L’evento che permise al movimento ambientalista di affermarsi e diffondersi a livello mondiale fu la pubblicazione di un libro, The limits to growth (1972). L’opera esponeva in maniera semplice i risultati di uno studio scientifico molto ambizioso; svolto da un gruppo di giovani ricercatori, come Donella H. Meadows (1941-2001), scienziata e principale autrice della pubblicazione divulgativa, Jørgen Randers, William Beherens III e Dennis Meadows che diresse il team, afferente al Massachusetts Institute of Technology (Mit). The limits to growth fu anche il primo rapporto al Club di Roma. L’associazione del Club di Roma era stata fondata pochi anni avanti da uno straordinario torinese, Aurelio Peccei (1908-1984), già partigiano di Giustizia e Libertà, dirigente Fiat e quindi alla guida di Italconsult, Olivetti, Adela. Il Club di Roma nacque quale circolo di pensiero ed azione; dedicato alla problematica, al malpasso dell’umanità, da osservarsi in prospettiva mondiale, olistica e sistemica, senza separare il divenire dell’ambiente da quello delle società umane. Peccei aveva intuito come l’uomo, sulle ali del suo meraviglioso sviluppo tecnologico, si fosse lanciato in una terra ignota, moderna; ove l’esperienza del passato e l’antico equilibrio naturale non avrebbero offerto riparo da un pericolo nuovo e terribile.
Il Club di Roma decise di indagare l’imminente cambio d’epoca tramite un modello matematico mondiale, garanzia di rigore scientifico oltre le intuizioni del fondatore.
Alla base di questo incivile e ottuso comportamento vi è il potere che deriviamo dalla nostra scienza, ma che non sappiamo usare né con saggezza né con moderazione [..] Il fascino delle conquiste economiche e tecnologiche ci impedisce di vedere che quell’onda incessante intacca le radici della nostra vita individuale e collettiva. Crescite fenomenali, che si avvicinano rapidamente ai massimi critici lungo curve esponenziali, si verificano nel campo demografico, dell’inquinamento, della liberazione dell’energia, dell’automazione.
Aurelio Peccei, Verso l’abisso, 1970; ed orig. The Chasm Ahead 1969
L’incontro con Jay Wright Forrester (1918-2016), ingegnere, docente del Mit e padre disciplinare della dinamica dei sistemi, fu decisivo. Forrester elaborò il modello World 1 (Mondo 1), formato da decine di equazioni non lineari e convinse Peccei ad affidare a Meadows lo sviluppo del definitivo modello World 3, assieme alla realizzazione dello studio. I calcolatori del Mit occupavano intere stanze e con la loro potenza di calcolo analizzarono cinque linee di tendenza determinanti, la crescita del capitale industriale, la dinamica demografica, la produzione alimentare, la disponibilità di risorse non rinnovabili e l’inquinamento, nelle loro influenze reciproche, verso il 2100. Oggi World 3 occuperebbe lo spazio di un CD-Rom e qualunque personal compiuter potrebbe svolgerlo più agilmente dei suoi antenati.
Gli studiosi erano consapevoli dei difetti inevitabili di World 3, grossolano, incompleto, cieco alle differenze regionali; tuttavia Peccei aveva fretta ed il modello si rivelò in grado di scoprire le tendenze fondamentali, confermate, nella sostanza, dalla ricerca e dagli aggiornamenti successivi. Da molto tempo, la dinamica dei cinque fattori osservati era quella della crescita esponenziale. Una crescita è lineare quando l’oggetto considerato cresce sempre della medesima quantità per unità di tempo, al modo di un serpente che si allunga invariabilmente di un metro ogni anno. La crescita esponenziale prevede invece che l’incremento per intervallo di tempo corrisponda ad una frazione stabile del totale; promette l’abbondanza e seduce l’uomo da sempre. Un esempio comune di crescita esponenziale è quello del capitale monetario. Cento dollari, investiti per un interesse annuo del 7%, fruttano 7 dollari. L’anno successivo, il capitale pronto a crescere del 7% ammonta a 107 dollari che fruttano 7 dollari e 49 centesimi. Il terzo anno, l’investitore guadagna 8 dollari. Dopo dieci anni, il capitale iniziale è raddoppiato. La crescita esponenziale sorprende con la sua rapidità.
