OGGETTO: Alle radici di Hamas
DATA: 17 Ottobre 2023
SEZIONE: Storie
FORMATO: Racconti
Da associazione caritatevole a propugnatrice della lotta armata. La storia della milizia che ha incarnato la causa palestinese.
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La storia può essere immaginata come un enorme ecosistema. Le notizie che ogni giorno arrivano e fanno impazzire i cellulari facendolo lampeggiare come un ossesso, sono equivalenti, nella metafora, al moto delle onde che dalla terraferma si osservano, alle volte calme e lineari altre agitate e incoerenti, sulla superficie del mare. Tuttavia, per spiegare il moto ondoso non ci si può fermare all’osservazione visiva; agli occhi si celano fenomeni che quel moto ondoso contribuisco a creare: i venti, le correnti sottomarine, la temperatura atmosferica, la forza d’attrazione della luna. Lo stesso vale per la storia: ogni fenomeno contemporaneo nasconde una profondità, un retaggio, a risalire il quale si scoprono i motivi che giustificano un avvenimento, circoscrivendo la sua dinamica nel tempo e nello spazio.

Certo è che per visionare in modo completo i movimenti occorrerebbero gli stivali delle sette leghe. Questo non significa che, con un po’ di pazienza, non si possa, riguardo certi eventi, risalire controcorrente alla sorgente per ancorare un evento dell’oggi allo sfondo e alla profondità del passato che lo ha generato. Ora che i riflettori del mondo si sono riaccesi sul teatro del conflitto arabo-israeliano, a dispetto della mediocrità con la quale i mezzi di informazione stanno trattando la vicenda, risulta di particolare interesse chiarire la traiettoria storico-politica avuta dal movimento radicale di Hamas (Harakah al-Muqawwamah al-Islamiyyah – Movimento di Resistenza Islamico), protagonista dell’attacco frontale ad Israele.

Nell’epoca dei mandati europei – negli anni Venti del Novecento – il mondo arabo era rimasto intrappolato nei tentacoli degli stati coloniali europei, l’impero Ottomano era miseramente deflagrato dopo decenni di agonia; le avanguardie scientifiche ed artistiche che gli arabi avevano diffuso nel Mediterraneo restavano un lontano ricordo: constatarne la caduta era tanto più amaro quanto più quel passato era stato grande. Le mirabolanti rivoluzioni, tecniche e tecnologiche, proveniente dal Vecchio continente avevano eroso la forza militare del sultano; lo sviluppo del commercio di tipo capitalistico aveva annichilito l’economia di stampo biblico con cui ancora si muoveva la sponda sud del Mediterraneo e il Medio Oriente tutto. Questa debolezza totale aveva finito per rilegare la stessa religione musulmana al solo spiritualismo, ad un esercizio del culto tutto interiore.

Il movimento dei Fratelli Musulmani, capostipite di quello che sarà Hamas, si originò in questo momento di crisi nera del mondo arabo. Comprendendo che il tempo della predicazione era terminato, il movimento si pose come obiettivo quello di reislamizzare la società per creare le basi di un nuovo Stato islamico. Un’identità islamica andava ricostituita e la sua solidità poteva darsi solamente con un progetto socio-politico che agisse come deterrente nei confronti della modernizzazione e del modello culturale proveniente da Occidente. Alle origini il suo fondatore, Hassan al-Banna, impostò l’azione della fratellanza in modo non radicale, tentando di rinnovare l’Islam attenuando la penetrazione europea, senza necessariamente porre un muro ad una comunicazione culturale ed economica che si sarebbe inevitabilmente mantenuta viva.

Tuttavia, dopo la Seconda guerra mondiale, con l’avvento di regimi nazionalisti laici in buona parte del Medio Oriente, e nello specifico in Egitto, che dal 1952 si identificò nella persona del generale Gamal Abdel Nasser, la fratellanza scoprì un inaspettato nemico interno che condusse contro di essa una campagna di arresti sommari e repressioni tremendamente violenti. Un tale antagonismo esacerbò lo scontro. In quegli anni in seno alla fratellanza emerse la figura di un pensatore di nome Sayyid Qutb. Egli non solo si convinse dell’incomunicabilità e inconciliabilità tra civiltà occidentale e oriente, ma indicò come principale nemico della fede musulmana proprio i regimi arabi nazionalisti, rivoluzionari e laici. Nel suo saggio più noto, le Pietre Miliari (Ma’alim fi-l-Tarikh), Qutb paragonò lo Stato secolare, per di più se di matrice statalista o socialista, alla jahiliyyah, ossia all’«ignoranza» pre-islamica, quella precedente alla rivelazione del profeta Maometto. L’unico modo per rovesciare un tale stato delle cose era portare avanti guerra santa (Jihad), legittimando la ribellione contro l’ordine costituito in modo da edificare ex novo una forma di stato interamente islamico, il quale a suo fondamento etico ponesse una nuova giustizia sociale.  

