«Qualcuno qualche sera fa mi ha ricordato che una volta dissi che l’avidità è giusta, a quanto pare è diventata legge».
Gordon Gekko
Sono parole di sua maestà Gordon Gekko, una delle canaglie più affascinanti che la settima arte sia riuscita a creare. Protagonista assoluto di un grande cult anni ’80, Wall Street – anche se la citazione proviene dal non altrettanto memorabile sequel del 2010 – che rappresenta per intere generazioni di liberisti, manager d’assalto e self-made man una pietra miliare della dottrina secondo cui l’unico dogma intoccabile è il profitto a qualsiasi costo.
Uscito nelle sale nel 1987, ma ambientato nel 1985, nel pieno fulgore dello yuppismo, il film narra la vicenda di Gekko, uomo d’affari di primordine per ricchezza ma soprattutto per spregiudicatezza negli affari, che spesso trascendeva nell’illegalità e in pratiche fraudolente a scapito altrui, e di Bud Fox, giovane broker con tanta ambizione. Bud non ha altro desiderio che poter lavorare con questo potente squalo della finanza, lo considera un vero maestro nell’arte della speculazione, fa di tutto per conoscerlo e quando riesce a entrare nel suo leggendario ufficio, luogo dove si muovono i fili che influenzano le tendenze del mercato, nonostante la ritrosia iniziale del padrone di casa, alla fine riesce a convincerlo a dargli una chance. Tra i due si creerà presto un legame strettissimo: Bud diventerà l’uomo di fiducia di Gekko, il quale gli affiderà tutti i suoi affari e lo spingerà ben presto in un vortice di azioni criminali e truffaldine, in nome dell’unica cosa che conta, il denaro, il potere economico, unico lasciapassare verso la vera felicità.
Per ottenerlo non bisogna avere scrupoli, quelli sono per gli ingenui, per i poveracci. I veri padroni della galassia non hanno sentimenti. Lo stesso Gekko durante il film distilla questi comandamenti al giovane discepolo attraverso monologhi che sono entrati nella storia del cinema, anche e soprattutto grazie alla recitazione sopraffina di un immenso Micheal Douglas, col suo fascino ammaliatore, così seducente ma allo stesso tempo così torbido e malvagio, con quel sorriso ironico e diabolico, che convincerebbe chiunque anche al gesto più abietto.
La maggior parte di questi laureati di Harvard non valgono un cazzo. Serve gente povera, furba e affamata, senza sentimenti, a volte vinci a volte perdi, ma continui a lottare e se vuoi un amico, prendi un cane.
Una massima memorabile, praticamente l’incipit di un saggio su come diventare una iena. Ben presto però Bud si renderà conto delle conseguenze negative sulla comunità e sulla povera gente che le azioni di Gekko determinano e, spinto dalla coscienza e da alcuni guai giudiziari all’orizzonte, prima boicotta gli affari del maestro e infine riesce a incastrarlo e a farlo finire per molto tempo a riflettere in galera.
Il film è entrato nel mito perché è un affresco esaltato ed esaltante di un decennio fuori dal comune e tuttora venerato, gli anni Ottanta, ma soprattutto perché rappresenta un modello di vita e di società a lungo osannato, quello dell’America reganiana. Negli otto anni della presidenza Reagan gli Stati Uniti raggiunsero una forte espansione economica e politica, vi era una ricchezza diffusa e la sensazione tra la gente che tutto fosse possibile, bastava solo lavorare sodo ed essere intraprendenti. Il governo federale favorì in ogni modo il mercato, abbassando le tasse ai redditi alti, sfoltendo spesa pubblica e regolamentazioni, effettuando liberalizzazioni, con conseguenze sulla collettività che solo nei decenni successivi furono chiare.
New York era piena di aspiranti yuppies, giovani professionisti “rampanti”, convinti che presto avrebbero guadagnato fortune, sposato modelle e comprato barche lussuose. Ma il sogno si è presto sgonfiato, come qualsiasi bolla speculativa e, come al solito, a pagare il conto più salato è stata la gente comune. Tuttavia, nonostante la fine di quell’epoca e di quel life style, a distanza di più di trent’anni rimane intatto qualcosa di questa meravigliosa pellicola, un quid che non riguarda i cineasti.
A rimanere vivo nell’immaginario collettivo è il mefistofelico protagonista e la sua dottrina sull’avidità. Il mondo giovanile di questi primi decenni del ventunesimo secolo, nel suo panorama sfaccettato, si è contraddistinto per la nascita e la proliferazione di aspiranti businessman in erba, ragazzetti, per la maggior parte di ceto medio basso, con un grande sogno nel cuore: diventare schifosamente ricchi. Va precisato che, naturalmente, l’amore per le ingenti ricchezze è coltivato dall’uomo fin dai tempi in cui egli stesso creò la moneta come mezzo di scambio, ma questo fenomeno sociale e gli individui coinvolti rappresentano in realtà una casistica particolareggiata e interessante.