World 3 calcolava la dinamica demografica a partire da alcuni valori medi, la fecondità (numero di figli per donna) ed il ritardo che separa una generazione dall’altra (età del primo parto). Strutture fondamentali del modello erano però anche gli anelli di retroazione negativa, come il tasso di mortalità media che frena l’incremento della popolazione. Prima della Rivoluzione Industriale il tasso di crescita demografica era sì esponenziale ma estremamente basso; molto alte, sia la fecondità media, sia la mortalità. Poi, grazie all’igiene ed alla medicina moderna, l’anello di retroazione negativo è stato abbattuto. Nel 1970 vivevano sulla terra tre miliardi e seicentomila persone, in crescita esponenziale del 2,1% annuo e destinate a raddoppiare in 33 anni. L’espansione demografica suscitava grandi timori. L’immensa massa di esseri umani che popola il pianeta, è e sarà molto difficile da nutrire e governare con saggezza. L’allarme demografico risuonato negli anni Settanta fu utile. Membro del Club di Roma, autore di The limits to growth ed all’epoca molto preoccupato, Randers ha poi constatato come la fecondità media fosse diminuita oltre le previsioni, passando da 4,5 a 2,5 figli per donna e poi ancor meno. Causato dall’urbanizzazione, il decremento demografico mondiale inizierà attorno alla metà del XXI secolo. Secondo Randers, neanche la produttività del lavoro può crescere all’infinito, così sarà la flessione demografica a segnare la decrescita del Pil globale (Jørgen Randers, 2052: Scenari globali per i prossimi quarant’anni, Edizioni Ambiente, 2013).
Torniamo però agli anni Settanta. L’incremento della produzione industriale superava quello demografico, con una crescita del 7% annuo tra il 1930 e il 1963. Nonostante gran parte della produzione fosse stata dedicata ai beni di consumo, altre risorse erano state investite per costruire nuove fabbriche, capaci a loro volta di sostenere la crescita; trascorso un certo ritardo, dovuto al tempo necessario all’edificazione degli impianti ed in contrasto all’anello di retroazione del logoramento del capitale, poiché anche i mezzi della produzione invecchiano. Il confronto tra la crescita del capitale industriale (7%) e demografica (2,1%) non portò i ricercatori del Mit ad aspettarsi che il tenore di vita dell’umanità stesse per conoscere grandi miglioramenti. World 3 considerava il pianeta come una totalità, mentre il divario tra nazioni ricche e povere aumentava: il ricco si fa sempre più ricco, mentre il povero fa figli. La crescita sarebbe continuata? Le equazioni non lineari simulavano gli andamenti di fecondità, mortalità, investimento e logoramento del capitale industriale, soppesando il loro legame organico con la finitezza del mondo: livelli di produzione alimentare, inquinamento e disponibilità di risorse esauribili. La crescita demografica è connessa all’andamento della produzione alimentare, la quale a sua volta dipende dalla disponibilità di terra coltivabile e di acqua. All’alba degli anni Settanta le terre migliori erano sfruttate. World 3 rappresentava la difficoltà di un’estensione delle colture, permettendola soltanto attraverso l’investimento di un capitale industriale sempre crescente, fertilizzanti, macchine, opere di irrigazione. L’investimento agricolo era volto ad impedire che una produzione inadeguata lasciasse spazio a tassi di mortalità più elevati, nonché a contrastare la perdita di fertilità causata dall’inquinamento e dalla stessa agricoltura industriale. I limiti naturali non sono stabili, purtroppo l’uomo può eroderli.
