Nel 1985 il quadro Les Pléiades del pittore surrealista Max Ernst venne apposto sulla copertina dell’edizione italiana di un romanzo recante un titolo filosoficamente complesso. La struggente, atemporale, passione della ninfa dipinta da Ernst, che si tiene il capo mentre fluttua nell’iperuranio, raccoglieva solo in parte il significato contenuto nel testo che prometteva di presentare. Come tutti i grandi romanzi, L’insostenibile leggerezza dell’essere si sostiene su di un intreccio difficilmente circoscrivibile ad una sola categoria interpretativa; Antonio Tabucchi esprimendosi su Milan Kundera, l’autore, gli attribuì la “non-etichetta” di scrittore «realista e metafisico»: solo brevi cenni di universo possono definire coerentemente lo scrittore di Brno. I carri armati che avanzano su Praga e le riflessioni sull’Edipo Re, il quartetto di Beethoven e le speculazioni sul caso, donne e uomini reali, che vivono quei turbamenti sentimentali comuni al genere umano, in ogni tempo e in ogni luogo; questi i temi affrontati nel libro che, platonicamente, si potrebbe dire, vive della tensione fra il mondo delle cose e quello delle Idee.
Il Kundera romanziere, quando studia la dinamica psicologica del rapporto amoroso, sentimentale o carnale che sia, lo fa con un’attenzione così profonda ed attenta al particolare da far ammettere al lettore che gli stati d’animo, i sentimenti e le riflessioni dei personaggi creati dall’autore cecoslovacco li aveva sì provati ma mai sarebbe stato in grado di esprimerli così vividamente. Si tratta di condizioni esistenziali tanto esatte quanto faticosamente dichiarabili; per farlo si deve avere il coraggio di mettersi a nudo. E mettersi a nudo significa concedere al lettore dei personaggi in grado di chiarire sia stati sentimentali umanamente comuni, quanto punte di perversione, segreti e schiaffi all’etichetta della morale certo personali ma ancora assolutamente inscindibili dall’umano errare. Un coraggio così alto nell’esposizione narrativa lo si può ritrovare solo nei personaggi carnali del Moravia della Noia o dell’Amore coniugale. Allo stesso tempo il severo realismo con cui Kundera descrive il cappio della censura, o lo strangolamento della primavera praghese per volontà di quella figura, laicamente ieratica, che fu Breznev, possono trovare margini alle analogie solo coi testi e i film del neorealismo: i protagonisti, inesausti antieroi di un sistema invincibile (vuoi chiamarlo Socialismo reale, stato autoritario, miseria o fato) che li schiaccia, possono continuare ad esistere attingendo solamente al fondo delle proprie forze, possono ammantarsi solo del conforto di sparute anime gemelle, coscienti del destino comune che le tiene unite.
Nel contesto italiano, L’insostenibile leggerezza dell’essere sanzionò il successo della casa editrice che l’aveva tradotto, l’Adelphi; questa, nata negli anni Sessanta, nonostante le buone performance dimostrate fino a quel momento nell’arena del mercato editoriale, mancava di una punta di diamante che, da quel 1985, fu incarnata proprio dal romanzo di Kundera. Tuttavia, trascurando la vicenda tipografica, è interessante constatare l’impatto che quel testo ebbe sull’humus sociale italiano: esso realizzò una fusione fra la cultura elitaria – ricettiva delle tematiche complesse, filosofiche e letterarie, che il romanzo, senza alcuno snobismo, portava con sé – e la cultura pop, leggera e diffusa, dell’Italia ricca, grassa ed esosa degli anni Ottanta, quella che si rispecchiava nello slogan della «Milano da bere». Insomma Kundera, l’intellettuale, si sposò col cantautore Antonello Venditti, che trasse dal titolo del romanzo una canzone omonima, si sposò con lo showman Renzo Arbore che lo utilizzò per la trasmissione Quelli della notte; insomma, che lo volesse o meno, Kundera si sposò con tutti coloro che erano restii a frequentare le librerie ma che vi entrarono perché avevano sentito parlare di un prodotto che valeva pena di consumare, che parlava, fra le altre cose, di questioni sentimentali, e che, forse, si abbinava bene al piumino Moncler e allo zaino Invicta immancabili nell’outfit del “paninaro”.
