Dagli albori della storia dell’Islam, i musulmani furono in grado di stabilire un sistema per mobilizzare risorse e finanziare attività produttive sgravato da interessi, esplicitamente proibiti dalla Shari’ha, la legge islamica. Questo sistema basato sulla condivisione di rischi e profitti ha funzionato per secoli a partire dal 1200 in tutta la regione del Mediterraneo. Solo con lo spostarsi del baricentro economico nel mondo occidentale, il dominio delle banche ha limitato la tradizione islamica rendendola dormiente. Negli ultimi decenni tuttavia c’è stato un significativo aumento dell’interesse per una nuova forma di finanza orientata ai principi dell’Islam, da un lato per il legittimo desiderio dei musulmani di accedere a questo tipo di strumenti, dall’altro per verificare se una struttura simile possa in qualche modo fornire delle risposte efficaci anche alla richiesta di maggiore etica finanziaria da parte del mondo laico occidentale.
Le origini
Per un musulmano devoto qualsiasi transazione economica è da sempre una questione di equilibrio tra considerazioni religiose e necessità operative. Il complesso di norme e precetti presenti all’interno del Sacro Corano e negli scritti del Profeta Maometto, formano un vero e proprio sistema legale, con implicazioni in ogni aspetto della vita. La legge islamica fornisce delle linee di condotta morale e di comportamento pratico e questo comprende ovviamente anche tutti gli aspetti legati alle operazioni finanziarie. Fin dal Medio Evo i commercianti mediorientali erano soliti fare affari seguendo i principi della Shari’ha, ma solo dalla metà del secolo scorso si è sviluppata una vera e propria dottrina economica islamica. Rigettando sia il capitalismo che il socialismo la finanza islamica, nei suoi principi ispiratori, vuole concentrarsi sulla giustizia sociale e sulla distribuzione della ricchezza, riservando una particolare attenzione ai poveri.
Il primo vero esperimento di Banca Islamica è comunemente fatto risalire al 1963, nella città di Mit Ghamr in Egitto. Pur evitando di associarsi direttamente all’immagine dell’Islam per non incombere negli strali del Regime di Nasser contrario ad ogni fondamentalismo, l’economista Ahmad El Naggar fondò una banca basata sul concetto di condivisione dei profitti che ebbe un discreto successo. Nel 1975 la Dubai Islamic Bank divenne la prima vera banca islamica a tutti gli effetti e da allora è stato un continuo proliferare di questo tipo di istituzioni, portando anche le banche tradizionali ad ampliare la loro offerta introducendo prodotti finanziari conformi alla Shari’ha. D’altronde considerando che un quarto della popolazione mondiale è di religione islamica si può capire come questo settore venga considerato un mercato con grandi potenzialità.
Le differenze con la finanza tradizionale
Come sappiamo nella finanza convenzionale l’attività bancaria viene da sempre svolta impiegando i denari, depositati dai clienti, per effettuare prestiti ed in entrambe queste operazioni viene applicato un tasso di interesse. Come abbiamo accennato però l’interesse (ribah) viene proibito dal Sacro Corano al verso 275 del secondo capitolo e al verso 130 del terzo. Allo stesso modo esistono limiti precisi anche per attività non strettamente bancarie come le assicurazioni ed il mercato dei capitali, in quanto l’incertezza (gharar) o il rendimento derivante da obbligazioni (anche in questo caso ribah) sono contrari ai principi della legge islamica. Senza considerare poi che viene esplicitamente vietata qualsiasi pratica commerciale riguardante beni e servizi proibiti, ad esempio carni di maiale o di qualsiasi altro animale non macellato secondo i dettami, l’alcool e i suoi derivati, la pornografia o le scommesse. Nel mondo islamico il denaro non è mai stato vissuto come un bene che prevede un prezzo per l’uso, ma come un mero mezzo di scambio, si è scelto quindi di sostituire il concetto di interesse con quello della condivisione del profitto. In questo modo le banche islamiche diventano partner dei clienti ribaltando in maniera sostanziale il rapporto, che non sarò più tra creditore e debitore, bensì tra investitore e imprenditore.
Ancora più complessa la situazione per quanto riguarda le compagnie assicurative che tradizionalmente hanno fine di lucro. Normalmente il concetto di assicurazione è quello di proteggersi dal verificarsi di un determinato evento, dietro pagamento di un premio alla compagnia che valuta il rischio effettivo e le probabilità che l’evento si concretizzi. Come accennato in precedenza però l’elemento di incertezza o gharar è in aperto contrasto con la legge islamica. Per ovviare a questa situazione si introduce il concetto di donazione e solidarietà tra i partecipanti. Nel Takaful, l’assicurazione islamica, il rischio non viene collegato direttamente al premio, il profitto è dato dal servizio di raccolta delle donazioni e di elargizione delle indennità in caso di eventi. La grande sfida della Finanza islamica è stata quella di rendere adatti alla società contemporanea principi stabiliti 1500 anni fa, ed è questo che la rende un fenomeno interessante, innovativo ed in continua evoluzione.
