Confessione

Luigi Mazzella

Dopo mezzo secolo al servizio delle istituzioni, Luigi Mazzella oggi sta lavorando al suo ultimo libro, autobiografico. Lo abbiamo raggiunto per domandargli quali siano i nodi sempiterni che lo Stato italiano si trascina dalla sua fondazione.
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Luigi Mazzella è una figura anomala, quasi di “centauro” nel nostro panorama politico e culturale. Mazzella ha, infatti, il curriculum del civil servant che ha svolto la sua attività da servitore dello Stato nelle maggiori istituzioni italiane, dall’Avvocatura dello Stato al lavoro negli staff ministeriali in ruoli di vertice. Una vocazione da Grand commis che ha nel suo lungo percorso istituzionale sempre alternato con quella da intellettuale della Magna Grecia occupandosi di filosofia, cinema, politica, letteratura e diritto, spaziando nella narrativa e nella filosofia politica.

Salernitano classe 1932 Mazzella inizia da giovanissimo il suo percorso nelle istituzioni vincendo un concorso come avvocato dello Stato nel 1956 e destinato alla sede di via dei Portoghesi 12 (sede dell’Avvocatura di Stato), viene nominato Avvocato Generale dello Stato (oggi emerito), diventando prima Ministro per la Funzione Pubblica durante il governo Berlusconi 2 e poi viene eletto dal Parlamento alla carica di Giudice della Corte Costituzionale per 9 anni diventandone anche vicepresidente (di cui oggi, infatti, è Vice Presidente emerito). Ha maturato esperienze in molti settori della vita pubblica. 

Ha svolto funzioni di direzione di pubbliche istituzioni nazionali e regionali come Commissario Straordinario alla Gestione Autonoma dei Concerti dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia alla Biennale di Venezia per due mandati consecutivi, ed in enti ed istituti internazionali europei svolgendo attività di primo piano.

Autore di numerosissimi saggi e testi che spaziano dalla politica alla poesia, dal cinema alla narrativa tra cui: “Eurocrash’ (Curcio Editore 2014), “Grigio senza sfumature” (Avagliano 2014), “Debole di costituzione” (Mondadori 2014), “Voce fuori campo” (Avagliano 2015), “In fuga dall’intimità” (Avagliano 2015), “Canzoniere satirico” (Genesi 2015) “La complicità del perdono” (Marsilio 2016). Il suo prossimo libro in uscita sarà “La cognizione del male”, un racconto autobiografico dal profilo filosofico.

Per anni tra i protagonisti del mondo degli staff ministeriali ha avuto incarichi direttivi in Gabinetti Ministeriali: Vice capo di gabinetto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 1970 al 1973; capo dell’ufficio legislativo al Ministero dei lavori pubblici dal 1973 al 1975 ; consigliere giuridico del ministro del Ministero della difesa dal 1979 al 1983; capo di gabinetto Ministero per il turismo e lo spettacolo dal 1983 al 1985; capo di gabinetto del Ministero dell’ambiente dal 1986 al 1987; capo di gabinetto del Ministero delle aree urbane dal 1987 al 1993. Uomo del silenzio, politico, intellettuale, scrittore, Mazzella ha potuto osservare lo Stato, la cultura e il potere da angolature privilegiate conoscendo da punti di vista privilegiati i veri nodi, temi e problemi del Paese. Lo incontro nella sua casa di Salerno mentre sta revisionando le bozze del suo prossimo libro.

Non si può non iniziare una confessione ad un uomo che ha incarnato la carica di Avvocato generale dello Stato senza partire dalle sue origini e da come ha mosso i suoi primi passi nel mondo delle istituzioni. Come iniziò il suo viaggio in questa istituzione e come si sviluppò il suo percorso all’interno della Avvocatura di Stato?

