Non è nemmeno così lussuoso questo famoso Hotel de Bilderberg in Olanda. Tetti a punta, grandi vetrate, verande luminose, un giardino curato. Una bella e ampia dimora borghese, ma niente a che vedere con lo sfarzo aristocratico di alcuni alberghi dell’Italia del nord, del sud della Francia o della campagna inglese. Eppure qui, dal 29 al 31 maggio del 1954, si riuniscono cinquanta rappresentanti da undici Paesi dell’Europa occidentale più undici americani. Da questo momento in avanti, ogni anno, i membri di questa speciale associazione si riuniranno in modo itinerante. Ogni anno un luogo diverso. È il Club Bilderberg. A quella prima riunione ci sono ministri, ambasciatori, banchieri, grandi industriali. Nei decenni successivi questo incontro ecciterà le fantasie di complottisti, dietrologi, esoteristi, paranoici e semplici curiosi. Cos’è questo Club? Una rete di potere internazionale, un luogo di scambio culturale tra persone che contano, un incrocio di favori e interessi delle élites, un governo unico del mondo, la riunione dei burattinai della Terra? Lavora per la pace e la prosperità dei popoli oppure ordisce trame per la sottomissione dei più a una ristretta oligarchia?
Tanto si è fantasticato e ciascuno si è dato la propria risposta. Tuttavia, pochi conoscono come tutto questo è nato. Perché in quel fine maggio del 1954 c’è un uomo magro, non tanto alto, con gli occhi vispi, le orecchie grandi, i capelli con il riporto a sinistra, vestito con sobria raffinatezza, dai modi gentili che si muove da un capannello all’altro degli invitati. Sorride, stringe mani, incrocia presentazioni. Non è un banchiere, non è un politico, non è un giornalista, non è particolarmente ricco né di nobili origini. Si chiama Josef Hieronim Retinger e ha fondato il Club più discusso, osteggiato, ambito e ammirato dell’ultimo secolo.
Il suo più intimo amico è il principe Bernardo d’Olanda, che gli succederà alla presidenza del Bilderberg, il quale descrive Retinger come un «monaco-soldato che amava i piaceri semplici come fumare, bere, chiacchierare, ridere, ma era dotato di una volontà d’acciaio, una mente notevole e un’energia inesauribile». Nato a Cracovia da una famiglia piccolo borghese, il papà è un avvocato che lavora per il conte Zamoysky, un ambiente che stimola nel giovane Josef uno slancio cosmopolita. Così, a sedici anni, si trasferisce a Parigi per studiare e qualche anno dopo si laurea in Lettere alla Sorbona. Nella capitale francese affina le sue capacità frequentando l’élite politica, intellettuale e letteraria di inizio secolo. Al tempo il giovane esule polacco coltivava il sogno di diventare scrittore ma venne dissuaso da un pungente commento di André Gide ad un racconto che egli aveva presentato al grande scrittore. Sceglie allora di inseguire il sogno di una Polonia libera e unita e si ritrova a confrontarsi con il demone della politica. Retinger si dà però all’attività pubblica a modo suo. Per il futuro fondatore del Club Bilderberg l’azione politica non può essere separata dalla formazione e dunque per prima cosa si trasferisce a Monaco a studiare Psicologia comparata, dove perfeziona gli studi con successo. Retinger è dotato di un naturale charme e sviluppa una notevole capacità relazionale e manipolatoria. Impara anche le lingue con notevole facilità e arriva a padroneggiarne quattro prima della fine dell’università.
Si sposta poi in Inghilterra, anche qui nella capitale. Si specializza per un anno alla London School of Economics dove entra in contatto con i maggiori esponenti della Fabian Society che mescolano con sapienza riformismo, socialismo ed elitismo. A Londra persegue il suo obiettivo politico animando il movimento per l’indipendenza della Polonia, ma soprattutto inizia a costruire la sua rete di relazioni: diventa amico di scrittori come Joseph Conrad, polacco come lui, e il commediografo fabiano George Bernard Shaw ma soprattutto di politici, dall’ex premier Asquith a lord Balfour fino a Churchill. «Impara a cavalcare i venti del potere, la sua influenza comincia a farsi sentire dal n. 10 di Downing Street al Quai d’Orsay, dal Vaticano al Kremlino» dirà sempre di lui Bernardo d’Olanda.
