OGGETTO: Il sicario dell'economia
DATA: 25 Luglio 2022
SEZIONE: Recensioni
FORMATO: Racconti
Repubblica contro Impero in America: il dollaro, il debito e il sogno.
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Il primo colloquio fu con l’Nsa (National Security Agency). La raccomandazione dello “zio Frank” e la macchina della verità per evitare il Vietnam. Ma i reclutatori dei servizi si interessarono poco alle opinioni sulla guerra; vollero sapere del risentimento verso i genitori puritani, dell’attrazione per le donne e la bella vita, della determinazione ad eccellere nei voti e nello sport, delle menzogne rifilate alla polizia nel campus universitario, più che della bravata da espulsione. John Perkins temette la leva. L’Nsa offrì un lavoro d’inteligence. Confessioni di un sicario dell’economia (Minimum Fax, 2005) racconta gli anni che seguirono. Un libro «spaventoso», da sembrare incredibile «se non fosse così fortemente motivato», secondo Corrado Augias (il Venerdì 25 novembre 2005). Esemplare per capire l’ordine mondiale degli Stati Uniti, secondo Costanzo Preve (Il paradosso Alain de Benoist, Settimo Sigillo, 2006). Prossimo alla narrativa di John le Carré o Graham Greene, secondo un grande editore troppo pauroso per pubblicare.

Confessioni di un sicario dell’economia (Minimum Fax)

Comunque, John Perkins rifiutò l’Nsa. Il giovane economista scelse i Peace Corps, evitando il Vietnam con un progetto di cooperazione. In Amazzonia assieme agli shuar. Sulle Ande con i discendenti degl’inca. Einar Greve, colonnello in riserva e vicepresidente della Main (Chas. T. Main, Inc.), dovette atterrare in un luogo davvero sperduto. Occorreva una consulenza che stabilisse se l’Ecuador meritasse i prestiti della Banca Mondiale. Perkins accettò di inviare rapporti periodici sulle prospettive del paese. A Boston, l’incontro “casuale” nella giungla divenne un’assunzione. Poi, Claudine Martin, mora, raffinata, occhi verdi, bellissima, insegnò il lavoro: «Una volta dentro, ci sei per tutta la vita». Un lavoro segreto: il sicario dell’economia. Si trattava di giustificare enormi prestiti a paesi poveri, elaborando stime stime di crescita in relazione a forti investimenti infrastrutturali. Il tutto da affidare a banche e costruttori americani. Ciò, arricchiva scandalosamente élite statunitensi e del terzo mondo. Poi, quando la stima di crescita si rivelava gonfiata, il paese povero restava preso: nella trappola del debito. Ed i sicari dell’economia avevano aggiunto una nuova provincia all’impero americano. Ovvero alla corporatocrazia: governo, banche, multinazionali. Perché a quel punto è facile esigere ancora: voti alle Nazioni Unite, basi militari, privatizzazioni, petrolio, concessioni minerarie. Nonostante la maggior parte dei soldi non abbia mai lasciato New York. Da ultimo, se i sicari dell’economia fallivano, toccava agli sciacalli. Un soprannome tetro: per gli uomini dei servizi. Abili a destabilizzare, abbattere governi, ammazzare presidenti.

Finita la lezione, Claudine scomparve nel nulla. Il colloquio con l’Nsa era andato bene. L’Indonesia del macellaio Suharto andava indebitata, per costruire la rete elettrica di Giava e un muro contro il comunismo. I capi sono chiari. Serve una prospettiva di crescita economica forte, almeno il 17% annuo per venticinque anni: in modo che la previsione di carico elettrico proceda di conseguenza. Ma Howar Parker, settant’anni, nessun addestramento da sicario e un passato alla New England Electric System, non vuole saperne: «Nessun carico elettrico è mai aumentato più del 7-9% all’anno per un periodo prolungato […] Venditi completamente. Non me ne frega niente dei tuoi ragionamenti»; quindi spense l’apparecchio acustico. Fuori dalla finestra, un canale-fogna di Bandung. I bambini giocano, una ragazza fa il bagno, un vecchio fa i suoi bisogni, qualcun altro si lavava i denti o sciacqua il bucato. Alla fine, le stime di carico elettrico furono riviste. Perkins promosso. Parker licenziato.

Panama nacque quando la Colombia rifiutò di cedere l’istmo a un consorzio statunitense. Theodore Roosvelt inviò il Nashville. I soldati sbarcarono, catturarono e uccisero il comandante della milizia, imposero un governo oligarchico indipendentista e lo sostennero al potere con una decina di interventi militari tra inizio secolo e il 1968. Poi fu eletto il generale Omar Torrijos: deciso a riscattare i poveri, recuperare la sovranità sul canale, sfrattare i torturatori della School of the Americas e permettere che i giapponesi tagliassero una seconda via d’acqua. L’invito giunse inaspettato. Ma Torrijos parla chiaro: l’esercito è gente “sua”, non avrebbe fatto la fine di Arbenz o Mossadeq. Panama avrebbe provato di non volersi alleare con Cuba e l’Unione Sovietica, accettando i prestiti ma la corrente elettrica avrebbe dovuto raggiungere tutti, a prescindere dalle logiche di mercato. Infine, la Main avrebbe “vinto” l’appalto grosso, in cambio di stime oneste. Perkins accetta. Poco dopo, il presidente Jimmy Carter rese il canale.

