Ciclicamente negli Stati Uniti si assiste a un aspro dibattito riguardante il debito pubblico, a livello puramente quantitativo tra i più alti del mondo, visto che a dicembre 2022 ammontava a oltre 31.000 miliardi di dollari. Certo la percentuale di debito rispetto al Prodotto interno lordo è ancora “accettabile” arrivando al 126% contro il 250 % del Giappone, che da sempre fa storia a sé, ed il 156% della nostra Italia. Ma il problema è che a differenza di altri Paesi, negli Stati Uniti vi è un limite fissato per legge all’ammontare del debito pubblico, limite che probabilmente verrà superato nei primi mesi di questo 2023. La norma venne introdotta nel 1917 a seguito del coinvolgimento americano nella Prima Guerra Mondiale, con il “Second Liberty Bond Act” che stabiliva per la prima volta un tetto, modificabile dallo stesso Parlamento, oltre il quale nessun nuovo titolo di Stato poteva essere emesso.
Da allora fino ai giorni nostri, in caso di raggiungimento del limite, ed in mancanza di una nuova legge che ne permetta l’innalzamento, il Tesoro americano è costretto a ricorrere a “misure straordinarie” per finanziare temporaneamente le spese correnti. Senza il raggiungimento di un accordo parlamentare in tempi ragionevoli ci si avvierebbe a grandi falcate verso il “default” tecnico, l’anteprima del fallimento di un Paese. La paura di tale catastrofe dovrebbe portare a rivedere le previsioni di spesa e quindi a stimolare una gestione più sana delle finanze pubbliche, fornendo quindi un forte deterrente all’indebitamento indiscriminato. Più volte nelle nazioni molto indebitate si è auspicata la creazione di un meccanismo simile, come unica misura per fermare una tendenza ad una gestione della finanza pubblica un po’ troppo “allegra” ma come vedremo ora, questa soluzione non è priva di spiacevoli effetti collaterali.
Tale misura si è rivelata troppo spesso inefficace per due fondamentali motivi. Il primo è che il limite prestabilito non viene in alcun modo legato all’inflazione, e quando questa arriva a sfiorare la doppia cifra, come avvenuto di recente, il mancato adeguamento rende il dato meno preciso e soprattutto potenzialmente inadatto alle reali necessità di indebitamento di una Nazione. Ma il secondo motivo è decisamente più importante, ovvero che un tetto al debito pubblico modificabile solo con apposita legge, permette alle parti politiche di tenere praticamente in ostaggio un intero Paese, subordinando l’approvazione a richieste più o meno legittime. Ed è esattamente quello che sta succedendo da almeno una dozzina di anni negli Stati Uniti.
Fino al 2011 il Congresso americano ha di fatto autorizzato qualsiasi aumento del tetto al debito pubblico ogni volta che sia stato necessario. Ma in quell’anno il Parlamento a maggioranza Repubblicana ebbe la non brillantissima idea di minacciare di rifiutarsi di alzare detto limite, al fine di ottenere una serie di importanti concessioni dall’allora Presidente Barack Obama. Specificatamente la battaglia verteva sulla Sanità pubblica, uno dei cavalli di battaglia nella campagna elettorale di Obama, il quale avrebbe posto il veto presidenziale a qualsiasi proposta di legge volta a tagliare l’ammontare previsto per queste voci di spesa. La maggioranza repubblicana del Congresso decise così di non votare il previsto aumento del plafond di debito, facendo così correre un brivido sulla schiena a chiunque operasse nei mercati finanziari e non solo. Uno sforamento del limite avrebbe comportato un serio pericolo di default, magari non immediato come tanti analisti dell’epoca affermarono (vi sono infatti tutta una serie di “trucchi” che il Tesoro americano può mettere in campo come ultima risorsa), ma rimaneva una minaccia concreta.