Lei qualifica la sua intervista “confessione”. Da laico, il termine mi piace poco, ma credo che in questa formula ci sia la volontà di invitarmi a non limitare le mie risposte agli aspetti più esteriori dei vari problemi. Ebbene se mi chiede come iniziò il mio “viaggio” nell’Avvocatura dello Stato, le dico che esso fu determinato dalla mia precedente scelta della Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Al termine della licenza liceale presso il Liceo Classico “Torquato Tasso” di Salerno, avevo una media di voti così alta da poter “spaziare” liberamente nel ricercare la facoltà a me più congeniale. Papà, premorto alla mia nascita, era dedito all’attività letteraria e amico di Alfonso Gatto ed Icilio Petrone: il modello paterno mi avrebbe indotto a scegliere lettere classiche, forte dei due nove conquistati in latino e greco all’esame di maturità. Due nove avevo, però, anche in Matematica e Fisica ma era di gran lunga minore il “trasporto” per quelle materie.

La famiglia di mia madre, invece, da varie generazioni contava membri dediti alla professione di avvocato. Feci questa seconda scelta ma non abbandonai mai il mio interesse per la cultura classica. Dopo la laurea, il bisogno più impellente che avvertivo era quello di abbandonare la mia famiglia dove avevo convissuto molto malamente con un patrigno che aveva in sé tutto ciò che detestavo in un essere umano. Pensai conseguentemente ad allontanarmi dalla mia città – che pure amavo – impegnandomi in un concorso pubblico. All’Avvocatura dello Stato c’erano quattro posti liberi; in Magistratura duecento. Presentai entrambe le domande di ammissione, augurandomi di non finire giudice o pubblico ministero, carriere che aborrivo (e aborrisco) entrambe. Fui fortunato perché alle prove scritte per l’Avvocatura dello Stato mi classificai primo ed ebbi come sede Roma: toccai il classico cielo con un dito, perché avevo sempre “sognato” di vivere nella capitale. Così iniziò il mio percorso nella Avvocatura di Stato, era il 1956.

Potrebbe spiegarci in maniera chiara quali sono ruoli, ambiti e competenze dell’avvocatura dello Stato?

La sua seconda domanda mi impone dei “distinguo”. Quando entrai in Avvocatura il clima che vi si respirava era ancora quello del suo fondatore Mantellini: prevaleva l’aspetto della “consulenza” rispetto a quello della “difesa”. Sentivo ripetermi dai colleghi più anziani che l’avvocato dello Stato doveva dare all’Amministrazione i suoi pareri “secondo scienza e coscienza”. L’Avvocato Generale si comportava come il titolare di un grande ufficio legale: “riceveva” i rappresentanti del Governo nel suo ufficio e mai e poi mai si poteva immaginare che fosse “convocato” in ambulacri governativi. Era verosimile la voce che circolava in via dei Portoghesi secondo cui un “colpo di mano” era stato compiuto dal fascismo con infiltrazioni di personaggi dell’Ovra tra gli avvocati (e ciò per fare dell’Istituto una “spia del regime”) ma quella brutta parentesi era stata dimenticata. I tempi neri dell’Avvocatura erano cominciati con l’avvento alla Presidenza del Consiglio del sedicente e presunto “grande riformatore costituzionale” Matteo Renzi, sonoramente sconfitto dal referendum indetto sulla sua legge-monstrum. Renzi aveva fatto all’Avvocatura dello Stato tutto il male che gli era stato reso possibile fare. Per anni avevo suggerito ai giovani di intraprendere la carriera di avvocato dello Stato. Oggi, dopo i disastri arrecati dal contradaiolo di Valdarno, consiglierei l’opposto.

L’Avvocatura Generale è stata anche il trampolino di lancio per molti illustri civil servant, che poi sono approdati al Consiglio di Stato, ed ad importanti ruoli istituzionali. Lei, infatti, è stato anche ministro della Funzione pubblica, capo di gabinetto, vicepresidente della Corte costituzionale. Secondo lei quali sono le ragioni che hanno reso l’avvocatura una delle scuole delle “tecnocrazie italiane”(intese nel loro senso migliore)?

L’Avvocatura di un tempo, come il Consiglio di Stato della stessa epoca, sono state eccellenti fucine per la preparazione giuridica richiesta ai rispettivi membri, ma la scelta tra i due Istituti dipendeva (o doveva correttamente dipendere) dalle propensioni professionali dei singoli non da motivazioni di carriera. Quando sono stato nominato giudice costituzionale e mi si attribuiva l’appellativo di “giudice” precisavo sempre “giudice delle leggi”. Non ho mai amato l’idea di fare il giudice e ancor meno il pubblico ministero. E ciò non solo per motivi strettamente professionali ma “politici”. Il potere di rendere giustizia a mio parere non può che derivare da un’investitura popolare: non dal superamento di un esame meramente nozionistico.