Retinger si trova a suo agio con gruppi sociali e di interesse diversissimi, e talvolta persino in conflitto tra di loro, mostrando una notevole capacità relazionale e trasformistica. Cattolici e massoni, socialisti e liberali, federalisti, monarchici, repubblicani, dove c’è una rete d’influenza, c’è Retinger. I suoi spostamenti sono una mappa fondamentale ancora oggi per qualunque giovane voglia entrare a far parte delle élites internazionali: capitali e grandi città dei Paesi più importanti al mondo, università di alto livello, logge e associazioni organizzate su scala globale.
Tra il 1906 e il 1920 si impegna su fronti diversi, sempre dentro la cornice liberale e sovranazionale: collabora alla definizione di un piano per riorganizzare l’Europa centro-orientale, voluto dal generale dei gesuiti, il conte polacco Ledóchowski; propugna la creazione di un governo mondiale, col federalista britannico Arthur Capel; sostiene la fondazione dello Stato di Israele, con leader del movimento sionista come Chaim Weizmann e Nahum Sokolov.
Ma qualcosa va storto sul piano politico, siamo pur sempre nel corso della Prima guerra mondiale e di fronte ad un reflusso nazionalistico, e nel 1920 Retinger viene bollato come “persona non grata” nel Regno Unito. Prossima destinazione? Il Messico, ma con lo sguardo rivolto agli Stati Uniti. Il futuro fondatore del Bilderberg lavora di concerto con la politica messicana e americana, alla ricerca di un compromesso tra le grandi compagnie petrolifere americane e i sindacati dei lavoratori messicani. Qui Retinger serve l’interesse degli Stati Uniti d’America e si rende utile all’espansione economica e industriale di quella che si avvia a diventare la prima potenza del mondo. Un’esperienza importante quella oltreoceano che gli permetterà in futuro di presentarsi come uomo dei due mondi, nodo di collegamento tra le due sponde dell’Atlantico.
Nel Vecchio continente ritorna solo nel 1939, con l’idea di superare i nazionalismi e creare una Europa unita sul piano politico ed economico. Partecipa alla resistenza polacca come uomo di fiducia del generale Władysław Sikorski, capo del governo polacco in esilio a Londra nonché delle forze armate e tra le prime personalità del Dopoguerra a dichiararsi a favore della creazione di istituzioni sovranazionali. Insieme definiscono il “piano Sikorski” per la creazione di una comunità di Paesi liberi e indipendenti in Europa centrale, legati sul piano diplomatico, militare ed economico alla galassia anglo-americana.
Nel 1943 Sikorski muore in un incidente aereo mentre vola verso il Medio Oriente dove stazionavano forze polacche che stava andando a visitare. La pace di Yalta, inoltre, distrugge ogni possibilità per la Polonia di avere un futuro libero e occidentale. Pertanto Retinger si volge interamente al progetto di unificazione europea coinvolgendovi anche gli Stati Uniti, del cui ruolo fondamentale come primo attore geopolitico si era convinto già dopo la Prima guerra mondiale. È in questo contesto che Retinger inizia ad immaginare un modo per stringere relazioni più forti tra l’establishment dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti. Per certi aspetti, egli intuisce i cambiamenti della Guerra fredda prima di molti altri, capisce che la coesione del blocco euro-atlantico risulterà fondamentale per fronteggiare l’Unione Sovietica con successo e che soltanto quella rete potrà prevenire l’espansione del comunismo e indebolirlo ove questo è al governo.
Nel maggio del 1948 Retinger è membro del comitato che organizza il Congresso dell’Aja, una grande conferenza che fu il primo passo del processo politico che portò al Trattato di Roma del 1957. Vi parteciparono ottocento figure chiave dell’Europa e del Nord America, molte delle quali coinvolte direttamente da Retinger che d’altronde «conosceva tutti e aveva accesso ovunque, in quegli anni era uno degli uomini meglio informati», come ricorda il politico ed ex Primo ministro belga Paul-Henry Spaak.
