Anche in Basilicata, in uno scenario politico dominato da pochissime novità, ancora una volta, quasi come se si trattasse dell’ennesima sonora bocciatura per tutti, lo scettro del vincitore va al partito dell’astensionismo, ovvero l’indiscusso e silenzioso protagonista della politica italiana di questo delicatissimo contesto storico. Poco contano le grida di giubilo provenienti dall’area del centrodestra, che anche in terra lucana conferma il trend positivo della recente tornata elettorale. Di novità, senza andare troppo lontano, politicamente parlando, non se ne registrano dall’irruzione a colpi di Vaffa del Movimento 5 Stelle delle origini. Partito che oggi, esaurita la spinta propulsiva del populismo di qualche anno fa, naviga nelle stesse acque piatte (e putride) di tutte le principali formazioni partitiche italiane.
La novità – che poi non è affatto una novità – è l’ulteriore rafforzamento del partito dell’astensionismo, figlio dei fallimenti di un quadro politico incapace di suscitare l’interesse della gente. Il dato relativo alle elezioni regionali in oggetto, stando alle fonti ufficiali, è incontrovertibile: l’affluenza al 49,81% afferma che solo la metà degli aventi diritto al voto si è recata alle urne. Un trend, lievemente peggiore rispetto al 2019, ma, nel complesso, da considerarsi ennesimo mattone della stagione della grande stagnazione politica italiana.
Attenzionando brevemente i dati, infatti, al centrodestra, abbiamo Fratelli d’Italia al 17,39%, Forza Italia al 13,01%, Lega al 7,81, Azione con Calenda 7,51 %, Orgoglio Lucano al 7,08%, Unione di Centro – Democrazia Cristiana – Popolari Uniti al 2,54%, La Vera Basilicata al 2,23%; al centrosinistra, invece, il Partito Democratico si attesta al 13,87%, Basilicata Casa Comune al 11,18%, Movimento 5 Stelle al 7,66%, Alleanza Verdi Sinistra – PSI – La Basilicata Possibile al 5,79%, Basilicata Unita 2,86; infine, fuori dal dualismo centrodestra-centrosinistra, Volt Basilicata al 1,13%. Il vincitore è risultato, pertanto, il candidato del centrodestra Vito Bardi con il 56,63% dei voti; mentre Piero Marrese, candidato del centrosinistra si attesta al 42,16%; l’outsider Eustachio Follia al 1,21%.
Questi dati, anche in prospettiva delle imminenti elezioni europee, non possono non far riflettere su un fattore decisamente allarmante, che, purtroppo, nel teatro politico-calcistico dei “vincitori” e dei “vinti” viene funzionalmente posto in secondo piano. L’astensionismo, da più di un decennio, rappresenta, infatti, la prima forza politica del Paese e, allo stesso tempo, la prova incontestabile di un fallimento storico: il fallimento di un intero sistema politico, impossibilitato e incapace di rinnovarsi per partorire risposte credibili alle istanze di un paese sofferente. Il quadro teorico è quello di un aspro dualismo (centrodestra-centrosinistra) composto di soggetti che, a dispetto degli abiti alla moda, hanno nell’età avanzata e nel viscerale attaccamento al “ruolo di parte” la loro debolezza. In altri termini, risultano essenzialmente privi di credibilità, anche e soprattutto alla luce di un operato che da oltre un ventennio è risultato sostanzialmente incolore e insapore. Né la carta del populismo, a lungo andare e nella gestione effettuale dei problemi, può rappresentare una risposta valida. Gridare “Vaffa”, “Governo ladro”, “Onestà, onestà”, ecc. risponde solamente alla debole logica dell’incremento, nell’immediato, dei consensi elettorali, ma quando si è “cresciuti” e non si occupano più i comodi banchi dell’opposizione, ossia quando si tratta di lavorare al fine di partorire risposte vere ed efficaci, mettendosi in gioco e, conseguentemente, esponendosi al giudizio altrui, questa linea politica può essere descritta dalle parole del filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel, il quale in riferimento all’ “anima bella” scriveva: “arde consumandosi in se stessa e dilegua come vana caligine che si dissolve nell’aria”.
Lo scenario politico attuale, pertanto, corrisponde a un bipolarismo, con i rispettivi attori sempre più distanti sul piano politico-dialettico, ma saldamente inseriti dell’orbita atlantista ed europeista, nel rispetto della linea neoliberista sul piano economico (e non potrebbe essere altrimenti nell’ambito del realismo politico), a prescindere dai rispettivi colpi a effetto del gioco delle parti. Quindi, Il Movimento 5 Stelle, potenziale ago della bilancia, che, da adulto, malgrado le imprudenti dichiarazioni giovanili, per sopravvivere ha convissuto con quasi tutte le forze politiche italiane (incluse le più bersagliate) e adesso ha imparato, a proprie spese, a navigare a vista, operando vani e poco credibili tentativi di ritornare alle origini.
Agli occhi del potenziale elettore, tutto ciò si traduce in crescente disaffezione alla politica, con il disastroso effetto degli allarmanti livelli di astensionismo del corrente periodo storico. Il meccanismo (perverso) che si innesca, infatti, è quello dell’impoverimento: meno si esercita il diritto al voto, più ci si ritrova senza alternative qualitativamente rilevanti; invero, la qualità dell’offerta politica tende ad abbassarsi, giacché si tratta sostanzialmente di attirare le attenzioni dell’elettorato deluso a colpi di slogan e populismo. L’astensionismo si configura come una reazione istintiva dinanzi a una situazione stagnante, ma fatalmente ha l’effetto di potenziare tale situazione, andando a favorire le forze politiche che godono di mezzi e risorse più importanti, fagocitando ogni possibile novità e, quindi, qualsivoglia processo di rigenerazione politica.
Alla luce del delicato contesto geopolitico internazionale, difficilmente, nell’immediato, può verificarsi una significativa inversione di rotta; senza alternative credibili, l’astensionismo, dunque, è destinato a rimanere l’attore principale della politica italiana per molto tempo ancora. E l’appuntamento delle elezioni del Parlamento europeo, quale ennesimo banco di prova, quasi sicuramente registrerà un nuovo “successo astensionista”. Dopotutto, le minestre riscaldate alla lunga risultano indigeste…