Nuovi secoli significano nuove sfide. Nuove sfide implicano nuove opportunità. Nuove opportunità conducono a innovazioni e a rivoluzioni. Ogni secolo è figlio ed è al tempo stesso antitesi del precedente, al quale attinge per dare luogo a creazioni che distruggono fondamenta esistenti. Distruzione creatrice che muove l’orologio del mondo. Il Duemila, nel rispetto di una tradizione che dura dalla notte dell’uomo, è sia proseguimento sia antinomia del Novecento.
Le piattaforme sociali, volgarmente note come social network, sono l’evoluzione delle piazze di paese, dei mercati e degli oratori in cui le persone comuni socializzavano, i preti evangelizzavano, i politici raccattavano voti e i truffatori incantavano serpenti. La quotidianità ha traslocato dalle piazze fatte di sanpietrini ai forum, alle pagine e ai canali dei social network, ma la continuità con il passato è solo apparente: è socializzazione senza socialità, è contatto a distanza, è assembramento senza massa.
La finanza digitale è l’evoluzione della finanza tradizionale: le valute digitali e le criptovalute stanno sostituendo le monete e le banconote, i portafogli digitali si impongono sui portafogli da tasca, i salvadanai diventeranno un oggetto di antiquariato come i juke-box. Ma trattasi di un presente in rottura col passato: è denaro che non si tocca, è ricchezza che può essere perduta con un clic, è tesoro nascosto in un baule di cui (quasi) tutti hanno la chiave. Anche le guerre dell’età contemporanea sono il prosieguo in parte a sé stante delle guerre dei secoli anteriori. Gli attacchi cibernetici sono gli eredi dei sabotaggi compiuti con il flessibile. I droni hanno sostituito gli aerei. I missili hanno rimpiazzato le frecce. I carri armati hanno preso il posto delle catapulte. Alla propaganda sono subentrate le operazioni cognitive. Von Clausewitz aveva ragione: nuove epoche, nuove guerre.
Nel caso specifico del Duemila, il secolo della grande trasmigrazione dell’umanità nel mondo virtuale, il concetto di nuove guerre si presta a più significati. Le guerre sono cambiate – e stanno cambiando – per via del maggiore ricorso degli eserciti alle armi balistiche, ai mezzi a pilotaggio remoto, all’intelligenza artificiale e alla robotica, ma c’è di più. Molto di più. Le guerre si sono infatti trasformate anche in risposta alle trasformazioni occorse nelle società e nelle economie della contemporaneità.
La propaganda dei volantini lanciati dagli aeroplani, dei messaggi radiofonici e dei sermoni dei preti corrotti è stata superata, ma non perché i generali abbiano smesso di credere nei poteri illimitati della psicologia, quanto piuttosto perché cinema e televisione hanno reso anacronistica la radio, perché i meme hanno sostituito volantini e vignette, perché gli influencer sono i nuovi pascolatori di uomini e perché le masse si sono spostate dalle piazze alla rete. Le guerre psicologiche sono diventate cognitive.
Stati e attori non statali, come i guerriglieri e i terroristi, potrebbero anche consegnare al passato pratiche come il saccheggio, il contrabbando, i sequestri di beni e le raccolte di denaro e oggetti preziosi, trasformando in un ricordo le mussoliniane mobilitazioni per dare oro alla patria, e non perché abbiano smesso di essere importanti ai fini del finanziamento e del sostentamento di un conflitto in cui sono coinvolti. È l’ascesa del criptoverso, realtà a metà tra la piazza d’affari e il mercato nero dell’età digitale, che sta lentamente eppure velocemente trasfigurando l’economia delle guerre. Che siano convenzionali, ovvero combattute in maniera tradizionale da e tra eserciti regolari, o che siano non convenzionali, ossia coinvolgenti attori variegati e armati di arsenali eterodossi, le guerre del nuovo secolo, da quando criptovalute e blockchain hanno fatto la loro sottovalutata comparsa, si sono arricchite di un’ulteriore trincea: il criptoverso.
Gli Stati, come spesso accade, si sono accorti delle potenzialità delle criptomonete con incredibile ritardo rispetto ai loro opposti, gli anti-Stati, ossia le organizzazioni del crimine organizzato, del terrorismo e della guerriglia rivoluzionaria, che in questo sub-universo del World Wide Web sono presenti dal giorno successivo alla venuta alla luce del Bitcoin. Dimostrazioni di ciò sono la cronistoria del crypto-jihād, l’epopea dimenticata della Silk Road di Ross Ulbricht, che meriterebbe un libro a parte, e i case studies del capitolo qui presente.
Le guerre ai tempi delle criptovalute, che siano convenzionali o meno, sono archeofuturismo allo stato puro. Guerre che vengono combattute su campi di battaglia reali e tangibili con armi provenienti dai darknet market illegali che sovrappopolano il criptoverso e che sono state comprate con denaro raccolto attraverso campagne di crypto-fundraising, assalti e rapine a crypto-wallet e crypto-exchange, operazioni di investimento, leva e trading.
Le guerre ai tempi delle criptovalute sono Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya e Ḥarakat al-Jihād al-Islāmī fī Filasṭīn, che hanno ricostruito i propri arsenali e i propri bilanci, quasi azzerati dalla breve ma intensa guerra contro Israele del 2021, grazie alle cifre a sette zeri racimolate nel criptoverso. Che sono state impiegate per acquistare le armi necessarie a dare il via alla cosiddetta operazione Alluvione di al-Aqṣā, oltre che sui tradizionali canali di contrabbando, sui mercati neri del web profondo. Le guerre ai tempi delle criptovalute sono rappresentate dall’Ucraina e dalla Russia che, rispettivamente, hanno fatto appello alla generosità dei detentori di crypto-wallet e hanno condotto cripto-reati per finanziare gli sforzi delle loro macchine belliche. Accentuando l’unicità del loro conflitto, spartiacque geopolitico e storico del Ventunesimo secolo, che verrà ricordato dai posteri come il primo a essere stato combattuto (anche) grazie alle criptomonete.
Le guerre ai tempi delle criptovalute sono costituite anche dai proxy dell’Iran, come Anṣār Allāh e Ḥizb Allāh, che nel criptoverso hanno costruito delle vere e proprie economie parallele, invisibili agli occhi degli 007 che danno loro la caccia, alternando reati e investimenti, raccolte fondi e speculazioni.
Scrivere di guerre ai tempi delle criptovalute equivale anche asvelare il retroscena della crisi degli oppioidi, la più grave emergenza socio-sanitaria della storia degli Stati Uniti, che è un dramma a tinte thriller i cui antagonisti defilati sono la Cina e il narcoverso messicano. Una guerra ibrida senza precedenti, che vede un esercito sui generis, composto da capitani d’industria cinesi e da trafficanti di droga messicani, alle prese con una meticolosa opera di demolizione della società dell’avversario.
Le criptovalute non sono mai state né una bolla dalle tendenze implosive né un fenomeno transitorio condannato ai meandri irrilevanti della rete. Sono state create per restare. Hanno prima investito la finanza tradizionale, hanno poi attirato l’attenzione della politica internazionale e sono infine entrate nel mondo delle guerre. Il criptoverso è il nuovo dominio della conflittualità. È un futuro più presente di quanto si creda generalmente, presente in senso etimologico, ma occorrono occhi capaci di guardare, più che di vedere, per comprendere che il cambiamento è già avvenuto.