Già nel 1946 Retinger aveva tenuto al Royal Institute of International Affairs di Londra un discorso sul futuro dell’Europa dove sviluppava il concetto di unificazione politica ed economica del “Vecchio continente” nell’ottica di una grande alleanza atlantica con il mondo anglo-americano. Dopo la conferenza dell’Aja del 1948 fu tra i principali esponenti del Movimento europeo e poi membro del Congresso d’Europa, del College of Europe di Liegi e dell’European Center of Culture di Ginevra, tutti volti a coltivare l’idea di un’Europa unita, integrata e atlantica.
Ponte fra i popoli europei, Retinger fu anche e soprattutto un ponte fra l’Europa e gli Stati Uniti. Per dire, fu uno dei soli tre europei, insieme a Winston Churchill e Richard Coudenhove-Kalergi, a far parte dell’American Committee on United Europe (ACUE), che può essere considerata come una struttura parallela, di carattere misto pubblico-privato, creata nel 1948 dalla CIA, dal Dipartimento di Stato e dal Council of Foreign Relations, presieduta dall’ex leggendario capo dell’Office of Strategic Service (OSS) William Donovan, per coordinare il supporto al processo di integrazione europea, progetto che all’inizio della Guerra fredda era una priorità politica assoluta per gli Usa. Retinger era tra i responsabili della distribuzione di milioni di dollari senza i quali la ricostruzione europea non sarebbe stata possibile, dollari del governo ma anche delle grandi fondazioni Carnegie e Rockefeller. Un carburante fondamentale per il creatore del Bilderberg al fine di sviluppare le sue reti di potere e influenza tra Vecchio e Nuovo continente.
Retinger fu naturalmente un sostenitore entusiasta della creazione della NATO nel 1949 perché è con lo stesso spirito federativo, nel mezzo della Guerra fredda, che nel 1954 nasce il Club Bilderberg. Retinger prese l’iniziativa proprio per evitare dinamiche di disgregazione interne all’Occidente e attutire le inevitabili tensioni in un’alleanza così vasta come quella atlantica. Era convinto che una discussione regolare, off-the-record, tra esponenti dell’establishment dei vari Paesi avrebbe favorito una comprensione migliore delle forze complessive e delle maggiori tendenze nelle nazioni occidentali in quel difficile periodo post bellico. Retinger credeva nel potere del dialogo diplomatico, era sostanzialmente un iper-politico seppur cultore della segretezza, e riteneva possibile la mediazione anche tra posizioni di partenza molti distanti. Per questo creò il Bilderberg, per costituire un consiglio transatlantico tra leader europei e americani. Un club capace di riunire aristocrazia di sangue, aristocrazia del capitale, vertici politici e burocratici: le idee avrebbero potuto essere anche molto diverse, ma la coscienza di rango e la dialettica avrebbero permesso a questa élite di arrivare a un coordinamento degli obiettivi.
Un primo esperimento pre-Bilderberg si ebbe a Parigi, nel settembre 1952, ospitato dal barone François de Nervo, per delineare la struttura organizzativa di una nuova associazione che avrebbe dovuto perseguire i propositi euro-atlantici tratteggiati da Retinger. In dodici risposero all’appello del promotore, fra i quali il Primo ministro francese e il capo dell’opposizione in Parlamento, il Primo ministro belga, il Ministro degli esteri danese, un diplomatico greco, il principe Bernardo d’Olanda e per l’Italia l’ambasciatore Quaroni.
Ci vollero due anni per coinvolgere gli Stati Uniti nel progetto, tra i primi ad aderire ci fu il banchiere David Rockefeller, presidente onorario del Council of Foreign Relations e fondatore della Trilateral, che diede l’imprimatur dell’establishment americano per organizzare la prima conferenza “Europa-America” a Oosterbeek, in Olanda, nel maggio 1954, quando il famoso Club vide finalmente la luce nell’hotel a cui deve il nome.
