Nel 1919 Julian Adler, un militare al fronte durante l’epidemia Spagnola, viene ricoverato nell’Ospedale Psichiatrico di Trieste a causa di gravi problemi paranoidei. Questo disturbo schizofrenico lo porta a immaginare un futuro lontano in cui si scatenerà una nuova, tremenda epidemia. La narrazione si svolge su più piani: le lettere che Adler scrive alla moglie, la cartella clinica compilata dagli psichiatri che si sforzano d’indagare sulla natura dei disturbi del paziente, e il diario dello stesso Adler, che riporta il contenuto dei suoi deliri onirici. Durante queste visioni Adler, un personaggio che sembra uscito dal teatro di Samuel Beckett, si immagina chiuso vivo dentro uno dei sacchi che contengono i morti causati da un virus che sta sconvolgendo il mondo nel… 2019. A dir poco banale come soggetto al giorno d’oggi, se non fosse che Pandemia – romanzo recentemente pubblicato da GOG edizioni – è stato scritto più di quindici anni fa. Ecco la nostra chiacchierata con l’autore.
Come nasce l’idea di scrivere il romanzo “Pandemia”? Ce lo racconti…
Appena terminata la presentazione del romanzo “L’anatra dalla testa bianca” (Sperling&Kupfer) alla Feltrinelli di Piazza Argentina, era iniziata la firma delle copie e un signore con occhialini tondi, cranio rasato e forte accento francese mi tese la mano presentandosi: “Sono Daniel Jaques Cristelli, amministratore delegato della Aventis Pasteur, il maggior produttore di vaccini in Europa, siamo rimasti colpiti da come lei ha trattato il tema delle armi biologiche e il rischio del bio-contenimento, vorremmo incontrarla per parlarle di un nostro progetto”. Era il 2004 e dopo una settimana entravo nella grande sala della Big Pharma e mi sedevo ad un tavolo riunioni pieno di persone che mi osservavano con curiosità. Il tema era il vaccino influenzale; nel mondo si parlava di SARS e influenza aviaria, la Aventis Pasteur riteneva opportuno (e vantaggioso) sensibilizzare le organizzazioni sanitarie come l’OMS e gli Istituti di Sanità delle nazioni e indurli a stoccare quantità importanti e adeguate alla popolazione, di vaccino anti-influenzale per consentire ai paesi di trovarsi pronti ad affrontare una possibile ondata epidemica.
L’idea era promuovere questa iniziativa in modo del tutto originale, con un piccolo romanzo, il racconto di fantasia di uno scrittore. “Sono eventi ricorrenti nella storia dell’umanità” diceva Cristelli “non sappiamo quando, ma una nuova pandemia arriverà e sarà meglio essere dotati di vaccini contro l’influenza”. Mi sono laureato con una tesi in Igiene, poi specializzato in neurologia e mi sono quindi dedicato alla diagnostica per immagini avendo la fortuna di diventare un pioniere della Risonanza Magnetica del cervello. Di epidemie influenzali non sapevo nulla, ma davanti a me avevo dodici persone entusiaste e pronte a darmi ogni supporto scientifico culturale per preparare il racconto, non ci ho pensato un attimo ed ho accettato. Dopo pochi mesi usciva un piccolo libro con titolo “Pandemia” e iniziavano le presentazioni in giro per l’Italia. La prefazione di Cristelli si concludeva così: “Lontano dal creare ansie o paure millenarie, queste informazioni hanno lo scopo di diffondere consapevolezza su possibili pericoli, che a volte tendiamo a sottovalutare, in modo tale da essere preparati e pronti di fronte all’“imprevisto prevedibile”.
E invece per quale motivo si è interessato, nella sua narrativa, al bioterrorismo (come arma di guerra) e alle epidemie (come virus contagioso nel rapporto tra uomo e natura)?