Con l’Arabia Saudita la storia è diversa, impossibile indebitarla. I negoziati seguirono lo Shock Petrolifero del 1973. Tra l’impegno a espandere la produzione in caso di necessità e il sostegno politico-militare, perché la famiglia Saud restasse sempre al potere. Perkins stimò le ricadute di investimenti tali da annullare i dati storici. Strade, industrie, città moderne da costruire nel deserto spoglio. Costi di manutenzione che avrebbero stretto un legame indissolubile. Profitti del petrolio che sarebbero tornati largamente negli Stati Uniti. Ma la conclusione sconcertò perfino i sicari dell’economia. L’Arabia si impegnò a vendere il petrolio esclusivamente in dollari e ad investire un’ampia quota dei proventi in titoli di stato americani, i cui interessi sarebbero rimasti presso il Ministero del Tesoro degli Stati Uniti e spesi per pagare le aziende americane che avrebbero realizzato i progetti. Quali pressioni?

Più “leggero” l’ultimo incarico: ottenere l’assenso del principe W, arruffianandoselo con l’aiuto della bionda Sally. L’Ecuador invece non ebbe margini. Perkins provava grande simpatia per Jaime Roldόs, eletto presidente nonostante la fama di nazionalista e populista. Il presidente promise di non bruciare i dollari del petrolio in interessi di debito, meglio aiutare i diseredati. Così, Roldόs presentò al parlamento una nuova legge sugli idrocarburi. Poi espulse il Sil (Summer Institute of Linguistics), un’organizzazione cristiana evangelica, impegnata a convincere le tribù amazzoniche a cedere le terre ancestrali alle compagnie petrolifere e trasferirsi nelle missioni. Tangenti o campagne denigratorie non valsero. Ma i pannelli solari avevano lasciato il tetto della Casa Bianca, assieme a Carter.

Ronald Regan era deciso ad accelerare, verso il neoliberismo. L’aereo di Jaime Roldόs esplose il 24 maggio 1981. Omar Torrijos non si lasciò intimidire, espulse il Sil, negò di ridiscutere l’ultimo trattato sul canale: il suo aereo cadde il 31 luglio 1981.

«Osservai il sole che si tuffava nel mar dei Caraibi. Era tutto molto idilliaco, eppure sapevo che la piantagione che mi circondava era stata teatro di indicibili sofferenze; centinaia di schiavi africani vi erano morti, costretti con le armi a costruire quella casa principesca, a piantare e raccogliere le canne da zucchero… Da dieci anni ero l’erede di quei negrieri che penetravano nelle giungle africane per trascinare uomini e donne sulle navi in attesa. Il mio era stato un approccio più moderno, più sottile: non avevo mai dovuto assistere all’agonia dei corpi, odorare la carne marcia o ascoltare le grida, forse in ultima analisi il mio peccato era ancora più grave… Capii che se mai fossi tornato alla mia vecchia vita, alla Main e a tutto ciò che rappresentava, sarei stato perduto per sempre»

John Perkins, Confessioni di un sicario dell’economia

Quando il generale morì, Perkins aveva già lasciato la sua corporation, continuando a lavorare nel campo dell’energia. Condividere l’idea di confessarsi in un libro, fu poco saggio. L’amministratore delegato della Stone & Webster (Swec) offrì un contratto spropositato, da consulente. Poi, giunti al dolce:

«Ha in progetto di scrivere altri libri? […] va da sé che non nominerà mai questa società nei suoi libri, né scriverà nulla che riguardi la natura dei nostri affari o il lavoro che ha svolto alla Main. Non tratterà argomenti politici né parlerà dei suoi rapporti con le banche internazionali e i progetti di sviluppo».

E così passò il tempo.

Vent’anni dopo, i poveri dell’Ecuador erano cresciuti, da metà della popolazione al 70%. Il debito era passato da 240 milioni a 16 miliardi di dollari, nonostante il 50% del bilancio impegnato a “ripagarlo” e la spesa sociale sbranata, quasi per tre quarti. Fallito il colpo di stato contro Hugo Chavez e la sua legislazione petrolifera, ispirata a quella di Roldόs, con i preparativi per l’invasione dell’Iraq e le scorte al minino da trent’anni, era giunto davvero il momento di estorcere, all’Ecuador prostrato, le concessioni amazzoniche. Un successo esemplare per i sicari. Shuar, Kichwa, Zaparo ed altre tribù annunciarono la loro guerra di frecce e fucili ad avancarica. Gli Huaorani che avevano accettato di aprire le proprie terre, già non esistevano più come popolo. Perkins corse verso la città di Shell, a mettersi in mezzo. L’esercito ecuadoregno, qualche consulente americano, pochi mercenari addestrati dagli sciacalli, accuse di rapporti con Al Qaida e lì, la “seconda guerra del golfo” sarebbe finita presto: con il massacro degl’indios. Pochissimi ne avrebbero saputo qualcosa.

