Basta dire “Monuments Men” e tutti capiscono immediatamente di chi stiamo parlando: soldati bellocci e prestanti (secondo Hollywood, ovviamente, e secondo George Clooney, ma la realtà è sottilmente diversa), appassionati d’arte, che misero anima e – soprattutto – corpo nella difficile missione di recupero delle opere d’arte trafugate dalle truppe naziste durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma la figura che nessuno conosce è quella di Rose Valland, donna minuta e riservata che, all’ombra del dominio nazista, operò nel campo del recupero di beni artistici molto prima che arrivassero gli americanissimi Monuments Men. I furti di opere d’arte, in questo periodo storico, erano perpetrati ai danni di collezionisti e musei ed erano praticamente all’ordine del giorno: ogni paese invaso si vedeva portar via, oltre alla propria libertà, anche i propri tesori, la propria storia e identità culturale senza poter fare nulla per impedirlo. E le opere, spesso, scomparivano senza lasciare tracce. Ancora oggi, di 600.000 tesori trafugati, 100.000 ancora mancano all’appello.
Una prima soluzione per salvare le opere d’arte era stata ideata dal presidente Roosvelt che nel 1943 fondò il programma “Monuments, Fine Arts, and Archives”: una task force formata da professionisti dell’arte, provenienti da 13 nazioni, per proteggere i beni culturali e le opere nelle zone di guerra durante il secondo conflitto mondiale. Ancora oggi, ci sono ancora diversi ostacoli che impediscono il recupero e la restituzione delle opere d’arte saccheggiate. In primo luogo c’è la questione della rintracciabilità dei beni culturali, poi il problema di identificazione dell’opera, le limitazioni burocratiche e il problema di rintracciare i legittimi proprietari o eredi. Il primo importante passo in avanti in materia di recuperi e ritrovamenti è stato nel 1998 con la conferenza di Washington, il cui obiettivo era quello di favorire la risoluzione delle questioni riguardanti le opere d’arte confiscate dal regime nazista dal 1933 al 1945. La successiva conferenza di Vilnius, che si è tenuta nel 2000, approfondisce alcuni aspetti come il concetto di identificazione delle opere, la necessità di centralizzare le informazioni e il riconoscimento della particolarità di ogni caso.
La storia delle gesta dei cosiddetti “Monuments Men”, come dicevamo, è ormai conosciuta in tutto il mondo – anche e soprattutto grazie al film dal titolo analogo dedicatogli, uscito nelle sale cinematografiche nel 2014. Grazie al loro impegno ci è stato restituito un patrimonio inestimabile composto da innumerevoli opere d’arte tra pitture, sculture, manoscritti, strappato ai nazisti. Ma, forse, pochi conosco la figura di Rose Valland, “l’eroina senza pretese”, e il suo coraggioso atto di spionaggio ai danni delle truppe naziste per tenere traccia il più possibile del percorso compiuto dalle opere che venivano trafugate.
Francese, nata nel 1898 da una famiglia di umili origini, si laureò nel 1918 con l’idea di diventare insegnante d’arte – sogno che inseguì, laureandosi nuovamente nel 1922 alla Scuola di Belle Arti di Parigi e ricevendo l’abilitazione all’insegnamento nel 1925. Durante l’occupazione tedesca della Francia, nel 1941, lavorava a titolo gratuito al Museo Jeu de Paume dove il direttore dei musei nazionali francesi Jaujard le chiese di rimanere come sorvegliante affinché spiasse i movimenti dei tedeschi, visto che il museo d’arte moderna venne trasformato in deposito per le opere d’arte trafugate dalle truppe naziste: in quanto donna sarebbe stata considerata incapace di compiere atti contro gli invasori nazisti. Il Jeu de Paume rappresentava il centro nevralgico delle sparizioni delle opere d’arte, che venivano lì accumulate, fotografate, schedate e poi smistate e fatte partire per altre destinazioni senza essere più ritrovate. Lo stesso Göring, una delle figure più potenti del partito nazista NSDAP, selezionò in questo museo, nel 1941 sotto gli occhi della Valland, 594 opere da far confluire nella propria collezione.