Avevo pubblicato un romanzo sulla clonazione umana (Clone, Mondadori) che era entrato da qualche anno negli Oscar, mi ero trovato un agente letterario che voleva da me un altro romanzo di genere in stile “fiction americana”. Avevo studiato gli stilemi che si usano per avere successo in questo genere di libri (in particolare mi ero dedicato a Michael Crichton che aveva anche lavorato come medico al Massachussetts General Hospital) e pensavo di aver capito che uno dei punti di forza è la scelta dell’argomento. Un altro principio inderogabile è: scrivi di quello che sai. Quindi avevo scelto un tema di disastro ambientale, la desertificazione del mare Aral, dove ero appena stato con un viaggio di lavoro per finanziamenti della World Bank e una declinazione di tipo medico-scientifico, avrei saputo come raccontarlo. Studiando la realtà dei paesi dell’Asia Centrale che delimitano il mare-lago e la sua storia dall’antichità ai giorni nostri avevo scoperto che nel bel mezzo del mare c’era un’isola che era stata sede del più grande laboratorio di armi biologiche sovietico.
La progressiva desertificazione aveva allontanato l’acqua di quasi 100 chilometri e abbassandone il livello aveva avvicinato la terra emersa dell’isola alle sponde. Uzbekistan, Turkmenistan, Tajikistan, erano alcuni dei paesi limitrofi, in quegli anni percorsi da correnti di terrorismo islamico e in quell’isola era possibile ci fossero ancora enormi residui di arme biologiche. Chiesi una serie di incontri ai funzionari della World Bank, inviando prima la lista delle domande, senza nascondere che il mio scopo era la preparazione di un romanzo. Tornai da Washington pronto ad iniziare a scrivere la storia e pieno di interessantissime informazioni sulle armi biologiche. C’era un punto in particolare che mia aveva colpito: le armi biologiche erano considerate “il nucleare dei poveri”, facili da preparare e poco costose, possono distruggere intere nazioni a differenza delle armi chimiche che hanno un effetto limitato. Come per il nucleare, più che pensare ad una utilizzazione militare deliberata, il rischio maggiore è una catastrofe accidentale.
Il suo romanzo, pubblicato nel lontano 2004, è profetico. Si considera un visionario oppure una persona preveggente/prudente?
Chiunque si fosse avvicinato al tema delle epidemie, anche nel 2004, avrebbe avuto la possibilità di diventare preveggente come lo sono stato io. I cicli delle epidemie sono scritti nella storia dell’uomo e con una periodicità imprevedibile ma costante ritornano. Di recente sono stati scoperti micidiali virus come Marburg, Ebola, Lassa e la possibilità di una ricomparsa di nuovo virus influenzale era fortemente prevista dagli addetti ai lavori. Pensare che una nuova sconosciuta influenza potesse diventare pandemica, era poi nella logica delle cose. Nonostante gli straordinari progressi della biologia molecolare e dell’industria farmaceutica, le malattie virali e l’influenza in particolare risultano incurabili.
Si sa da decenni che il virus della comune influenza infetta le cellule polmonari, perché queste sono le uniche, nell’uomo, a essere fornite di un enzima di cui essi hanno bisogno per scindere una delle loro proteine durante la replicazione. Sappiamo che ha solo 8 geni, ciascuno composto da RNA e che muore nel giro di poche ore se rimane senza cellule da infettare e che al microscopio elettronico appare come una pallina con lunghi filamenti. Sappiamo che la loro struttura è avvolta da un involucro lipidico sorretto da una sottostante impalcatura proteica, che penetrano in una cellula e ne escono usando centinaia di spine composte da proteine che sporgono come aculei dalla membrana esterna e fungono da ancore d’arrembaggio di una nave pirata. Ma non sappiamo come fermarla. Non esiste un farmaco che abbia l’efficacia che ha la penicillina contro i batteri.
Sta di fatto che, come scritto, ha previsto il nostro presente, tracciando un parallelismo tra la spagnola del 1918-19 con una pandemia avvenieristica. Possiamo dire che le annotazioni del suo protagonista sul proprio diario, siano aderenti alla realtà epidemica del Covid-19? Insomma che opinione si è fatto in generale di questa epidemia planetaria?
