OGGETTO: Il mito al tempo dell'oclocrazia
DATA: 04 Agosto 2024
SEZIONE: Società
FORMATO: Visioni
Proprio il mito, la base produttrice originaria del senso, è un costituente imprescindibile di quella civiltà che ha raggiunto un dominio imperialistico sul mondo. Cancellarlo è il sistema perfetto per minare la base e giustapporre nuovi “miti” con cui finalmente identificarsi ed esserci. Tale rischio di negazione spaventa, più che per la sua effettività o efficacia attuale, per la banalità dei sostituti a confronto dei sostituiti.
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«Già la caparbietà con cui la mitologia fino ad oggi si è palesata chiusa a qualsivoglia spiegazione, serve come prova che essa appartiene alle cose la cui piena comprensione dipende da un superiore grado di sviluppo della coscienza umana; sicché non si poteva sperare di vincere l’oscurità che circonda sia il suo senso che la sua origine altrimenti che in conseguenza di un ampliamento generale del pensiero umano. Finché la filosofia presuppose in genere lo stato attuale delle cose e della coscienza umana come l’unica misura valida in generale, e vide questo stato come uno stato necessario ed eterno in senso logico, non poté affatto concepire ciò che va oltre lo stato presente della coscienza umana, che lo trascende.» (Filosofia della mitologia, Friedrich W. Schelling, Mursia, Pg.11)

Le fonti dell’amarezza nella nostra società contemporanea sono molteplici e spesso radicate in una perdita di connessione con i miti fondativi delle nostre culture. Nel contesto odierno dove si cerca di evidenziare con scientificità l’emergere di Black History o altre modalità alternative storiche, tanto evanescenti quanto indistricabili dalla loro dimensione orrorifica di schiavismo e stato di natura, Levi Strauss ha dato un giusto peso al Pensiero Selvaggio che le potrebbe caratterizzare. Ma l’analisi strutturale svolta dal grande antropologo francese ha lasciato comunque una pietra di paragone di inestimabile differenza estetica tra mito orale-spaziale e mito scritto-temporale. Il non essere presenti nelle infinite varietà narrative della mitografia che caratterizzano le civiltà antiche, non può essere guarito in alcun modo dalla giustapposizione continua con mitologie completamente diverse e dettate dal “Pensiero Selvaggio”. Ma nemmeno esiste una modalità di riscrittura a quattro mani tra mitografie diverse e in egual modo scritte. Proprio in tale contesto emerge la necessità del cancellare. Ma da dove deriva tale necessità?

Oggi non sembra palesarsi nessuna forma di mediazione tra la vecchia fede occidentale cristiana e la fede islamica dei migranti. Oggi non si palesa alcuna mediazione che non sia dettata da dinamiche di potere economico-politico del grande apparato tecnico-capitalistico in cui ci troviamo. Questo anzi favorisce un irrigidimento in categorie classificatorie che obnubilano la capacità multiforme e multi focale del mito quale motore creativo di idee e culture. L’identificazione dell’altro, del fuori da sé, è un processo rapidissimo di condanna a categorie quali “Invasore”, “Fondamentalista”, “Povero”, “Ladro” ma è altrettanto veloce la condanna contraria a “Depravazione”, “Debolezza”, “Denigratorio”. Questa caratteristica della società contemporanea è dettata da una mancata comprensione e comunicazione, ovvero dall’assenza dell’orizzontalità delle visioni, ma lo è altrettanto dall’assenza della verticalità dell’appartenenza memoriale. Il cristianesimo ebbe il merito di unire questi aspetti assiali. Oggi vogliamo sostituire tale principio mitopoietico con un sistema economico meccanizzato il cui unico interesse è l’orizzonte del guadagno. Una risposta immediata, e senza alcuna memoria, per giustapporre popoli depauperati culturalmente, in vite-loculo di produzione e funzionalità

Nasce quindi la contrapposizione tra immediato e mediato, velocità produttiva e lentezza culturale, ovvero una dicotomia fondativa che cerca di forzare una rapidità contro qualcosa che ragiona sui secoli. Mancando però l’appartenenza al mito e il suo presenziarsi ad esso, ne segue l’esclusione e tale aspetto può raggiungere e rappresentare una radicalità sociale difficilmente evitabile. Assentarsi dal mito ed esserne esclusi, comporta il cercare di distruggerlo in quanto pericoloso meccanismo denigratorio costante. Destituire il mito finisce per essere una missione che trova due potenti moventi: la rapidità e gli esclusi. 