Fu una frangia di questo movimento che aprì il suo primo ufficio a Gaza nel 1967. Non serve evidenziare come la sua presenza nella Striscia coincida con la sconfitta della coalizione araba nella Guerra dei sei giorni: in quell’occasione Tsahal, l’esercito israeliano, non solo aveva conquistato tutto il territorio della Palestina storica e di Gerusalemme Est, ma era arrivato alle rive del Nilo, sgretolando la figura del Generale Nasser, fino a quel momento padre protettore della causa palestinese. Sebbene l’Olp – fino almeno all’ascesa al potere di Arafat – stesse entrando in un cono d’ombra e l’azioni dei palestinesi si facessero più scoordinate, con attacchi lampo dalle zone di confine, Hamas nacque come associazione caritatevole che attivava e offriva gratuitamente servizi di assistenza alla popolazione locale, attraverso ospedali, ambulatori, banchi alimentari, istruzione gratuita e, non da ultimo, una educazione religiosa che permettesse la riscoperta degli antichi valori dell’Islam. Di fronte ad una popolazione che indicava come suo primo obiettivo la lotta nazionalista per la riconquista delle terre usurpate da Israele nel 1948, Hamas non ricoprì un ruolo politico per diverso tempo.

Tuttavia, visti i benefici offerti, la popolazione della Striscia accettò la presenza di Hamas e l’associazione si diffuse capillarmente. A favorirla era innanzitutto l’assenza dell’Olp che non potendo, per ovvi motivi, risiedere nei territori occupati, coordinava le azioni dei guerriglieri da sedi estere. In modo meno evidente il suo potere si accresceva al progressivo svuotarsi di quello degli Stati nazionalisti-laici che supportavano la causa palestinese. Verso la fine degli anni Settanta lungo il Medio Oriente si diffuse un vero e proprio islamic revival, alimentato (con la parziale eccezione degli stati ricchi di idrocarburi come la Libia o l’Algeria) dal mancato approdo al benessere promesso dalle giunte militari che si erano intestate il potere con la promessa di avviare da un lato, la redistribuzione delle terre, dall’altro di creare un tessuto industriale moderno mediante programmi di stampo socialista. Tutto questo alimentava pure una crisi identitaria delle nuove generazioni nei confronti della causa nazionalista. Da parte sua l’incremento di legittimazione dell’islamismo raggiunse il suo culmine nel 1979, turning point della storia mediorientale, quando una serie di eventi: la rivoluzione khomeinista in Iran, la resistenza islamica all’invasione sovietica dell’Afghanistan, l’occupazione della moschea della Mecca da parte dei wahhabiti, ma anche l’accordo di pace fra Egitto e Israele, contribuirono a far prendere coscienza all’islamismo della sua forza nella regione.

Se tali eventi alimentarono il consenso dei palestinesi della Striscia in Hamas, il suo battesimo politico avviene nel 1988, dopo lo scoppio della prima Intifada (1987). In quell’occasione i palestinesi di Gaza e Cisgiordania – complice anche la violenza con cui Israele aveva condotto la seconda invasione del Libano ai danni dei guerriglieri dell’Olp di stanza a Beirut – si decisero, senza consultare Arafat e il suo stato maggiore, di assumersi direttamente la responsabilità della lotta contro Israele. Si trattò di una rivolta disarmata, portata avanti con i metodi più vari: il rifiuto di pagare le tasse, il boicottaggio delle merci, lo sciopero, il lancio di sassi da parte di donne e bambini contro l’esercito israeliano. Si trattava di uno stato di tensione a bassa intensità, per denunciare agli occhi del mondo, senza armi e senza l’abominio dell’attentato terroristico, lo stato di occupazione e la cascata di angherie e prepotenze che i cittadini dei Territori subivano quotidianamente dal 1948. Sul fronte interno, invece, i palestinesi, denunciavano senza mezze misure che la loro fiducia verso l’Olp era giunta al termine.

L’allora ministro della difesa israeliano, e futuro premio Nobel della Pace Yitzhak Rabin, in quella situazione di impossibilità a reprimere con la forza una rivolta i cui protagonisti erano ragazzi, donne e anziani, ordinò a Tsahal di spezzare le braccia ai manifestanti, in modo tale da tenerli fuori dalla lotta per un tempo più lungo di un arresto. Questo episodio, come l’Intifada tutta, suscitarono una nuova ondata di simpatia internazionale nei confronti della causa palestinese. Complici gli eventi della storia internazionale, Arafat decise di giocarsi la sua ultima carta. L’ascesa al vertice dell’Unione Sovietica di Gorbačëv, la Perestrojka, il ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan, avevano fatto capire ad Arafat che il più grande difensore della causa palestinese sarebbe presto scomparso di scena; pertanto i termini della lotta sarebbero dovuti mutare.

In un vertice generale dell’Olp tenuto ad Algeri egli riconobbe ufficialmente le risoluzioni Onu n. 242 e n. 338 che intimavano all’esercito israeliano di ritirarsi dalle zone occupate, ma allo stesso tempo riconoscevano il diritto allo stato di Israele ad esistere rinunciando, pertanto, alla rivendicazione del controllo palestinese sull’intera Palestina storica. In quell’occasione Arafat abiurò anche allo strumento del terrorismo. Fu in questo contesto che Hamas – sfruttando il malcontento verso la soluzione di Algeri e il solido consenso della popolazione locale coltivato negli anni – si affermò come attore politico radicale alternativo all’Olp. Nel momento stesso in cui l’organizzazione storica della lotta alla liberazione della Palestina rinunciava alla violenza ed apriva ad una soluzione diplomatica, Hamas tornava ad imbracciare le vecchie rivendicazioni con toni ancor più minacciosi. Nel suo manifesto politico proclamò l’intera Palestina storica bene Wafq, ossia un bene sacro ed inalienabile ai musulmani: per riscattarlo era ammesso l’uso della lotta armata. Insomma, diversamente dalla laica Olp, Hamas si faceva protagonista del futuro imbracciando il Corano per portare avanti la sua lotta.

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