Lei ha potuto osservare lo Stato da molti angoli visivi privilegiati, dall’avvocatura alla Corte Costituzionale, dagli staff ministeriali di cui è stato un esponente di spicco al ruolo di commissario straordinario e vicepresidente di enti pubblici. Può aiutarci a capire oltre alle virtù i non pochi vizi del sistema dell’amministrazione pubblica italiana specie nel rapporto con i cittadini e le sue tante componenti?

L’Amministrazione pubblica italiana è pronipote dell’assolutismo del Re Sole e del suo Ministro Jean Baptiste Colbert, nipote di Napoleone Bonaparte e figlia di Benito Mussolini. Il modello (esasperato teutonicamente, con qualche beneficio funzionale, negli Stati Centrali dell’Europa) in Italia ha subito i deterioramenti tipici dei Paesi di latinità cattolica. Essa, essendo la proiezione operativa, della classe politica al potere ha subito gli effetti negativi di tutto il degrado di quest’ultima, decimata nei suoi esponenti migliori da un forsennato uso politico della giustizia (per “summa iniuria” esercitato da dipendenti statali); e da sistemi elettorali progressivamente sempre più beceri. Ormai sono i capi-partito di forze politiche sempre più striminzite a imporre ai cittadini la scelta dei cosiddetti “rappresentanti del popolo” e le alchimie di “porcate” (tali definite dagli stessi proponenti) elettorati portano al governo del Paese le “minoranze” meno minoranze delle altre! Peggio di così…

Anni fa è uscito un libro di grande successo “Io sono il potere. Confessioni di un capo di gabinetto” di un Anonimo autore, in cui si esaltava la figura e i poteri di questa importante figura dei poteri ministeriali. Lei che è stato capo di gabinetto a lungo può mostrarci quali sono i veri poteri e le vere attività di questo ruolo avvolto da molto fascino, ma anche da alcuni fraintendimenti narrativi?

La fortuna di quell’Autore è stata quella di restare nel buio dell’anonimato. Le scemenze raccontate nel libro si spiegano solo con le frustrazioni individuali di chi si sente, per sua viltà, costretto a dire sempre: Yes, Minister! Da Capo di Gabinetto di Lelio Lagorio al Ministero del Turismo e dello Spettacolo mi sono “dimesso” dalla carica quando avemmo dei contrasti sulla legge per il Turismo (poi diventata nel testo da me predisposto Legge del Turismo in Spagna) e sulle cosiddette leggi-figlie (sul Cinema, sul Teatro e sugli Enti Musicali) della legge-Madre sul Fondo unico per lo Spettacolo). Ci si può dimettere e io mi sono dimesso anche da Ministro per la Funzione Pubblica, perché non era mai portato all’esame del Consiglio dei Ministri, un mio disegno di legge sulle Authorities che mirava ad abolire il malcostume italiano e di costituire strutture aggiuntive di quelle esistenti per “sistemarvi” amici e parenti con stipendi notevolmente maggiorati rispetto a quelli correnti nelle amministrazioni ordinarie. Potrei raccontarle altri episodi di malcostume amministrativo ma mi limito a invitarla alla lettura della mia autobiografia che uscirà in Autunno per i tipi di Avagliano con il titolo “La cognizione del male”.

Può spiegarci quale era il nocciolo della sua proposta sulle authorities spiegandola in maniera semplice e plastica ai lettori?