Per quanto l’assenza delinei tanto quanto la presenza, l’assenza delinea le frontiere di contrapposizione e i punti dove colpire. Proprio per questo motivo il mito, quale motore infinito di significato a discapito di ogni scientificità, non concede ierofanie a chi non lo presenzia perennemente vivendolo nella dimensione culturale. Il rifiutarlo, il delinearne i limiti, le imperfezioni con protervia scientifica rischia di renderlo un motore spento al meglio o addirittura offensivo nei peggiori. Non è quindi sorprendente che oggigiorno possiamo vedere negazioni continue di legittimità e di valore nei confronti di grandi mitologie della storia occidentale o di opere che hanno ormai assunto uno statuto “mitologico”. Negare Dante e Omero, in nome di una mancata inclusività degli stessi non è un prodotto di semplice indice di follia per qualche invasato, ma un progetto ben preciso d’attacco che fa giocoforza sull’identificazione dell’Occidente quale schiavista, oppressore e depravato. Antenor Firmin è un importante precursore che evidenzia l’importanza di decostruire miti imperialisti e di dominio che fanno della guerra e della ferocia un movente primario. Ma a discapito di tale importanza, soggiace un aspetto inequivocabile di riscrittura e giustificazione sociale di tipo costruttivo.

«Firmin chiede ai Neri di impegnarsi per l’ eguaglianza nelle loro vite per competere con i Bianchi e per formulare esperienze ed educazione Nera verso un depotenziamento del suprematismo bianco sostenuto dall’ ineguaglianza delle razze. Un’importante implicazione che inserisce Firmin in una disciplina dominata da filosofi bianchi, il pensiero europeo, e la filosofia Anglo-Americana è che il suo messaggio contro l’ineguaglianza delle razze richiede ai pensatori bianchi di confrontarsi con se stessi e con il ruolo che le loro produzioni giocano nel perpetrare lo stratagemma di una eguaglianza razziale comparativa. Non è più adeguato per i filosofi bianchi vivere e perpetuare il mito secondo cui i pensatori europei sono gli unici pensatori che forniscono gli strumenti per la loro stessa decostruzione. Ciò che Rousseau trasmette implicitamente e Firmin insiste categoricamente è che l’accumulazione storica del pensiero bianco è impotente e nella sua essenza è inapplicabile al mistero dei Neri. Quindi, invece di continuare a rivedere il pensiero europeo e i pensatori europei infettati dalle vestigia della superiorità bianca, Firmin spinge i neri a iniziare a pensare filosoficamente senza i resti dell’ignoranza della filosofia bianca.» (From Rousseau’s Theory of Natural Equality to Firmin’s Resistance to the Historical Inequality of Races, Tommy J. Curry, The CLR James Journal, Vol. 15, No. 1, Special Issue: Creolizing Rousseau (SPRING 2009), pag. 157)

Proprio il mito, la base produttrice originaria del senso, è un costituente imprescindibile di quella civiltà che ha raggiunto un dominio imperialistico sul mondo. Cancellarlo è il sistema perfetto per minare la base e giustapporre nuovi “miti” con cui finalmente identificarsi ed esserci. Tale rischio di negazione spaventa, più che per la sua effettività o efficacia attuale, per la banalità dei sostituti a confronto dei sostituiti. Ma spaventa ancor più per le forze che sostengono ciò: una democrazia impaurita dal pericolo di perdere il dominio tecnico-politico e pronta ad utilizzare qualunque metodo biopolitico per mantenere il controllo, compreso il distruggere le sue stesse basi ormai marce. Ciò perché la democrazia a cui ci riferiamo oggi è pura enumerazione e calcolo quantitativo, ovvero una oclocrazia, una forma decaduta di Democrazia dove il numero (massa-denaro) suggella e avvalla qualunque legge e potere. Non vi è più alcuna affezione culturale e appartenenza alle radici originarie del Demos (una unità minima di misura popolare che demarca) ma qualunque forza biologica può essere piegata al perpetuarsi Oclocratico fingendo di donare costituzioni filosofiche di fatto inesistenti o indistricabili da ciò che si condanna.

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