Il modello informatico prevedette che l’umanità sarebbe giunta a confrontarsi con il problema della scarsità di terre fertili, malgrado la capacità del capitale di raddoppiare, triplicare o anche quadruplicare la produttività agricola, rimandando la problematica. Al principio degli anni Settanta ogni anno, tra 10 e 20 milioni di esseri umani morivano a causa della sottoalimentazione, non ancora innanzi ai limiti del pianeta ma della ragione economica. Sconveniente l’investimento nella coltura di nuove terre, per vendere la produzione agricola a chi non poteva pagare. La crescita del capitale industriale è legata alla disponibilità di risorse non rinnovabili come minerali e combustibili fossili, il cui tasso di consumo, in alcuni casi, conosceva un incremento esponenziale. La disponibilità di metalli, idrocarburi ed altre risorse è limitata. Quando il consumo di un metallo segue una crescita esponenziale, non importa quanti nuovi giacimenti si riescano ad individuare, se ne ricicli pure il 100%: la domanda è matematicamente destinata a superare l’offerta.
In ogni caso, l’utilizzo di risorse limitate e non rinnovabili, più che con l’esaurimento, tenderà a confrontarsi con la levitazione dei prezzi e con la tensione politica tra stati produttori e importatori; aspetto umano che il primo rapporto al Club di Roma considerava determinante, per quanto impossibile da rappresentare nelle equazioni. Il sistema ecologico è in grado di contenere ed in alcuni casi di metabolizzare, le sostanze di scarto dell’attività umana ma soltanto entro una certa soglia. Anche la crescita dell’inquinamento seguiva un andamento esponenziale che World 3 collegava alle ascese trainanti del capitale e della popolazione. Nonostante la Primavera Silenziosa (1962) di Rachel Carson (1907-1964), all’epoca di The limits to growth, l’inquinamento era un fenomeno già pauroso ma ancora ampiamente da studiare. I problemi del cambiamento climatico e dell’acidificazione degli oceani, causati dalle emissioni di anidride carbonica meritarono soltanto un breve accenno; non se ne comprendeva ancora la gravità.
Il pericolo causato dai ritardi temporali che possono separare l’emissione di una sostanza dalla manifestazione degli effetti dannosi, invece era chiaro; la riduzione dell’ozono avrebbe offerto una triste conferma negli anni successivi. Liberati da bombolette spray o liquidi refrigeranti, i gas Cfc parevano innocui, perché impiegavano decenni prima di raggiungere la stratosfera e distruggere l’ozono. Quando l’uso dei Cfc fu limitato, l’ozono continuò a rarefarsi ancora per molti anni, contrariamente dell’incidenza dei tumori cutanei. L’uomo affrontò con successo il degrado dell’ozonosfera. I fenomeni di ritardo continuano a rendere difficile avvertire i pericoli delle nuove sostanze artificiali e l’urgenza di agire in tempo. Gli studiosi del Mit avevano scelto di esaminare la problematica nella sua intricatissima realtà sistemica, considerando capitale, popolazione, produzione alimentare, consumo di risorse non rinnovabili e inquinamento, in oltre cento relazioni reciproche. Evidente oggi come isolare il problema dell’inquinamento, sia pure per sottolineare la gravità spaventosa del riscaldamento climatico, precluda la comprensione profonda, piuttosto che avvicinare la soluzione. Predisposto World 3 ed acquisiti i dati storici disponibili, la potenza di calcolo simulò l’andamento del sistema mondiale verso il 2100. L’ambizione era quella di prevedere le tendenze generali, in relazione alle scelte umane.
La prima elaborazione fu dedicata all’ipotesi che l’umanità mantenesse la rotta. Il grafico fu pubblicato senza i suoi valori numerici, per sottolineare l’impossibilità di prevederli. Emerse tuttavia come, prima del 2100 e raggiunto un apice di crescita esponenziale, il livello dei cinque fattori fondamentali, assieme all’indice dei servizi pro capite (compresi quelli sanitari) collassasse. La popolazione numerosa, la tendenza ad esaurire le risorse non rinnovabili, la crisi alimentare, l’insufficienza degli investimenti di capitale, assorbito dai costi legati alle materie prime, provocavano l’impennata di natalità e mortalità. Ancora nel 1972, sistemi social-coministi e liberal-capitalisti si sfidavano apertamente per stabilire chi sapesse inverare meglio il mito dell’infinita crescita economica quantitativa, affermatosi con l’Illuminismo e la Modernità. World 3 svelò l’insensatezza della competizione. Il modello di sviluppo incitava gli uomini a correre festanti incontro al tragico degrado della loro qualità di vita.