Doveroso precisare che un “default” tecnico di questo tipo non comporta l’immediata impossibilità di rimborsare i Titoli di Stato, ma almeno all’inizio il Governo americano non sarebbe in grado di effettuare i pagamenti legalmente dovuti come ad esempio gli stipendi dei militari o degli impiegati pubblici. Questo basterebbe comunque a scuotere la fiducia dei creditori nei confronti degli Stati Uniti, e i famosi T-Bond americani apparirebbero decisamente meno sicuri ed affidabili. Alla fine Repubblicani e Barack Obama giunsero dopo lunghi e difficili negoziati ad un accordo che prevedeva una serie di tagli alla spesa e alle tasse, le agenzie specializzate abbassarono per la prima volta il rating del debito sovrano americano.
È bene ricordare come un default non sia mai una cosa piacevole. Va a colpire in maniera durissima il sistema finanziario di una nazione, e dato che le banche tendono a detenere molti titoli di Stato, se questi titoli perdono valore c’è la possibilità che un certo numero di istituti finanziari diventi insolvente. Allo stesso tempo il Governo trova molte più difficoltà a prendere denaro in prestito, e deve farlo a tassi più alti, con maggiori costi, e si trova immediatamente nella condizione di tagliare le spese, causando un peggioramento dei servizi offerti e della qualità della vita, ed in ultima analisi una potenziale recessione. Nel caso di un default statunitense assisteremmo a qualcosa di simile ad una catastrofe. Il debito americano è infatti detenuto dalle banche di tutto il mondo, in quanto considerato uno strumento sicuro. Sarebbe quindi il sistema finanziario globale ad essere a rischio.
Fortunatamente tutto questo non avvenne nel 2011, ed il mondo legato ai mercati finanziari considerò il downgrade del rating americano come una sorta di avvertimento, più che un vero e proprio segnale di allarme. Ma questo non vuol dire che il pericolo non esista.
Il vero problema di quanto accaduto nel 2011 è stato quello di aver creato uno spiacevole precedente, un ricatto politico che da allora è diventato parte integrante dell’arsenale di chiunque abbia la maggioranza in Parlamento, e si trovi a fronteggiare politiche presidenziali poco gradite. In questi giorni si sta affrontando lo stesso tema, con i repubblicani che spingono per ulteriori tagli alla spesa pubblica proprio mentre si sta superando il limite imposto per legge al debito pubblico. Ora alcuni obietteranno che sia giusto tagliare le spese e mantenere sempre un buon equilibrio di bilancio, ma non è questo il punto. È legittimo per chi abbraccia la teoria economica liberista chiedere misure di austerità, ma il modo giusto di farlo è di proporre leggi di bilancio restrittive e seguire l’iter parlamentare corretto, come si è sempre fatto nei secoli precedenti al 2011. Usare il tetto al debito, o meglio il suo adeguamento, come una minaccia è semplicemente irresponsabile.
Paradossalmente poi questa situazione favorisce la diffusione dell’idea di abolire questo limite al debito. Senza arrivare agli estremismi della MMT, la Modern Monetary Theory, in cui il debito non è visto come un problema per una nazione dotata di piena sovranità monetaria, da più parti si alzano dubbi sulla efficacia di questa normativa. Una riforma sarebbe quanto mai essenziale e sono ormai molti gli esponenti, in verità di entrambi i partiti del Congresso, a chiederla in maniera urgente. Certo questa situazione è accentuata in Paesi come gli Stati Uniti dove il bilanciamento dei poteri è più marcato e spesso si trovano ad avere Presidente e maggioranza parlamentare di schieramenti diversi, ma il problema si riproporrebbe in qualsiasi ambito. Certamente conosciamo bene il funzionamento dei Parlamenti di tutto il mondo, dove si incassano favori e si minaccia di far saltare il Governo in continuazione, perché quindi fornire ulteriori potentissime armi adattissime allo scopo? La follia di una norma anacronistica resa arma di ricatto è giusto che giunga a termine.