Lo scorso anno un gruppo di investitori in criptovalute ha acquistato una nave da crociera dismessa, la Pacific Dawn, e l’ha ribattezzata MS Satoshi, in onore del presunto creatore dei Bitcoin. Gli investitori erano membri di “seasteading”, un movimento che intende creare città-stato autonome e galleggianti in acque internazionali. Il miliardario della Silincon Valley Peter Thiel, autodefinitosi anarco-capitalista, è uno dei principali sostenitori di un movimento che, come la colonizzazione dello spazio, pare attirare l’entusiasmo di una certa baronia tecnologica, straordinariamente ricca. Il progetto MS Satochi si è rivelato un fallimento. La nave è stata venduta a dicembre, visto che i proprietari non sono stati in grado di ottenere l’assicurazione per il loro viaggio in acque internazionali. (Ora sperano di creare appartamenti di lusso, in stile fantascientifico, al largo della costa del New Jersey).
La vicenda mette in luce uno degli aspetti più preoccupanti di quello che potremmo definire ‘movimento futurista’: la maggior parte delle idee che riguardano il futuro sono concepite e sviluppate da una piccola minoranza di individui, ultra-ricchi, e da aziende private. È difficile non subire il fascino seducente di queste visioni del futuro. Meravigliosi rendering digitali ci invitano a vagare in mondi scintillanti, del tutto concettuali: penso al piano di Elon Musk e di Space X che intende costruire una colonia su Marte o quello di Jeff Bezos per fondare colonie fluttuanti nello spazio. Sul pianeta Terra, la Virgin Hyperloop One di Richard Branson ha lavorato con i più importanti architetti al mondo per produrre progetti spettacolari e immaginifici di pod che viaggiano a emissioni zero, a 1200 chilometri l’ora, dentro tubi. Uber, immaginando taxi volanti che trasportano i passeggeri da tetto a tetto, ha svelato sedici proposte di skyport progettate da importanti architetti. Mentre la Boring Company di Elon Musk promette tempi di percorrenza brevissimi grazie alla costruzione di tunnel, nelle nostre case restiamo incantati dal potenziale di Nest e di Alexa. Come una ideologia, il futuro privatizzato riguarda ogni cosa, dalle infrastrutture globali agli elettrodomestici.
Questi progetti utilizzano immagini formidabili per stimolare l’immaginario del pubblico e creare consenso intorno a tali visioni. Ma a differenza di molte proposte lungimiranti del passato – prodotte da un ‘pubblico’ di accademici, artisti, agenzie governative – il “futuro” è oggi pensato pressoché esclusivamente da società private, proprietà di miliardari della tecnologia. Perché si preoccupano di fondare il nostro immaginario? Che cosa accade quando il futuro è proprietà di privati?
Il problema non è secondario. Se le aziende controllano l’immagine del futuro, l’immaginario futuro, controllano il futuro stesso e ne possono governare l’infrastruttura. Infine, decideranno come dovrà funzionare la società. Piattaforme come Amazon, Facebook e Robinhood sono diventate enormi infrastrutture che controllano gran parte della nostra economia e della sfera pubblica.
Non è un fenomeno del tutto nuovo. All’Esposizione Universale del 1939, la General Motors presentò Futurama, una “concezione artistica” che delineava una visione per il mondo del 1960. Come scrisse il designer di GM, Norman Bel Geddes: “È una necessità federale lo sviluppo del nostro paese, attraverso lo sfruttamento delle risorse della terra, l’acqua, l’energia, la materia prima. Per realizzare questa necessità non c’ impresa più importante delle strutture per il trasporto nazionale”. Sostenendo gli investimenti del governo federale e costruendo il consenso pubblico attraverso un immaginario dedotto dall’avanguardia futurista italiana, GM ha ideato il sistema autostradale interstatale del 1956.
Le idee futuristiche sul rinnovamento della società non vengono sempre da aziende private con interessi privati. Negli anni Sessanta e Settanta, ad esempio, molte visioni del futuro sono state create da agenzie pubbliche. Simili proposte diedero forma a molte delle idee controculturali dell’epoca. La marina statunitense approvò i progetti di Richard Buckminster Fuller per la costruzione di Triton City, un complesso residenziale galleggiante per 100mila persone, a Chesapeake Bay, commissionato, per altro, dal dipartimento americano per lo sviluppo urbano. Il futuro privatizzato di oggi è ispirato dalle proposte utopiche di quell’epoca. Il piano di colonizzazione spaziale di Bezos, Blue Origin, è pressoché la copia del progetto del fisico Gerard O’Neill pensato per la Nasa nel 1975. Ciò che cambia è la politica. Gli ideali tecnocratici e libertari della Silicon Valley – una curiosa mutazione della controcultura americana – potrebbero esaltare l’aspetto più oscuro dell’ipercapitalismo. Space X vuole trasportare i coloni su Marte a patto che paghino 500mila dollari per un biglietto: eventualmente tramite prestito rimborsabile lavorando. Visto il record di manodopera nell’industria tecnologica pare una specie di schiavitù a contratto confezionata come vita in un nuovo mondo.
Dovremmo immaginare un futuro più ‘pubblico’, in cui non sia soltanto il mercato a dettare le norme, che siano i regolamenti ambientali o i diritti minerari. Come i futuristi degli anni Sessanta e Settanta, sapremo ideare mondi audaci e nello stesso tempo democratici? Qualcuno, oggi, ha l’onere di definire il domani: non dobbiamo lasciare l’immagine del futuro soltanto nelle mani dei miliardari della tecnologia.
Matt Shaw