hanno in programma per i prossimi mesi di mandare sulla Luna i rispettivi lander senza equipaggio, e alla fila di paesi impazienti di prendere parte alla competizione lunare si aggiungono Canada, Messico e Israele, il programma statunitense Artemis (93 sono i miliardi di dollari stanziati soltanto dalla Nasa) spinge per riportare gli esseri umani sulla Luna entro il 2025 – mentre la Cina entro il 2030. Secondo alcune stime, se oggi risultano pianificate oltre 400 tra missioni lunari pubbliche e private tra il 2022 e il 2032, appena un anno fa la stima per lo stesso arco di tempo era di 250. Una corsa epocale allo spazio non è che agli inizi, ma vien già da commentare: multi pertransibunt et augebitur cupiditas.  

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