World 3 permise anche di effettuare numerosi esperimenti. Furono pubblicate dodici simulazioni. Assumendo l’ipotesi di una disponibilità di risorse esauribili doppia, rispetto a quella stimata, il collasso veniva rimandato soltanto di pochi anni. I valori numerici iniziali, come la stima delle risorse fossili disponibili, non modificavano in maniera decisiva il comportamento generale del modello. Vittima illustre degli esperimenti informatici non fu quindi la riserva di petrolio (sottovalutata) ma l’ottimismo tecnologico, la fede irrazionale che il progresso tecnico-scientifico potesse evitare il collasso. Molti scenari furono dedicati al tentativo di evitare il peggio, adottando esclusivamente soluzioni tecniche; tecnologia antinquinamento, agricoltura industriale, contraccezione, riciclo, energia quasi pulita. Nello scenario più estremo, gli studiosi impostarono il modello in modo che l’inquinamento emesso per ogni unità di prodotto scendesse ad un quarto di quello allora effettivo, si raddoppiasse la produzione agricola, si limitasse la natalità all’indice dei figli desiderati, si riciclasse largamente ogni risorsa, si estraesse dai giacimenti più remoti: giunse il collasso. La popolazione, comunque numerosa, esauriva le risorse non rinnovabili, la perdita di terra fertile conduceva al declino della produzione agricola, la crescita esponenziale della produzione industriale vanificava la riduzione dell’inquinamento per unità di prodotto, producendo molto di più. Un alto livello di inquinamento giungeva infine ad aggravare la penuria alimentare e il tasso di mortalità.
Fu un gruppo di scienziati ed economisti, certi che la tecnologia avrebbe svolto un ruolo fondamentale, al fine di permettere la riduzione dell’inquinamento, l’incremento delle rese agricole e molto altro ancora, a scoprire che la sola tecnica non poteva rimediare ai guasti della crescita esponenziale. Rispetto alla fede scientista, meglio il motto del Sierra Club: non cieca opposizione al progresso, ma opposizione al progresso cieco. I ricercatori raccomandarono addirittura che una valutazione umana e sociale precedesse l’impiego di nuova tecnologia. Tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta del XX secolo, l’avvento dell’agricoltura industriale era stato dannoso per la maggior parte dei piccoli coltivatori. In Messico la produzione aumentò in media del 5% annuo ma i braccianti persero quasi la metà delle loro giornate di lavoro e conseguentemente della paga. Solamente in rari casi, come nel Punjab, le nuove tecniche crearono maggiore occupazione ed innalzarono il reddito dei contadini. Nel Punjab la proprietà della terra era suddivisa in maniera abbastanza equa. Nelle simulazioni ove l’umanità veniva affidata esclusivamente alle soluzioni tecniche, World 3 interveniva sulle linee dell’inquinamento, delle risorse e della produzione alimentare. Le crescite esponenziali della popolazione e soprattutto del capitale industriale rimanevano libere di seguire una dinamica “naturale”; e proprio questa duplice libertà rendeva impossibile evitare il peggio.
