OGGETTO: Sull'(in)utilità delle Nazioni Unite
DATA: 25 Gennaio 2024
SEZIONE: Geopolitica
Nonostante il ricorso al diritto di veto abbia raggiunto un picco allarmante negli ultimi due anni, il ruolo dell’ONU non si esaurisce dinanzi alle contrapposizioni tra i “P5”, ma, al contrario, continua a giocare un ruolo fondamentale nella preservazione della sicurezza internazionale.
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8 dicembre 2023. È la data di una lettera indirizzata all’attuale presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Dennis Francis, dalle Missioni permanenti di Egitto e Mauritania presso il quartier generale dell’ONU a New York. Rivolgendosi alla prima carica per importanza protocollare della diplomazia dell’ONU nelle rispettive funzioni di presidenti del gruppo dei Paesi arabi e del gruppo dei Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, le delegazioni egiziana e mauritana richiedono con urgenza che venga convocata una sessione speciale di emergenza dei lavori dell’Assemblea Generale, a seguito del diritto di veto esercitato dagli Stati Uniti in una seduta del Consiglio di Sicurezza sul quadro umanitario e militare della situazione a Gaza, tenutasi proprio l’8 dicembre.

Al termine di una descrizione sintetica, ma pur sempre esaustiva, del livello di devastazione raggiunto nella Striscia, un rimando a una vecchia risoluzione del 1950 suscita un certo interesse: è la cosiddetta Uniting for Peace, concepita nel contesto della guerra di Corea per sopperire al cortocircuito del sistema onusiano di garanzia della pace e della sicurezza internazionale di cui erano prevedibilmente responsabili i “P5” del Consiglio secondo le regole tipiche del confronto bipolare. L’epoca richiamata alla memoria da quel rimando era una stagione turbolenta e, tuttavia, carica di aspettative nei confronti di un’architettura della sicurezza internazionale ancora in divenire. Alla Uniting for Peace si attribuiva allora il ruolo di grimaldello utile a risolvere le disfunzioni del Consiglio di Sicurezza in una fase storica segnata dalla “politica della sedia vuota” adottata dai sovietici per manifestare dissenso rispetto al riconoscimento alla Repubblica di Cina del diritto di sedere tra i “P5”.

Non solo: negli anni Cinquanta la Carta delle Nazioni Unite venne applicata nella sua interezza, compreso il capitolo VII dello Statuto, oggi guardato dalla comunità internazionale come un relitto appartenente a un lontano passato. Unico caso nella storia dell’ONU, una forza internazionale venne definita, tra il giugno e il luglio 1950, nelle sue caratteristiche e nella sua “funzione di polizia” in risposta a una “minaccia alla pace, violazione della pace o atto di aggressione”. Sotto la guida statunitense, furono 16 Paesi a contribuire alla costituzione di una formazione militare sulle cui esigenze, ai sensi dell’art. 47 della Carta, si sarebbe dovuto esprimere un Comitato di Stato Maggiore composto dai capi di Stato Maggiore dei Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Come ampiamente dimostrato dalla prassi, l’esercito comandato dal generale americano MacArthur nella guerra di Corea non avrebbe avuto eguali nei decenni successivi.

Al contrario, si sarebbero affermate due evoluzioni durevoli del sistema onusiano di garanzia della sicurezza, ovvero le peacekeeping operation e l’autorizzazione all’uso della forza. Con la sovrapposizione degli interessi coloniali francesi e britannici alle logiche della Guerra Fredda, il funzionamento delle meccaniche di Consiglio e Assemblea cominciò a complicarsi, al punto tale che già nel novembre 1956, con l’attivazione della risoluzione Uniting for Peace, si giunse a un voto favorevole dell’Assemblea per disporre il cessate il fuoco con il ritiro delle truppe dei Paesi belligeranti, mentre tardiva fu l’istituzione di una forza di interposizione (UNEF) che divise egiziani e israeliani. Nel corso della seconda metà del secolo scorso, le peacekeeping operation sperimentarono un’evoluzione graduale, che le portò, in anni recenti, con il mandato della Missione di stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo, anche ad abbandonare il canonico assetto difensivo che le aveva caratterizzate.

