OGGETTO: Polvere di Cinque Stelle 
DATA: 12 Giugno 2024
SEZIONE: Politica
FORMATO: Analisi
AREA: Italia
L'esito italiano delle elezioni europee ha fornito, fra gli altri, un responso netto: l’individuazione di quello che appare come il termine della parabola pentastellata. Dalle notti del primo trionfo all’obbligatoria autocritica per la débâcle, cercando di individuare responsabilità e rimedi, il passo è stato fin troppo breve. I campi larghi, in fondo, non sempre funzionano.
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Le urne sono state caratterizzate da due elementi: il primo riferibile al sempre più esangue feeling partecipativo dei votanti; il secondo, dall’entrata elettorale anticipata nel quadrante delle Perseidi, le effimere meteore che illuminano fuggevolmente la volta celeste nella calda notte di San Lorenzo. Mai con così astronomica avvedutezza gli algidi astri cadenti, indifferenti alle richieste di esaudimento del benché minimo desiderio, hanno rappresentato sorgere e crepuscolo di stellate espressioni politiche terrene, mai come ora prive di azzurrità dove poter sfrecciare. Gli esiti delle elezioni non palesano d’emblée le loro motivazioni più recondite, sono espressione di fenomeni di eziologia complessa che affonda le radici in un passato di volta in volta più o meno distante. La prossimità temporale, semmai, rende più brucianti gli effetti: i tracolli, paradossalmente concomitanti con i fasti di una recente vittoria, sono quelli più desolanti. Quel che è certo è che le consultazioni generano effetti risonanti, in un senso o nell’altro. 

Che la competizione europea avrebbe seguito un iter tormentato lo si era inteso, con il preventivo affondo pentastellato al patto di stabilità e con la contestuale bocciatura del MES; se il primo respingeva la linea pattizia, la seconda avvicinava il Movimento alle posizioni del centrodestra, eludendo l’armonia dell’originale la di inizio partitura e dirigendosi verso una fase di marcata dissonanza politica. Il problema, in nuce, è consistito nell’aver tentato di preservare una parva coerenza contenendo le distorsioni populiste, foriere di possibili ambiguità o di rischi brucianti, come quello di lanciare in campo democratico il guanto di una sfida dimostratasi pericolosamente esistenziale. Con l’esigua partecipazione del granaio elettorale del sud, si è ampliato dunque il pericolo sempre più concreto dell’irrilevanza. Altro inciampo è stato quello di concorrere senza potersi avvalere di una scuderia, visto che peraltro l’Alleanza Verdi e Sinistra, non avendo dovuto sottostare alle forche caudine del 4%, ha potuto conservare il proprio elettorato senza cederlo ai pentastellati. Rimane la via perigliosa dei non iscritti, una sorta di gruppo misto europeo, o creare ex novo un gruppo inedito, tenendo comunque conto che le linee politiche, per esempio sulla condotta in Ucraina, rimangono in molti casi divergenti, come anche in ambito ultra progressista dove la compagine di ipotetica fondazione a cura di Sahra Wagenknecht, leader carismatica della sinistra tedesca, non sembra insensibile a temi, come quello dell’immigrazione irregolare, affini alla destra.  

La debacle elettorale pentastellata poggia su trascorsi politicamente recenti che hanno evidenziato un’indiscutibile perdita di milioni di voti attribuibile, tra l’altro, ad evidenti assenze organiche sul territorio. Nella migliore delle ipotesi, la spinta propulsiva originaria è evaporata, forse parzialmente ricondotta, per alchimia politica, nell’alveo democratico da cui era sfuggita per mera protesta contingente. Altra evidenza rimarcata dal voto, e motivante la sconfitta, è stata quella di aver delineato con impietosa compiutezza il desiderio del ritorno ad un bipolarismo più marcato che, ora, sancisce il fallimento della strategia che intendeva erodere consensi compiendo incursioni dall’ala sinistra della compagine democratica; Seneca avrebbe recitato: cui prodest scelusis fecit, peccato che per il Movimento le coscienze democratiche abbiano intrapreso l’iter della resipiscenza elettorale su cui, a Via del Nazareno, potrebbe e dovrebbe aprirsi una profonda riflessione in chiave futura sul come non riperderle.  

La cadenza ritmica dei corsi e ricorsi storici, pur privati di qualsiasi spunto provvidenziale alla Vico, riporta alla memoria Guglielmo Giannini, direttore nel ‘44 de l’Uomo Qualunque, latore di istanze antipolitiche che puntavano a forme statuali prive di ideologia, mere entità amministrative dominate dal liberismo ed assenti dalla vita sociale. La parabola qualunquista è molto affine all’attualità: l’avvicinamento dello zolfo di Giannini all’acqua santa di De Gasperi e Togliatti sancì la fine di un esperimento politico più pencolante che stabile. Il problema è che, in questi frangenti, la costruzione del consenso si trasla sulla demagogia; differentemente dalla galassia politica anglosassone, il populismo qui assume accezioni negative che vedono contrapposte, loro malgrado, parti sociali caratterizzate dalla diversa estrazione geografica o di censo. 

Attenzione perché anche l’economia gioca un ruolo rimarchevole; i dati contabili indicano come di frequente il populismo intacchi la bontà del PIL, arrivando a significative percentuali negative in archi temporali relativamente brevi, specialmente laddove non intervenga con competenza sulle politiche occupazionali. Pur citato spesso a sproposito, John Maynard Keynes non appoggerebbe mai per principio alcuna linea di un’economia tendente ad una lenta ma implacabile corrosione, specie se accompagnata dalla percezione di un indebolimento di equilibri istituzionali e da una legittimazione del malcontento sociale; poco avveduto, dunque, sottovalutare la costante fuga di consensi; poco strategico e poco saggio non comprenderne i perché.    

Ritorna qui d’attualità la descrizione weberiana della professione politica e della tensione etica che la accompagna, che non può ammettere mancanza di motivazione e di assunzione di responsabilità, queste ultime non sempre coincidenti. Se l’etica dei principi è propria dei movimenti religiosi e rivoluzionari che guardano a ideali assoluti, l’etica della responsabilità impone di valutare sempre le conseguenze pratiche delle azioni compiute. Il problema sta, politicamente, nell’aver che fare con l’esercizio del potere e con la difficoltà di confrontarsi con una molteplicità di visioni etiche da cui sintetizzare una difficile e coerente mediazione tra ragione e realismo, per giungere a compromessi che determinino responsabilità anche verso la minoranza democraticamente perdente alle urne. Forse, secondo una visione drammaticamente weberiana, sono diversi gli elementi che sono venuti meno determinando l’insuccesso: passione e conoscenze profonde, senso di responsabilità filosofico-politica, lungimiranza, capaci di sussumere dimensione razionale ed emotiva. 

Roma, Febbraio 2024. XV Martedì di Dissipatio

La nemesi, forse, sta nel rammentare, oggi che i consensi sono crollati, l’appoggio determinante dato a suo tempo alla Presidenza von der Leyen provocando la reazione dell’allora alleato leghista di governo. Insomma, per un Movimento dalle pulsioni istintive marcate, come coniugare di volta in volta la rigidità con l’arte della mediazione, indispensabile alla soluzione dei problemi reali, che richiedono analisi attenta sulle cause più profonde? La sensazione è che il redde rationem stavolta non potrà essere indolore

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