Per lunghi secoli, la civiltà occidentale era riuscita a superare i limiti della natura, grazie alla sua tecnologia. Ciò nonostante la popolazione, l’inquinamento, la produzione industriale degli esseri umani avevano inciso poco sugli immensi spazi del pianeta; adesso non è più così. “Si può discutere sulla necessità che popolazione e capitale interrompano adesso la propria crescita, ma nessuno, crediamo, può sostenere che essa possa continuare indefinitamente sul nostro pianeta..“, di dimensioni finite (I limiti alla crescita). La terra è colma. La limitazione volontaria della crescita ardirebbe un’impresa senza precedenti nella Modernità ma guidare il cambiamento risulterebbe plausibilmente meno doloroso che attendere la frana incontrollata. Non sappiamo se il collasso verrebbe a manifestarsi su scala globale o regionale, graduale o rapida; tanto meno come i popoli potrebbero reagire allo sconvolgimento. Quando, non prevedibili con World 3, gli aspetti umani insorgerebbero, determinati ai fini delle umane sorti distruttive; in agguato, o al galoppo, guerra, morte, peste e carestia. Al Mit nessuno intendeva prendere ordini dal calcolatore elettronico ma osservare le previsioni di tendenza, poteva suggerire le caratteristiche di un sistema che soddisfasse i bisogni umani ed evitasse il collasso.
Gli studiosi limitarono allora la crescita della popolazione quanto quella del capitale, programmando un’equivalenza degli indici di mortalità e natalità, deprezzamento e investimento, bloccarono la crescita demografica a partire dal 1975 e quella del capitale quindici anni più tardi, in modo da raggiungere una buona disponibilità pro capite di beni e servizi; prefigurarono una tecnologia capace di ridurre ad un quarto l’inquinamento ed il fabbisogno di materie prime per unità di prodotto. Investirono il capitale verso una produzione agricola adeguata e verso il miglioramento dei servizi piuttosto che nella produzione di beni materiali, pur sottratti ai criteri avidi dell’obsolescenza tecnologica. Nei valori medi di questa simulazione irrealistica, ogni essere umano sulla terra avrebbe potuto beneficiare di beni industriali, alimenti e servizi, in quantità pari alla media europea dei primi anni Settanta, ovvero alla metà della media Usa e al triplo della media mondiale. Il consumo di risorse esauribili scendeva a livelli di sicurezza. Nondimeno, anche il limite demografico di due figli per coppia ed un rallentamento più graduale e verosimile del tasso d’investimento, permettevano soddisfare i bisogni umani e scongiurare tragedie. Infine, ogni simulazione equilibrante sottolineava l’importanza di agire in tempo. Esiste un tempo limite e la transizione è più facile quando inizia presto.
L’osservazione del modello informatico suggeriva di cercare lo stato di equilibrio. La società dello stato di equilibrio non sarebbe stata condannata a stagnare, o destinata ad essere più giusta o ingiusta della nostra; impossibile prevedere il comportamento dei popoli, oltre l’epoca della crescita esponenziale.
C’è la possibilità, tuttavia, che una società non oppressa dai problemi della crescita indirizzi verso la soluzione dei problemi sociali una frazione delle energie e dell’ingegno umani assai più grande di quanto non avvenga oggi, sotto lo stimolo della crescita stessa.
I limiti alla crescita
Neppure, lo stato di equilibrio avrebbe comportato una semplicistica crescita zero, come sottolineò poi Peccei. La scelta di crescere in un certo settore meritevole, avrebbe potuto accompagnarsi al rallentamento di altre economie, giunte allo scopo o non più utili; si sarebbero ancora usate le risorse esauribili. A parere degli studiosi, perfino il progresso tecnico avrebbe potuto beneficiare di una società fondata su giustizia e uguaglianza. In equilibrio, sarebbe stato più facile risolvere l’assurdo di Bertrand Russell (1872-1970) ? Adesso, quando un’innovazione tecnica permette di raddoppiare la produzione della fabbrica di spilli, nello stesso tempo e con la stessa mano d’opera, dopo un periodo di sovrapproduzione, molte fabbriche chiudono e metà degli operai perdono il lavoro; non servono più spilli. Nella società dell’equilibrio, il limite alla crescita del capitale imporrebbe che gli operai lavorassero la metà del tempo per produrre lo stesso numero di spilli. Le persone potrebbero passare più tempo con la famiglia, dedicarsi allo studio, allo sport, alla religione, alla musica, alla scienza, a molte attività piacevoli che non turbano la bilancia. Anche l’eminente filosofo liberale Russell sosteneva che la risposta razionale alla nuova tecnologia degli spilli sarebbe stata quella di offrire più tempo libero e salvare il lavoro di tutti.
