OGGETTO: Filosofia politica dell’evasione fiscale
DATA: 14 Luglio 2023
SEZIONE: Economia
FORMATO: Analisi
AREA: Italia
Non pagare le tasse è un fattore antropologico che gli attuali partiti politici possono solo dirigere.
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In un articolo sul Corriere della Sera del 26 giugno, intitolato, L’incredibile scomparsa delle entrati fiscali: perché gli italiani pagano meno tasse, in cui l’autore, da giornalista economico, prova ad analizzare perché in Italia vi è una maggioranza sempre più ampia propensa a non pagare le tasse. Tale analisi di Federico Fubini la deduce analizzando il Rapporto annuale sull’evasione fiscale, redatto dal Consiglio dei Ministri, a firma del Presidente del consiglio Giorgia Meloni e del Ministro all’attività economica Giancarlo Giorgetti. Nel rapporto emerge che dal 2015 al 2019 vi è una “propensione”, termine citato nell’articolo, a non pagare l’imposta sui redditi da una ben specifica categoria di lavoratori ovvero quelli autonomi, i soggetti titolari di partita Iva. Nello specifico, il rapporto analizza che nel 2015 l’evasione fiscale, tra questa categoria, era del 65.1%, salita al 67.6 % nel 2018, per culminare al 68.3% nel 2019.

In sostanza oltre 2/3 dei lavoratori autonomi in Italia, riferita ai dati del 2019, non pagano le tasse. In addendum al rapporto di Palazzo Chigi, si è aggiunta la nota del Dipartimento delle finanze il quale ha dato una prima stima del primo quadrimestre del 2023 sulle entrate fiscali, che sono state di 150.9 miliardi, invece dei previsti 160 che sarebbero dovuti entrare nelle casse erariali. Secondo Fubini la colpa di tutto sarebbe del governo Meloni. Dopo l’insediamento del nuovo esecutivo, secondo il giornalista,  è passato un messaggio subliminale che pagare le tasse non sia un obbligo, ma un optional e che quindi si può fare a meno di pagare. Questo sta avvenendo perché il messaggio del Presidente del Consiglio, tramite diverse azioni di carattere economico e di comunicazione quali: aumento della soglia per gli acquisti del contante fino a 5 mila euro, che di fatto una sorta di condono fiscale; esternazioni fatte dalla stessa Premier, come il comizio tenuto a Catania il 26 maggio, in occasione della chiusura della campagna elettorale delle amministrative siciliane, in cui ha definito il gettito pagato dalle piccole e medie imprese come un pizzo di stato, dichiarazioni che per ovvie ragioni hanno suscitato diversi malumori, sia da parte delle opposizioni politiche, che da parte di diverse associazioni antimafia. Al netto di ciò, la riduzione dell’imposta sui redditi è stato un mantra ripetuto in tutta la campagna elettorale durante le elezioni politiche dello scorso anno da parte degli partiti della coalizione del centro-destra.

La coalizione del centrodestra ha sempre sostenuto in maniera lapalissiana. Ovvio che nella campagna elettorale, Fdi in particolare, cercava il consenso a una tipologia di categoria professionale ben delimitata, quella delle partite Iva, per intenderci i piccoli commercianti e artigiani, coloro che secondo i dati citati sopra citati, sono quelli che omettono di pagare le tasse.  Da parte di Fdi di scegliere quella categoria professionale come massimo bacino di elettori  è una stata una scelta strategica ben precisa. Secondo uno schema definito “directional“, definito così da due politologi statunitensi, George Rabinowitz e Stuart Mcdonald nell’articolo, A directional theory of issue voting, edito dalla rivista American political science review (vol.83 no.1/1989) in cui viene teorizzata la strategia attuata dai moderni raggruppamenti politici in campagna elettorale, dove l’elettore viene scelto a seconda di una ben definita categoria professionale, sociale, culturale a cui appartiene e il partito degli offre delle risposte ben precise, nette, senza perifrasi ai bisogni ai quali tale categoria cerca delle risposte e il pagamento delle tasse fa parte di questi bisogni, insita nella società già in età moderna.

Già Hobbes nel Leviatano scrisse che l’imposizione di un’imposta sulla proprietà era un trattamento di iniquità nei confronti di un individuo che era capace di produrre ricchezza, ovvero che sapeva fare impresa:

“Per quale ragione colui il quale lavora molto , e, , risparmiando  i frutti del suo lavoro, consuma poco, dovrebbe essere più caricato di colui, il quale, vivendo meglio neghittoso, guadagna poco e spende tutto quanto guadagna, considerando che l’uno non ha maggior protezione che l’altro dallo Stato?” 

T. Hobbes, Leviatano

Sulla scorta di quanto enunciato da Hobbes il barone di Montesquieu sosteneva che una tassazione diretta non era conforme ai principi di libertà:

“L’imposta pro capite è più connaturale alla schiavitù; l’imposta sull merci è più connaturale alla libertà, perchè si riferisce in maniera meno di retta alla persona”.

Secondo Montesquieu l’imposta sul reddito della persona fisica andava addirittura a discapito della libertà personale, dato che lo Stato per garantire il pagamento delle imposte si trasformava in una sorta di poliziotto. Una mortificazione dell’imposta progressiva, lo si ebbe anche negli scritti di Benjamin Constant, uno dei padri del pensiero politico liberale, il quale sosteneva che un trattamento fiscale di tipo progressivo, per favorire il ceto sociale più povero, andava però d’altra parte a penalizzare l’individuo benestante. Per Constant la stessa povertà veniva trattata come un privilegio e l’unica soluzione per lenire la povertà era la beneficenza da parte dei ricchi. Diversi decenni dopo Constant, anche il positivista Spencer definiva l’imposta progressiva sul reddito come una ” beneficenza di Stato”. Come ha scritto Domenico Losurdo, nella sua introduzione al Manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels, per l’edizione da lui stesso tradotta e curata per Laterza nel 1999, il quale scrisse che i pensatori liberali e illuministi presero a modello il teorico dell’assolutismo, ovvero Hobbes,  per l’ostilità per l’imposta sul reddito“. Ovvio che tali tesi di carattere fiscale furono confutate dai due dioscuri del comunismo. Concludendo si può azzardare che ad oggi partiti politici non creano nessuna filosofia politica, nessuna teoria, ma possono solo cooptare e saper governare i bisogni degli individui, che rimangono immutati nell’uomo occidentale già da diversi secoli, segno che ancora non si è entrati in un’epoca post-capitalistica.

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