Con l’avvento delle auto elettriche si è diffuso anche il termine di “ibrido”. Ecco: l’ordinamento giuridico britannico rappresenta, nel panorama dell’Occidente, un vero e proprio”ibrido”. Esso risente di tutti gli assolutismi religiosi che hanno stravolto da più di duemila anni la vita degli Europei (e poi degli Americani) con una punta ancora più esasperata di puritanesimo sessuale propria del calvinismo-anglicano (molto utilizzato per fini di lotta politica con il “me-too”) ma sul piano filosofico il deleterio idealismo tedesco post-platonico e post-hegeliano è stato temperato da un certo empirismo, diffusosi con la conoscenza, agli albori del Rinascimento italiano, del “De rerum natura” di Tito Lucrezio Caro. Ciò ha consentito agli Inglesi di capire che l’ordinamento francese del pubblico impiego rafforzava enormemente il potere assoluto del Monarca in contrasto con la visione britannica di un Re in contrapposizione bilanciata con il Parlamento.Da qui la necessità di collegare i pubblici dipendenti non con lo Stato-Amministrazione (espressione del potere politico) ma con lo Stato-Comunità, Da tale visione “teorica” nascono le Authorities e le Agenzie, per le quali la selezione avviene ad opera di commissioni “non permanenti” istituite dal Parlamento. L’ipocrisia (nel più ottimistico dei casi) e/o l’ignoranza (in quello più realistico) avevano convinto taluni uomini politici “furbetti” o “sprovveduti” a introdurre in Italia le “Autorità (definite con vero e proprio oltraggio al pudore “indipendenti”) “riempiendole” di amici e parenti elettori, gratificati da appetibili retribuzioni. Al danno si era aggiunta la beffa. Quei “doppioni” di amministrazione pubblica avevano solo alimentato la conflittualità all’interno dell’attività esecutiva, dando potere ai TAR (Tribunali Amministrativi Regionali) nella loro consolidata tendenza a paralizzare tutto (persino l’allontanamento di un’orsa assassina dalle foreste di Trento, come è cronaca recente). Orbene, avendo ravvisato l’incongruenza della situazione ne davo contezza nella relazione e riducevo a uno il numero delle Autorità: l’Antitrust. Quel provvedimento “sofferto” , scritto e riscritto in molteplici stesure, non era mai portato in Consiglio dei Ministri. Ritenendolo “bocciato” senza esame, mi dimisi. Tutto qui.

Nel suo lungo percorso quali sono stati i suoi maestri e le figure a cui si è ispirato?

Non ho avuto Maestri ma persone con cui ho intrattenuto dialoghi proficui non necessariamente concordanti. Vuole qualche nome? Francesco De Martino e Bettino Craxi.

Conosce come pochi il mondo dell’arte, delle accademie della cultura, oggi può aprirci uno squarcio, anche alla luce del suo profilo intellettuale, delle fisiologie e delle patologie del panorama culturale italiano?

Vede…tutto il peggio che può dirsi del Bel Paese sotto il profilo della razionalità, delle scelte politiche coerenti con i grandi principi della libertà e della democrazia, della coerenza delle scelte operative, della correttezza e ortodossia dei comportamenti individuali e collettivi, non è ripetibile per l’arte, per il buon gusto e per il senso estetico degli Italiani. Le migrazioni nei confini dell’antica Roma di ebrei e cristiani provenienti dal Medio Oriente determinarono certamente un crollo delle capacità di raziocinio dei nostri antenati che iniziarono a “credere” anzi che a “pensare” ma non influirono sulla loro creatività artistica che ha reso nei secoli l’Italia il luogo più ricco nel mondo di capolavori architettonici, di scultura, di pittura. Mi chiede del panorama culturale italiano? Povero di opere filosofiche o di narrativa impegnata; ricco di storie percepite dal buco della serratura che servono a un puro intrattenimento. Ma, come sempre, piena di capolavori di pittura e di scultura.

La nostra amministrazione è stata ricca di figure di grande amministratori, uomini del silenzio e civil servant, pensiamo ad Andrea Monorchio, Gaetano Gifuni, Corrado Calabrò. Ma anche di figure opache o grigie. Può mostrarci quali sono le regole, le prassi e i riti che caratterizzano il mondo dei civil servant?