Gli strumenti
Il sistema bancario islamico ha dovuto in qualche modo reinventarsi rispetto a quello tradizionale, essendo proibita la remunerazione dei depositi e dei prestiti con qualsiasi forma di interesse sia esso in denaro che in beni o servizi. Si è quindi diffuso il Mudharabah, uno dei più conosciuti e diffusi contratti islamici dove una parte fornisce i fondi e un’altra parte il lavoro. La Banca quindi potrà creare un fondo con le somme depositate dai clienti ed erogarlo al soggetto che lo userà per la sua attività lavorativa. Alla scadenza pattuita, solitamente ma non necessariamente 12 mesi, il profitto verrà ripartito in maniera proporzionale, così come la perdita che non potrà in ogni caso superare l’ammontare del capitale prestato. Un concetto simile è quello di Musharakah, che letteralmente significa condivisione, molto simile ad una joint venture usato spesso come strumento di investimento a lungo termine. In questo caso la Banca finanzia un progetto ma si assume anche la responsabilità della gestione in comune accordo con il creditore, godendo dei proventi o rimettendo le perdite in maniera condivisa. Altro contratto molto diffuso è quello di Ijarah, un contratto molto simile al leasing dove la banca acquista un determinato bene e lo cede in locazione al cliente dietro pagamento di un canone.
Il discorso diventa più complesso per quanto riguarda gli strumenti classici di investimento ovvero azioni ed obbligazioni. Se la Shari’ah non prevede alcuna preclusione verso l’acquisto di titoli azionari in quanto l’investitore diventa socio di quella azienda condividendone i risultati, il problema diventa la transazione di questi titoli che non può essere finalizzata alla speculazione considerata al pari di una scommessa e quindi vietata, e l’oggetto sociale delle società in cui si va ad investire che non può essere collegato in nessun modo ad un settore proibito. Allo stesso modo non sarà possibile investire in strumenti che non prevedano la condivisione delle perdite o ancora che diano rendimenti certi equiparati in tutto e per tutto al proibitissimo ribah, e quindi niente azioni privilegiate ed obbligazioni. Uno strumento simile al titolo obbligazionario si può configurare nel Sukuk, un titolo di debito che deve però corrispondere ad un preciso progetto, solitamente immobiliare. A titolo esemplificativo può consistere in un prestito fatto dal cliente alla banca per l’acquisto di un palazzo a suo nome. L’immobile pur rimanendo di proprietà del cliente verrà affittato alla banca dietro il pagamento di un canone di locazione. Un innegabile merito della finanza islamica è quello di aver riportato in auge la centralità di una delle funzioni vitali di qualsiasi sistema economico, ovvero il trasferimento fondi da chi ne è dotato a chi ne è sprovvisto. Essendo strettamente proibita la pratica di generare denaro da altro denaro le somme a disposizione del sistema bancario islamico dovranno necessariamente essere investite in attività reali, riportando così la moneta alla sua funzione originaria, ovvero un mezzo per facilitare gli scambi commerciali.
È un modello esportabile nel mondo laico?
Diventa lecito chiedersi se, almeno dal punto di vista teorico, la finanza islamica sia un modello applicabile, con i dovuti accorgimenti, ad un sistema come il nostro. Sarà necessario a questo fine provare a ragionare su come trasformare un quadro operativo così indissolubilmente legato ai precetti del Corano, in uno schema meno rigido e svincolato da ogni riferimento religioso. Appare evidente che vi sia una crescente avversione verso l’eccessiva finanziarizzazione della società occidentale, ed un modello di riferimento che presti più attenzione all’etica e si allontani dalla logica della pura speculazione non può che trovare terreno fertile. Diventa quindi possibile laicizzare alcuni concetti della finanza islamica, mantenendone intatta la filosofia.
Non credo sia necessario essere di religione islamica per capire come un sistema più focalizzato sull’economia reale piuttosto che sull’ingegneria finanziaria, e la conseguente infinita creazione di nuovi strumenti derivati, sia decisamente più stabile e meno soggetto alle devastanti e ricorrenti crisi economiche. Esattamente come la visione musulmana di un mondo in cui tutto appartiene ad Allah, e per questo nulla deve essere fatto per danneggiarlo, è perfettamente compatibile con la visione di una crescita sostenibile, che non scada nel folklore o nelle utopie di movimenti guidati da ragazzine, ma che vada a beneficio della comunità nella sua interezza. Un modello in cui vi sia spazio sia per la libera concorrenza ma senza che questa scada nella prevaricazione dei forti sui deboli, che sia per l’intervento statale quando è finalizzato a ridurre le disuguaglianze, di certo non necessita di una forte componente religiosa per essere pienamente accettato.
Considerando esclusivamente le basi della teoria possiamo in conclusione affermare che la finanza islamica sia in grado di fornire lo spunto per formulare idee innovative che vadano verso il superamento dell’attuale sistema liberista, verso una dimensione più etica del mercato con particolare attenzione alle dinamiche sociali e alle inevitabili, profondissime ed inaccettabili disuguaglianze che si sono venute a creare nel tempo. Certamente servirà una rivoluzione culturale, un’apertura mentale che possa superare i preconcetti relativi ad un mondo, quello mediorientale, associato frettolosamente ed in maniera quasi esclusiva all’immagine del terrorismo. Ma a noi piacciono le sfide.