La cosa che mi colpisce di più, oggi, sfogliando questa breve storia scritta nel 2004 è ritrovare la data di una futura immaginaria pandemia e leggere che avevo scelto il 2019. Incredibile, si potrebbe dire, una specie di preveggenza, in effetti questo Corona virus ha visto la sua nascita proprio nel 2019 ed era impossibile immaginarlo 15 anni prima. Ma dietro questa data così profetica c’è un ragionamento molto banale, anche se in qualche modo suggestivo. Avevo deciso di datare questa futura pandemia a 100 anni esatti dalla famosa Spagnola che colpì il mondo tra il 1918 e il 1919 con una stima di morti che oscilla tra i 20 e i 100 milioni di individui. Le vittime furono talmente tante che nel 1919 la durata media della vita diminuì di 12 anni. Poi dal diario del protagonista, emerge anche la localizzazione dell’inizio dell’epidemia: la Cina meridionale. L’ipotesi del libro era che il virus di tipo aviario presente nelle anatre, trovasse nel maiale un animale di passaggio che lo trasformasse come pericoloso per l’uomo. I virus cambiano sempre. Quando le variazioni sono profonde si verifica un cosiddetto spostamento antigenico. Questa mutazione così radicale darà vita ad un ceppo virale dalle caratteristiche completamente nuove, per cui nessun essere umano possiede anticorpi e questo è in grado di scatenare una Pandemia.
Ad ogni modo anche se il tasso di letalità del Covid-19 non è assolutamente paragonabile alla spagnola di un secolo fa, è riuscita a descrivere un clima di terrore diffuso nell’opinione pubblica, e allo stesso tempo, insieme un’intera classe dirigente che si è fatta trovare impreparata adottando misure anti-epidemiche draconiane…
Questa domanda riguarda le scelte sociali e politiche che i diversi paesi hanno affrontato e non in modo omogeneo e sulle quali mi è difficile esprimere un’opinione che non sia del tutto personale e superficiale. Abbiamo visto la maggior parte delle nazioni accettare le condizioni dei virologi, non sempre in accordo fra di loro. Penso che in questi momenti così difficili, quando sono in gioco la salute ma anche la vita sociale ed economica delle popolazioni servirebbe una guida forte, illuminata e con una visione strategica del significato più completo della vita. Appiattirsi su una sola parte, anche se del tutto corretta ed espressa da massimi esperti del loro settore, può fare enormi danni. Ovviamente nessuna istituzione e\o nazione aveva preso sul serio il messaggio lanciato dalla Aventis Pasteur nel 2004 e non esistevano scorte di vaccino anti-influenzale. Sarebbe servito a qualcosa? Non lo so, ma un medico di base qualche giorno fa mi diceva che con suo grande stupore e curiosità, nessuno dei suoi pazienti che regolarmente aveva fatto la vaccinazione anti-influenzale negli anni precedenti si era ammalato.
Non crede che sia proprio questa impreparazione, nel senso di assenza di prevenzione e capacità di comprenderne le cause di diffusone di contagio, ad aver reso “la narrazione” sul Covid-19 ancora più allarmista di quello che effettivamente il Covid-19 rappresenta?
Il vero allarme e la maggiore criticità è stata la grande concentrazione di casi che necessitavano di ospedalizzazione e quindi di supporto ventilatorio in così breve tempo. In poche settimane un numero enorme di casi che non si sapeva come curare veniva ricoverato ed attaccato ad un ventilatore o intubato per aiutarlo a respirare. E il numero di letti di terapia intensiva e anche i respiratori disponibili nelle sale operatorie ed utilizzati a questo scopo, era limitato. Poi si è capito che forse la patogenesi più pericolosa erano i danni all’endotelio che causavano diffuse micro-trombosi e quindi si potevano usare altri farmaci. Poi si visto che nell’85% dei casi i pazienti avevano più di 80 anni e quindi forse il restante 15% dei casi poteva essere gestito in modo meno drammatico. Ma sono scelte difficili e che fanno tremare i polsi a chi deve prenderle.
Che film stiamo vivendo?
Mi ricorda molto “L’esercito delle 12 scimmie” bellissima storia del 1995 di Terry Gilliam, uno dei Monthy Piton. Siamo nel 2035 e la popolazione sopravvissuta vive un’altra dimensione. La maggior parte degli esseri umani si è estinta a causa di un virus mortale che ha infettato il mondo, creato a scopo di ricerca scientifica da un virologo premio Nobel e messo in circolazione in modo misterioso. La superficie della Terra è diventata inabitabile; i pochi superstiti vivono nelle viscere di quella che fu Philadelphia, con il virologo e la sua equipe di scienziati che fanno di tutto per poter mettere le mani sul virus originale, che intanto è mutato, per creare un antidoto e riconquistare la superficie. Insieme a loro vive un gruppo di prigionieri, tra questi vi è James Cole, che viene scelto ed equipaggiato per essere spedito indietro nel tempo per raccogliere informazioni nel tentativo di cambiare la storia.