A dispetto della narrazione di liberali meno avveduti, non sarà la crescita di capitale e popolazione a ridurre la disuguaglianza tra ricchi e poveri, la crescita provoca il contrario. I risultati scientifici furono esposti a Mosca e Rio de Janeiro, nell’estate del 1971. The limits to growth fu presentato al pubblico il primo marzo 1972, presso lo Smithsonian Institution di Washington; stampato e venduto in milioni di copie, tradotto in decine di lingue, adottato come libro di testo in numerose università. I membri del Club di Roma incontrarono dirigenti d’azienda e capi di stato, ai quali mostrarono i risultati della ricerca. Peccei era riuscito nell’intento di avviare, a livello mondiale, il dibattito sulla problematica, ottenendo consensi e feroci critiche, non collocabili secondo lo spartiacque destra/sinistra. I limiti dello sviluppo (Edizioni scientifiche e tecniche Mondadori, 1972) fu il titolo dell’edizione italiana; l’idolo non subì ingiuria. Soltanto quarantasei anni dopo, l’intestazione originale ha ottenuto giustizia con I limiti alla crescita (Lu::ce edizioni, 2018).
Accettare limiti materiali alla crescita della popolazione, del capitale industriale, del consumo di risorse esauribili, della produzione agricola e dell’inquinamento, significa soltanto limitare la crescita materiale dell’impronta ecologica umana sulla Terra, necessità affermata esplicitamente dagli studiosi; o fuor di perifrasi, la conclusione è davvero scandalosa ed occorre accettare che la crescita economica, comunemente intesa, sia destinata a finire? Certo, è possibile intendere la crescita economica come crescita del solo valore monetario, senza che piovano più fertilizzanti e pesticidi, senza che nelle fabbriche entrino più silicio e terre rare, senza che si vendano più prodotti, senza inquinamento e consumismo, senza bolle finanziarie; come nella storia non si è mai verificato. Secondo noi è più probabile che accettare i limiti significhi rifiutare il liberal-capitalismo. Quanto meno, prima di permettere nuovi fenomeni di crescita, sarebbe saggio valutare chi ne beneficerebbe, se i ricchi o i poveri, quali ne sarebbero le conseguenze sociali ed ambientali. Nel commento in postfazione a I limiti alla crescita, il comitato esecutivo del Club di Roma espresse la propria convinzione sulla necessità di una pianificazione internazionale, sulla particolare responsabilità dei paesi sviluppati nell’affrontare la problematica e sul loro dovere di assistere i paesi più poveri, perché continuassero una giusta crescita, fino ad uscire da miserie che non dovevano essere tollerate.
Tecnica e calcolatori non possono risolvere la problematica. La narrazione che andava ad infrangersi su I limiti alla crescita, forte di dollari, dolori e di secoli, è ancora quella dominante. Limitare la crescita economica, l’impiego di nuova tecnologia, dedicare impegno prioritario alla giustizia sociale, rappresenterebbe un cambio di epoca: una rivoluzione umana, come Peccei esplicitò nella sua autobiografia.
Tutto dipende dall’uomo. È egli stesso che, più o meno consciamente, deciderà del suo destino collettivo. Penso che ormai egli intuisca di non poter affrontare le prove che lo attendono fidando soltanto o soprattutto su un nuovo slancio del progresso tecnico, scientifico e produttivo, che sente già sfuggirgli di mano, oppure puntando sul riordinamento del sistema mondiale.. egli può salvarsi soltanto modificando qualche cosa dentro di sé, trovando nuove forze, una nuova comprensione e un pensiero che lo rimettano in armonia con il mondo reale...
Aurelio Peccei, La qualità umana, 1977
I cambiamenti decisivi avvengono sul piano culturale, metapolitico. Veramente tutto dipende dall’uomo; mentre l’equilibrio cosmico, rilocalizza le produzioni ed implica la fine del liberal-capitalismo.