Lei ha usato il termine civil servant che rende evidente il ruolo subalterno dei personaggi pure illustri da lei ricordati. Se l’amministrazione pubblica diventa sempre più sgangherata (come sta avvenendo) e fa acqua da tutte le parti (com’è ormai evidente) non è ai civil servant che si deve richiedere il salvataggio di una barca bucherellata come un colabrodo. Bisogna chiedere ai filosofi della politica (che, purtroppo, mancano in maniera sempre più palese) che cosa è che non va nelle “cosiddette democrazie” occidentali attuali. Bisogna porsi il problema se avendo innestato in Paesi retti da concezioni empiristiche, razionalistiche e sperimentali quali erano quelli dell’area greco-romana, l’assolutismo astratto, irrazionale, ritenuto veritiero senza alcuna prova delle religioni monoteistiche mediorientali e del platonismo e post-platonismo iperuranico (fino all’idealismo teutonico post-hegeliano) non si sia verificato un vulnus che ha reso inconciliabile con tali nuove vedute, ritenute salvifiche e come tali non discutibili, l’idea di “democrazia”. Ora fino a quando l’umanità ha vissuto nei secoli bui dominati dalla fede assoluta e indiscussa, nulla quaestio. Quando il Re “Sole” ha, in forza del suo appellativo, illuminato la scena, e il suo fido Ministro Colbert ha regalato prima alla Francia e poi, per propagazione, all’intero Occidente un sistema amministrativo che più “servile” nei confronti del potere politico non poteva essere, i nodi sono venuti al pettine. A ciò aggiunga che come nella “fattoria degli animali” di George Orwell alcune democrazie sono più eguali di altre (magari perché esse vincono guerre a ripetizione) e ciò comporta che una classe politica voluta dove “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole” sempre più disarticolata, sgangherata e senza spina dorsale si trova a essere come Arlecchino serva di un padrone ulteriore rispetto a quello “ufficiale”, che parla spesso come un ventriloquo con il braccio di spioni e militari di sottopancia. 

Quali sono le categorie umane e le personalità o gli incontri che più la hanno colpita e formata nel suo itinerario professionale, culturale ed umano?

Non so risponderle. Certamente la personalità di cui ripeto più spesso gli aforismi è Albert Einstein che, in uno che ricordo a memoria, dice che non può cambiare la realtà se non muta la mentalità che l’ha prodotta. Non è incoraggiante. Ma far rinascere un pensiero razionale si può!!!

Alla sua attività politica e amministrativa ha sempre associato anche quella culturale e letteraria. Che ruolo ha la cultura e la scrittura nella sua vita?

La cultura e la scrittura hanno nella mia vita il ruolo più importante, rilevante e significativo che si possa immaginare. 

Quali sono i suoi riferimenti in ambito culturale (scrittori, pittori, saggisti e filosofi), chi c’è nel pantheon di Luigi Mazzella?

Non sono molti gli dei del mio pantheon: vi sono (e non tutti a pari titolo) i filosofi presocratici greci, primi fra tutti Democrito, Leucippo ed Epicuro, i sofisti, Baruch Spinoza, Machiavelli, Kierkegaard (nella sua pars destruens e non in quella costruens) Giacomo Leopardi (a parte la sua ammirazione per Platone che io aggiungo, con Hegel, ai malfattori elencati da Spinoza). 

Che relazione esiste tra la sua carriera professionale e quella intellettuale?

La stessa relazione che c’è tra lo studio scolastico, prevalentemente “utilitaristico” e quello determinato dall’ansia di conoscenza e dal bisogno di approfondimento di temi che la maggior parte delle persone accetta nella versione comunemente divulgata.

Tornando alla politica, in alcuni suoi saggi tra il 2009 e il 2013 ha descritto e analizzato il mondo politico italiano. Che opinione si è fatto della scena politica italiana e dei suoi retroscena? E degli esponenti di governo più recenti?

Cominciamo dai retroscena. L’Italia è uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale, ha accettato una resa incondizionata e ha subìto un trattato di pace di cui alcune clausole impeditive della sua piena rinascita economica erano apparse, in sede costituente, a Vittorio Emanuele Orlando semplicemente “vergognose”. Quando il boom economico degli anni cinquanta (il Miracolo italiano) dimostrò che una sorta di flat-tax impropria (per l’assenza di un sistema fiscale efficiente) poteva mettere a rischio le clausole del trattato di pace che ho ricordato il solerte Ezio Vanoni applicò, con la sua riforma, il sistema delle aliquote progressive fatto inserire in Costituzione a suo tempo. Il boom si fermò ma si parlò di una più equa distribuzione della ricchezza, a beneficio delle istanze dei comunisti. Quando Enrico Mattei propose l’idea di un’indipendenza energetica italiana avviando rapporti diretti con i produttori di petrolio, un incidente aereo troncò sul nascere quel disegno avversato dalle sette sorelle anglo-americane. Il filo-arabismo petrolifero non portò bene neppure ad Aldo Moro che voleva fare entrare nella stanza dei bottoni i comunisti un decennio prima della loro conversione all’atlantismo (ipotizzata come successiva al crollo dell’impero sovietico in itinere), a Bettino Craxi e persino a Giulio Andreotti. Oggi il panorama politico è ulteriormente peggiorato per la nascita di un pensiero unico che va dall’estrema destra all’estrema sinistra. Le discussioni avvengono solo sui dettagli. Nella sostanza il pensiero unico non ha alternative. Se questa è democrazia… può anche fare a meno del voto. E difatti l’astensionismo ci sta portando in quella direzione. Una ristretta minoranza di votanti esprime una minoranza di governo appena meno insignificante di quella d’opposizione. E poi si parla di oligarchie extra-occidentali!!!