La polifonia tematica e la stratificazione interpretativa insita nel romanzo furono funzionali a propagarne l’eco. Nel rapporto dell’arte con la società non è determinante che la ricezione dei valori e dei significati contenuti nella prima siano integralmente compresi dalla seconda, basta che uno o pochi elementi di un corpus di valori più consistente facciano breccia sulla massa per fare dell’opera un fenomeno pop. Così, non è importante comprendere la genesi di un quadro di Dalì o quella del logo Versace – con appunto tutta la creatività e gli studi tecnici che vi sono a monte -, per indossare brutte copie di occhiali con l’effige di una Gorgone oppure calzini con su stampati onirici elefanti dalle lunghe zampe. L’opera d’arte naviga nel tempo e nello spazio, tuttavia è il caso che decide se essa sarà appannaggio di pochi esperti e appassionati o, piuttosto, se non diverrà elemento costitutivo, in un arco temporale definito, dell’interesse di una platea più vasta di uditori.
Italo Calvino, sebbene canonizzato dalla nostra storia letteraria, difficilmente sarà letto da un adolescente al di fuori delle imposizioni scolastiche, per non parlare di chi non è solito alla lettura: quel barone che in un Settecento indefinito va a vivere sugli alberi e resta per anni innamorato di una sua coetanea, assieme a tutte le dinamiche proprie di un romanzo di formazione, interessa a pochi; le scopate negli atelier, gli amori adulterini che illuminano il grigiore della vita oltre la cortina di ferro (grigiore che, si osservi bene, può essere anche quello della vita alla periferia delle grandi città), e riflessioni passionali molto profonde ma di immediata comprensione sì, possono decretare il successo di un’opera anche fra chi di solito manifesta interessi culturali più dozzinali. Un esempio in tal senso, tratto dal libro in esame, esemplifica bene quanto scritto:
Fare l’amore con una donna e dormire con una donna sono due passioni non solo diverse ma quasi opposte. L’amore non si manifesta col desiderio di fare l’amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne) ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica ad un’unica donna).
M. Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Milano, Adelphi, 1988, p. 23.
Il boom dell’Insostenibile nell’Italia dell’edonismo reaganiano, è certo ascrivibile al contesto stesso. Gli anni Ottanta portavano in dote, da un lato il trapasso delle lotte sindacali, la disillusione politica scaturita dal “magna-magna” del pentapartito, la corruzione sempre più evidente, e, dall’altra, il piacere di vivere in un’epoca più spensierata e meno formale, dove si scoprivano gli aperitivi, si credeva in una nuova religione che era la nazionale di calcio, detentrice dell’alloro di Spagna ’82 e che, come cantava Fossati, anche se alla stazione «dormivamo tutti» e si perdeva il treno, un altro ne sarebbe presto passato. Ecco che quel tessuto sociale che dal dopoguerra cercava con tutte le sue forze di allontanare la miseria, quando raggiunse una forma di benessere diffuso vi ci si affidò completamente. Accolse sì il romanzo di Kundera ma di esso rammentò solo le sue componenti sentimentali; via i carri armati sovietici da Piazza San Venceslao, via l’Edipo Re e i contenziosi dell’Est e dell’Ovest, via le cose serie che tanto sono noiose: il decennio domandava di far affidamento sugli amori dannunziani e sulla sessualità romantica, forse frivola ma adatta per essere riportata sui diari dagli adolescenti.
Il romanzo di Kundera ebbe la fortuna di essere edito al momento giusto. Se è certo che il suo geniale autore lo creò a immagine e somiglianza delle grandi opere d’arte, suscettibili, occorre ribadirlo, di innumerevoli livelli di ricezione, e se come ogni importante prodotto culturale mai è compreso da tutti coloro che lo fruiscono, nei suoi significati più reconditi – per ovvi motivi di tempo e per il possesso o meno di certi strumenti interpretativi -, è pur vero che buona parte della sua fama leggendaria è derivata dalla sintonia con certe sensibilità che l’epoca e la società domandavano e che il romanzo ha rintracciato. Ed anche in questo è stato il genio di Milan Kundera.