Decisivo, se non fatale, è nella storia l’eterno scollamento tra politica e potere: la prima costituisce spesso una sovrastruttura, una vacua intelaiatura, mentre i reali centri di potere dimorano altrove, in un chiaroscuro popolato, nell’analisi di Lorenzo Castellani, da “ministri, ambasciatori in alta uniforme, ma anche padri confessori e medici personali, aiutanti e segretarie, camerieri particolari e amanti”. Esoterismo ed essoterismo s’avvicendano nelle stanze dello stato profondo in cui s’intrecciano e si determinano i destini degli Stati: in questo non luogo s’inserisce l’indagine di Castellani, che mira ad offrire lumi su quel potere che, opaco, è “commistione tra pubblico e privato, incontrollabile, dotato di sfumature magiche, sovrannaturali, religiose oppure scientifiche, incline all’affarismo e al cinismo”.
Eminenze grigie, con uno stile agile e narrativo che valorizza il rigore storico della narrazione, costituisce un’acuta radiografia dei sistemi di potere, dei nevralgici interessi della politica e delle sfere d’influenza decisive. Del saggio fanno dunque parte individui d’ogni genere e tipologia, predoni del destino che s’affermano nella contingenza, crescono nell’ombra, determinano le sorti della storia pur restando estranei a manuali e grandi narrazioni, poiché, ricorda Castellani “chi si concentra sui partiti, i movimenti, le istituzioni politiche, le leadership non vede il lavoro, che può arrivare anche da angolazioni meno politiche, dei grandi suggeritori del sovrano”. La politica, comunemente intesa, diventa così null’altro che una perniciosa caverna platonica, animata da maschere e idoli, menzogne e inganni e strategie ignote ai più.
Districando le trame più intime dell’establishment, la narrazione interseca e travalica epoche e confini della storia: inaugura la rassegna, tra fede e diplomazia, il ritratto di Francois Leclerc du Trembaly, ambiguo francescano da cui deriverà l’espressione “eminenza grigia”, segretario di Richelieu: sobillatore personale e arguto agitatore di folle, in bilico tra Chiesa e Corona, offrirà un contributo decisivo alla politica assolutistica di Francia. Seguono, originali e accattivanti, le vicende di uomini d’apparato di ieri e di oggi: Vladislav Surkov, burocrate ceceno da Putin amato e avversato, determinante per la sua ascesa al Cremlino e per l’affermazione della democrazia cosiddetta “gestita”: una sua massima racchiude l’essenza del potere putiniano, per cui “un’overdose di libertà è letale per uno stato”. V’è poi Alberto Beneduce, “plenipotenziario economico e finanziario”, “l’unico che poteva sedere da solo con Mussolini senza prendere ordini dal Duce”: fu dunque economista, massone, fondatore dell’IRI, capace di tenere a galla l’Italia dopo la crisi del ’29. Lasciò in eredità al Paese una decina di enti economici e finanziari di sua ideazione.
Compare tra i ritratti Martin Bormann, “funzionario tozzo e male istruito”, gerarca apparentemente anonimo epperò infaticabile alter ego di Hitler, prode servitore e scudiero che restò accanto al Fuhrer fino alla fine dei suoi giorni ed oltre, consegnandosi alla storia nella forma di un mistero mai risolto. Congetture e teorie che aleggiano, da sempre, anche sul Gruppo Bildeberg, settantenaria organizzazione fondata dal “ragno” Retinger, di cui Castellani offre un vivace spaccato biografico: la sua abilità, nota l’autore, fu nel comprendere prima di altri l’evoluzione globalista della politica, tale da rendere necessaria una trama di istituzioni al fine di “incrociare i tanti nodi della rete di potere occidentale”. E ancora segretari, consiglieri machiavellici e cinici strateghi: Keith Joseph, uomo fidato di Margareth Tatcher, il capostipite degli spin doctor Mark Hanna, il mandarino Zhou Enlai e Dick Cheney, vicepresidente USA. Nel descrivere quest’ultimo quale “mastino dalla mente lucida, ardita, luciferina”, Castellani raccoglie con perfetta concisione l’essenza profonda dei rapporti di forza che da sempre animano la politica: Cheney fu infatti fautore di quel “potere brutale che nel privato non deve nascondersi mai e che nel pubblico deve occultarsi quasi sempre”. Ecco l’anima, la psyche del potere messa a nudo: si sfoglia “Eminenze grigie” e salta alla mente il Gramsci tanto sagace – quanto, forse, abusato – delle “poche mani” che “tessono la tela della vita collettiva”.
Castellani comprende, perciò, come “la complessità estrema di questi personaggi li rende l’oggetto di studio forse più interessante per chi si occupa di storia e politica. Perché ciò che si muove dietro, che si vede sfocato o non si vede affatto, è sempre più interessante di ciò che figura davanti”: e soprattutto, verrebbe da aggiungere, è più influente e determinante. Per questo, se quella delle eminenze grigie è un’aristocrazia multiforme e cangiante, con la primavera che in Italia porterà al rinnovo di cda e collegi sindacali, per un totale di cinquecento poltrone e oltre cento società coinvolte nel valzer delle cariche, Eminenze grigie acquisisce i tratti di un’opera preziosa, indispensabile per comprendere l’indissolubile legame tra “frequentatori della camera” e “destino dello Stato”. Occorre prestare attenzione, dunque, giacché il potere può logorare non solo chi non ce l’ha, ma anche chi, ignorandone le logiche, finisce inevitabilmente per subirne i meccanismi.