Roma, Dicembre 2023. XIII Martedì di Dissipatio

Nella suddetta lettera, le due delegazioni menzionano anche una risoluzione adottata il 27 ottobre 2023, la A/RES/ES–10/21, che, aggirando le secche di un Consiglio bloccato dai veti incrociati, aveva fatto prevalere la posizione comune del gruppo dei Paesi arabi e del cosiddetto “Sud globale”: tra i vari punti, spiccano per rilevanza il riferimento a una pausa umanitaria, il potenziamento del dispositivo di assistenza alla popolazione palestinese a Gaza e di rifornimenti di beni di prima necessità e il rilascio degli ostaggi. Soltanto, però, se ci si sofferma sulla votazione in seno all’Assemblea, si può cogliere uno dei principali pregi delle meccaniche onusiane, ovvero la trasparenza. Ciò, sia ben chiaro, non vuol dire che gli orientamenti che emergono dalle votazioni dell’organo plenario delle Nazioni Unite riescano a fotografare fedelmente le logiche sottostanti a rapporti di forza ed equilibri di potenza determinanti nelle dinamiche presenti delle relazioni internazionali. Eppure, da un risultato di 120 Stati membri a favore, 14 contrari (inclusi Stati Uniti, Austria, Croazia, Repubblica Ceca e Ungheria) e 45 astenuti si possono trarre innumerevoli considerazioni.

D’altronde, un simile contrasto tra l’incapacità di agire del Consiglio e l’attività incessante dell’Assemblea non è altro che una dimostrazione esemplificativa delle ragioni dell’acceso dibattito sulla riforma del Consiglio di Sicurezza, oltre alla riflessione collettiva sull’efficacia del sistema onusiano nel suo complesso. Intorno ai temi dell’equa rappresentanza su base geografica, dell’allargamento dei membri del Consiglio, della possibile modifica della durata del mandato dei membri non permanenti e di un codice di condotta sull’uso del veto si è sviluppato, presso la sala del Consiglio di amministrazione fiduciaria, un confronto tra delegazioni degli Stati membri il 22 e 23 gennaio scorsi: due giornate che hanno posto le condizioni adatte per la presentazione di due modelli di riforma, l’uno messicano e l’altro del Liechtenstein. Anche l’Italia gioca un ruolo di primo piano attraverso la leadership del gruppo Uniting for Consensus. Con tutto ciò, l’aspetto delle due giornate di dibattito che appare particolarmente degno di nota è una tendenza, comune alle varie proposte sui temi accennati in precedenza, a sostenere la necessità di una revisione profonda dell’impianto dell’organizzazione.

Dalla proposta dei Paesi africani di ottenere due nuovi seggi permanenti al Consiglio di Sicurezza alla vastissima adesione degli Stati alla Dichiarazione politica sulla sospensione del diritto di veto in caso di atrocità di massa, crimini di guerra o genocidio, le iniziative volte a mettere in discussione un assetto rimasto intatto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi si moltiplicano. Molte delegazioni, ad esempio, concordano sul fatto che il peso dei “P5” nei processi decisionali vada ridimensionato. Se non democratico viene definito l’attuale impianto delle Nazioni Unite, a maggior ragione, in occasione della High-Level Week dello scorso settembre, si sono susseguiti molteplici appelli per una riforma dell’architettura finanziaria internazionale, per le cui istituzioni non vale il principio one State, one vote. Al di là dell’attenzione collettiva rivolta alla riforma del Consiglio, è opportuno ricordare che l’organizzazione può fungere da catalizzatore nella multilateralizzazione delle crisi. Ma sterminato è il novero degli ambiti tematici che rientrano nell’agenda politica internazionale e che intercettano, a seconda dei casi, le preoccupazioni e le aspirazioni di singoli Paesi o interi gruppi, dalla tutela dei diritti umani alla cooperazione allo sviluppo.

A differenza di quel che si potrebbe pensare, neppure il più severo tra i realisti dovrebbe cedere alla tentazione di derubricare le Nazioni Unite a “istituzione vuota e sonora”. Luogo di dialogo gradito alla stragrande maggioranza dei componenti della comunità internazionale, nonché palestra di risoluzione delle controversie internazionali e di costruzione della pace, l’ONU non ha mai cessato di giocare un ruolo discreto e paziente nella preservazione della sicurezza internazionale, malgrado il cambiamento delle logiche dominanti dal pre al post 1989. E, nondimeno, quand’anche fosse paralizzata dall’uso del potere di veto (che, secondo la rappresentante permanente degli Emirati Arabi Uniti, durante il suo mandato al Consiglio di Sicurezza 2022-2023, avrebbe raggiunto il picco più alto dagli anni Novanta) e dalle polarizzazioni, manterrebbe un pregio particolare: l’opportunità di accedere a un osservatorio privilegiato sullo stato del mondo contemporaneo.

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