Poco dopo il ritorno a casa, iniziò la guerra in Medio Oriente. La decisione di scrivere le Confessioni divenne irremovibile il 18 aprile 2003: l’anniversario della cavalcata di Paul Revere. L’argentiere che corse per le città del New Egland: «arrivano gli inglesi!». Perkins è un patriota, cresciuto nel culto della Guerra d’Indipendenza: Repubblica Americana contro Impero Globale, è il fondo della sua visione. Ma quel venerdì 18 aprile, il New York Times parlava d’altro, per chi sapeva leggere tra le righe. La Bechtel aveva ottenuto il suo appalto miliardario in Iraq. Uno dei direttori della multinazionale, George P. Shultz, era stato segretario di stato con Regan. Mentre, il direttore capo, Riley B. Bechtel, era appena stato nominato consulente della Casa Bianca per le esportazioni. Gli iracheni avrebbero collaborato con la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale per ricostruire il paese. Rimaneva solo da aggiungere che Saddam Hussein sarebbe rimasto al suo posto, se non avesse rifiutato la propria versione dell’accordo saudita e che gli sciacalli avevano fallito. Quindi erano occorse le vecchie maniere. Giovani americani a uccidere e morire lontano da casa, nel deserto. L’impero globale riassunto in poche righe. Sotto la superficie, il dollaro quale unità monetaria mondiale. Tema approfondito da Perkins in La storia segreta dell’impero americano (Minimum Fax, 2007).

Nel caldo Ferragosto del 1971, l’amministrazione di Richard Nixon smise di onorare gli accordi di Bretton Woods, ovvero di garantire la convertibilità del dollaro in oro. La Guerra del Vietnam aveva stampato troppe banconote. Il dollaro rischiava di perdere il suo ruolo di unità monetaria mondiale. Un disastro per l’impero. Così, il sostegno a Israele nella Guerra dello Yom Kippur (1973), servì anche a provocare gli arabi, perché alzassero il prezzo del barile, fino a proclamare l’embargo totale. Occorreva che il petrolio costasse di più e che l’Arabia si sentisse minacciata. La moneta degli Stati Uniti mantenne il suo ruolo perché la casa reale saudita si impegnò a vendere il petrolio esclusivamente in dollari, trascinando con sé l’Opec. L’oro di convertibilità divenne nero. E gli idrocarburi sono la risorsa fondamentale. Occorre vendere beni reali e servizi per procurarsi crediti in dollari. In questo modo gli Stati Uniti acquistano beni a credito. Poi, al momento di utilizzare i crediti per comprare il petrolio o altre cose, l’inflazione ha eroso il valore. La differenza è il tributo che l’impero riscuote.

La possibilità di stampare l’unità monetaria mondiale rende infine “sostenibile” l’enorme debito pubblico degli Stati Uniti e la corte di debitori che non potrà mai restituire il dovuto, come pianificato dai sicari. Mentre a livello globale, gli americani –  il 5% della popolazione –  consumano il il 25% delle risorse. Oltre i dollari: nessun complotto. L’impero globale, la corporatocrazia, la crescita economica sono il sistema nel quale viviamo e lavoriamo; offrono casa, cibo, automobile, energia elettrica, difficile arrischiarsi a cambiare. Anche se proprio negli Stati Uniti, il paese più ricco mai esistito, infelicità, suicidi, divorzi, tossicodipendenza, omicidi, stupri, aggrediscono con una frequenza apparentemente inspiegabile. Anche se nel mondo, 24.000 persone muoiono di fame ogni giorno ed altri milioni, in paesi come Panama, l’Indonesia o l’Iraq, odiano l’Occidente. Oltre ancora, forse, vide bene uno sciamano shuar:

«Il mondo è ciò che sogni… La tua gente ha sognato di possedere fabbriche enormi, altissimi palazzi e tante auto quante sono le gocce di pioggia in questo fiume; adesso incominciate a vedere che questo vostro sogno è un incubo. – Si chinò a raccogliere una pietra. – Il problema è che il vostro paese è come questo sasso – disse gettandolo lontano nel fiume. – Tutto si propaga sulla Madre Terra. […] Tutto quel che dovete fare è cambiare il sogno».

John Perkins, Il mondo è ciò che sogni, Amrita, 1996

E come sapeva lo sciamano: i sogni si avverano sempre. È metapolitica.

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