Quali sono i rimpianti e le grandi soddisfazioni della sua vita?

Non ho rimpianti perché, pur essendo l’umanità quella che è, niente mi ha impedito di vivere seguendo il mio pensiero libero e incondizionato.La mia più grande soddisfazione è quella di avere costruito la mia vita all’insegna dell’armonia e della serenità dei rapporti con le persone a me più vicine. Ho avuto una grande fortuna: l’incontro con una persona straordinaria per la sua acutezza, perspicacia, intelligenza, ironia e generosità d’animo: mia moglie Ylva, essere umano veramente eccezionale e unico. E non solo secondo il mio parere!

Ha scritto nel 2014 un importante testo sull’attualità e sulle criticità della nostra carta costituzionale. Da vicepresidente onorario della Corte costituzionale, quali pensa siano i principali temi su cui occorrerebbe porre uno sforzo riformatore?

Della Corte Costituzionale ho scritto a lungo in un libro di Mondadori “Debole di Costituzione” e a esso rinvio. Dalla Corte escluderei i magistrati eletti corporativamente dalle rispettive categorie e i membri designati dal Presidente della Repubblica, affidando l’intera composizione al Parlamento o ad altre forme di suffragio popolare. Così com’è composta oggi…le cose non promettono bene.

Lei che ha osservato il poteri pubblici e privati in molte loro angolazioni dove si concentra a suo avviso davvero il potere in Italia?

Il potere in Italia si concentra fuori dai nostri confini.

Che ricordo ha di Silvio Berlusconi e cosa insegna il caso Berlusconi sulla politica italiana? Come lo definirebbe?

Di Silvio Berlusconi ho un ottimo ricordo personale, perché si trattava di un uomo di grande generosità e disponibilità umana. La mia esperienza politica nel suo governo è stata di breve durata e poco significativa perché non ho mai potuto discutere in Consiglio dei Ministri della mia proposta sulla incongruenza delle authorities in un sistema di organizzazione colbertiana della pubblica Amministrazione. Entrambi siamo stati vittime di un tranello (una cena conviviale con signore) ordito da un noto esponente della sinistra italiana che intendeva danneggiare entrambi; riuscendovi. 

Per lei che cos’è il potere?

Il potere è la somma delle competenze che si riescono ad esercitare quando potenze egemoni, estranee al nostro ordinamento, ce lo consentono. Non posso aggiungere altro perché parlerei di cose estranee all’esperienza che ho potuto avere nel mio Paese, sconfitto da una guerra terribile, voluta da uno dei “bellicisti di turno” (che data l’irrazionalità dominante non mancano mai).

Ha scritto molti libri e testi a quale è più legato e perché ?

Come in amore, l’ultimo: La Cognizione del Male: uscirà in Autunno e sarà autobiografico.

Perché “La cognizione del male” e come nasce la volontà di raccontarsi tramite una autobiografia?

Normalmente, il male si conosce in età matura. Io ho avuto la non invidiabile opportunità di conoscerlo in età infantile nelle persona (orrenda) del mio patrigno e di averne avuto (dopo conferme minori in età adulta) la riprova dopo il riscontrando in un uomo politico (definirlo “perfido” è poco) che ha ordito, con vera malvagità, ai miei danni un tranello micidiale per impedirmi di accedere a mete da cui intendeva tenermi lontano. Non aggiungerò altro. La lettura dell’autobiografia completerà il quadro.

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