Retinger resterà segretario permanente del Bilderberg fino alla sua morte. Il Club mostrerà spesso una notevole lungimiranza sulle figure da coinvolgere nei suoi annuali meeting a porte chiuse. Ad esempio, Bill Clinton era ancora un poco conosciuto governatore dell’Arkansas quando venne invitato alla riunione del Bildergberg in Germania nel 1991. Un anno e mezzo dopo sarebbe diventato Presidente degli Stati Uniti. L’outsider del partito conservatore Margaret Thatcher venne invitata per la prima volta nel 1976, tre anni prima di diventare a sorpresa Primo ministro del Regno Unito. Il club funziona come una sorta di filtro funzionale delle élites globali, chi entra ha ottime possibilità di ritrovarsi al vertice della piramide poco dopo. Nel 1956 Retinger era già consapevole dei rischi della sua iniziativa: «Per non essere tacciati di essere una mafia, non ci occuperemo di fare politica o di promuovere politiche.
Il nostro obiettivo principale è smussare le difficoltà e le tensioni tra Paesi diversi in vari ambiti. Non abbiamo intenzione di intraprendere alcuna azione diretta. I rappresentanti partecipano sulla base di un tacito accordo da parte dei governi dei loro Paesi e delle organizzazioni internazionali». Non basteranno queste buone intenzioni.
Nei decenni successi le accuse di complottismo e cospirazione si accaniranno comunque sul Club Bilderberg. Retinger morirà di cancro ai polmoni a Londra nel 1960. Senza patrimonio e senza stipendio alcuno, aiutato sul piano economico dai suoi molti amici, fra i quali il principe Bernardo d’Olanda. Al suo funerale presenzieranno ben cinque ministri del governo inglese. Sir Edward Beddington-Behrens dirà: «Mi ricordo di Retinger negli Stati Uniti prendere il telefono e ottenere immediatamente un appuntamento con il presidente, mentre in Europa aveva entrate in ogni circolo politico. Un diritto acquisito attraverso la fiducia, il rispetto, la lealtà che suscitava».
Nessuno ha avuto un’agenda di contatti più ampia della sua, nessuno una rete così vasta. Per certi versi Retinger ha intuito, ben prima della globalizzazione, che il potere sarebbe evoluto secondo uno schema reticolare. Il mondo non si sarebbe più diviso in nazioni in lotta, ma in aree molto più vaste come quella euro-atlantica. Per preservare la gerarchia, la stabilità, la compattezza nei confronti dei nemici del capitalismo democratico, per perseguire la risoluzione pacifica dei problemi era necessario creare istituzioni capaci di far incrociare i tanti nodi della rete di potere occidentale. Ognuno avrebbe portato qualcosa della sua rete alla più grande sovrastruttura del Club Bilderberg. Di conseguenza, l’assise riservata fondata da Retinger avrebbe funzionato da hub, il nodo più grande della rete al quale tutti potevano connettersi e che poteva a sua volta collegarsi con tutti. Plasmato su un modello informale e sovranazionale, il Club con le sue riunioni diventava un luogo di scambio delle informazioni e delle idee capace di offrire una nicchia elitaria in grado di andare oltre i risultati politici della democrazia. Tuttavia ciò avveniva, e avviene, dentro una cornice ben precisa, quella dell’asse euro-atlantico che viene scosso di continuo da tensioni e perturbazioni interne ed esterne. In questo contesto, il Club forniva un appiglio, un rifugio sicuro per confrontare azioni e visioni senza perdere lo spirito unitario e senza pubblicità. Ecco allora che Retinger diviene una delle maggiori personalità della politica post-moderna dove il comando e la gerarchia lasciano il posto al dialogo e alla rete, dove il potere si fraziona in poteri, dove la rappresentanza cede alla fratellanza oligarchica, dove il formalismo viene dominato dall’informalità. Ed è per queste caratteristiche che il Club ha generato tante suggestioni positive e negative. Retinger ha lasciato al mondo una creatura misteriosa, avversata con ferocia, ammirata con voluttà e ancora oggi dai contorni politici e istituzionali incerti. È il fascino del potere segreto, fondato da una eminenza grigia la cui unica patria era l’Occidente.