Si tratta infatti di giovani, millennials o poco più, che provengono da quel mondo che i veri Gordon Gekko hanno contribuito a rendere un inferno per quelli che lo abitano. Questi ragazzi vengono da famiglie stritolate dalla precarietà, da un mercato del lavoro sempre più difficile, dall’impossibilità dell’accesso al credito, che devono tentare di mantenere questo fragile equilibrio a costo d’ingenti fatiche, tirando avanti un giorno alla volta. Sono persone che hanno ricevuto un’educazione e una preparazione scolastica molto buona, ma mancano di valori fondanti come la socialità e il bene comune, forse perché il contesto in cui sono cresciuti li ha incattiviti, inariditi, facendo covare dentro di loro un aspro individualismo e un desiderio sfrenato d’emergere.
Cotanta fame è divenuta ambizione sfrenata, che non vede ostacoli nella coscienza, che non vede le ragioni dell’altro, ma solo il proprio ego che va nutrito. Frequentano le università non per appagare una sete di sapere, per ampliare i loro orizzonti intellettuali, questa è roba per quegli sfigati che studiano lettere, direbbero loro: il solo scopo è acquisire un titolo che gli aprirà importanti strade, in grandi aziende, dove potranno emergere, sgomitando tra tanti, e finalmente sedere al tavolo di chi decide. Sono disposti a tutto per il loro fine: imbrogliare, circuire e truffare il prossimo o lo Stato, addirittura passare sopra il cadavere del proprio avversario, perché non vogliono solo arricchirsi, acquisire potere, loro vogliono vincere la sfida sottomettendo. Citando Gore Vidal: “Avere successo non ci basta, vogliamo vedere fallire gli altri, soprattutto i nostri amici”.
Questi giovani sono figli anche dell’era post ideologica, dove non si fa più parte di alcun gruppo reso coeso da un principio o da un modello, e allora l’unica strada che appare giusta è quella del battitore libero e senza scrupoli, perché tanto il mondo è ingiusto e solo i deboli perseguono il bene. Ma se il loro scopo principale è arraffare ricchezza, il secondo è ostentarla pomposamente, con sfarzo e quasi arroganza; sognano la villa faraonica sul mare, meglio ancora se condonata perché abusiva, tanto per dimostrare che loro sono al di sopra delle regole; vogliono auto veloci con cui sfrecciare pericolosamente, in barba agli altri guidatori e all’autorità, troppo lenti e fiacchi per star dietro a loro, che la vita la conducono sempre al massimo.
Sembrano voler seguire fedelmente l’adagio del buon Gordon Gekko:
Io parlo di ricchezza vera, ricchezza sufficiente per avere un tuo jet, sufficiente per non buttare via il tempo, cinquanta, cento milioni di dollari, Bud, o capitano o niente.
Loro ambiscono alla fascia del capitano e venerano tutti coloro che hanno conquistato questo status: imprenditori, general manager, broker, chiunque si presenti con un completo sartoriale e un Rolex al polso a raccontare quanti soldi ha, e pazienza se dopo un po’ il giornale ti racconta le malefatte da cui quel denaro è scaturito, per loro è solo il sistema più efficace per raggiungere la vetta.
Quando in tenera età scoprono il guru Gekko, per loro è un’illuminazione: elevano a riferimento questa figura e trovano i modi più assurdi per imitarla, come quando gli arricchiti quarant’anni fa mettevano l’orologio sopra il polsino della camicia come Gianni Agnelli. L’amato maestro, se potesse vederli, si compiacerebbe del risultato ottenuto, magari gustando un bel Montecristo fumante, perché questa è la vittoria delle classi dominanti: sarebbe a dire aver creato la disgregazione sociale, avere creato individui che, riluttanti di qualsiasi impegno politico e sociale rivolto a una comunità unita dalla stessa condizione, saccheggiano i propri simili per poter uscire dal fango della loro mesta esistenza, determinando così disgregazione, caos e debolezza delle masse che, lasciate alla deriva, sono facile preda di chi può imbonirle con un tozzo di pane.
Tuttavia non si rendono conto che, nel tentativo vano di costruire la propria torre d’avorio, finiranno per contribuire alla distruzione di tutto ciò che li circonda. Non si rendono conto che le vere élite, i veri Gordon Gekko, non amano spartire lo scettro col proletariato ma desiderano agitarlo dinanzi ad esso per sottometterlo. Alla fine scopriranno, dopo aver tentato di salire la vetta sui cadaveri dei propri fratelli, dopo vari stage in multinazionali senza volto o sentimenti, dopo vari impieghi come consulenti, commerciali, uffici marketing, a sostenere brand che vogliono solo trarre guadagno vendendo cose inutili a gente disperata, che a quelli come loro sono precluse le porte di quell’olimpo. I veri Dei sono capricciosi ed egoisti, e se proveranno a rubargli il fuoco, a loro riserveranno lo stesso destino di Prometeo.