Al tempo, le truppe naziste sottraevano beni soprattutto da collezioni private di influenti famiglie ebraiche facendo confluire al Jeu de Paume anche opere appartenenti alla cosiddetta “arte degenerata” (ovvero opere moderne avanguardiste). Ai pezzi “degenerati” era vietato l’ingresso in Germania, perciò vennero raggruppati in un’unica stanza detta “dei martiri”. Goebbles, l’allora Ministro della Propaganda in Germania e braccio destro di Hitler, ne decise la vendita per finanziare la costruzione del Führermuseum che sarebbe dovuto diventare il più grande museo tedesco contenente le opere trafugate durante il Secondo Conflitto Mondiale: le opere che rimasero invendute (tra cui alcuni Picasso e Dalì, per assurdo) vennero bruciate nel giardino del Jeu de Paume il 27 luglio 1942. Potrebbe essere considerato un atto vandalico senza pari, ma bisogna ricordare che le truppe naziste non erano nuove a gesti del genere: un falò molto più grande con opere d’arte degenerata aveva avuto luogo a Berlino solo qualche anno prima, nel 1939. È in questo degradante contesto che, silenziosamente, operò Rose Valland: tenendo segreto il fatto di riuscire a comprendere il tedesco, mentre veniva compiuto il saccheggio nazista, Rose iniziò a registrare di nascosto più informazioni possibili circa gli oltre 20.000 pezzi d’arte portati al Jeu de Paume. Non aveva mai studiato il tedesco ma alcuni viaggi compiuti in Germania tra gli anni ’20 e gli anni ’30 l’avevano aiutata, oltre alle conversazioni tenute con alcuni dei camionisti impiegati dai tedeschi che le diedero modo di tenere traccia anche delle stazioni ferroviarie più usate per gli spostamenti delle opere.
Per certi versi, essere donna e trovarsi nel pieno del secondo conflitto mondiale poteva avere i suoi vantaggi. Passando inosservata e quindi non considerata una minaccia per le ambizioni del regime, la Valland informava regolarmente l’allora direttore dei musei nazionali francesi Jaujard sullo stato del saccheggio dell’arte nazista e per quattro anni tenne minuziosamente traccia di dove e a chi in Germania venivano spedite le opere d’arte, fornendo poi le informazioni alla Resistenza Francese per evitare che facessero esplodere i convogli ferroviari carichi di opere d’arte. Fu proprio grazie a queste soffiate che la Francia riuscì a recuperare circa 967 dipinti organizzati in casse su un treno pronto a lasciare il paese e a dislocare le opere tra l’Austria e la Moravia. Nonostante la Resistenza fosse riuscita a bloccare il convoglio, passarono due mesi prima che venissero rimosse tutte le casse e le opere trasportate in luoghi sicuri. Nell’autunno del 1944, comunicò agli Alleati i nomi dei depositi tedesco e austriaco. In seguito alla liberazione di Parigi da parte delle truppe alleate e fino al 1 ° maggio 1945, lavorò con lo SHAEF (Forza suprema alleata del quartier generale) fornendo agli americani informazioni vitali sui siti di stoccaggio per le opere trasferite in Germania e Austria.
Tra il 1945 e il 1954 Valland partecipò al rimpatrio di oltre 60.000 opere e vari oggetti saccheggiati da istituzioni pubbliche e continuò con la sua attività di spionaggio anche nella zona sovietica. Al suo ritorno a Parigi nel marzo del 1952 tornò all’amministrazione dei Musei di Francia, come curatrice dei Musei Nazionali per poi diventare capo dell’Art Protection Service (SPOA). Nel 1961 ha reso nota le sue eroiche gesta sotto l’occupazione nazista nel libro “The Art Front”. Dopo la liberazione della Francia dalle truppe naziste, Rose Valland fu inizialmente sospettata di aver collaborato con i tedeschi vista la sua posizione lavorativa al Jeu de Paume ma venne presto rilasciata dopo che la sua condotta esemplare venne testimoniata dal direttore del Musées Nationaux e da alcuni membri della Resistenza. Le informazioni da lei raccolte vennero visionate, e portarono alla scoperta di molteplici depositi di arte saccheggiata nella Germania meridionale, in particolare nel castello di Neuschwanstein nelle Alpi bavaresi, dove furono rinvenute più di ventimila opere d’arte e oggetti culturali. I suoi registri furono poi anche utilizzati per restituire i beni ai legittimi proprietari. Nel 1946 testimoniò a Norimberga contro Göring, elencando quali e quante fossero le opere che egli aveva trafugato per farle confluire nella propria collezione personale. Grazie ai suoi sforzi, come precedentemente affermato, vennero localizzate circa 60.000 opere di cui tre quarti tornarono in Francia prima del 1950. Morì nel 1980 e i suoi atti di estremo coraggio non vennero mai dimenticati.
Nel 2003, la piazza centrale di Saint-Étienne-de-Saint-Geoirs (sua città natale), fu ribattezzata Place Rose Valland, dove è stata anche istituita una associazione in sua memoria, e anche la scuola della città è stata intitolata in suo onore. Nel 2005, per volere della sopracitata fondazione, è stata posta una targa commemorativa per la sua persona, per ricordare “un’eroina della resistenza francese determinata a salvare un frammento della bellezza del mondo”, al museo Jeu de Paume, che ora è un centro artistico per la fotografia e per l’arte multimediale. Per finire, il Ministero francese della cultura e della comunicazione (Ministère de la Culture et de la Communication) ha fortemente voluto la creazione di un portale web, chiamato “Site Rose Valland Service des musées de France”, che elenca le opere recuperate conservate nei musei nazionali francesi.
Malgrado i numerosi riconoscimenti, Rose Valland non è molto conosciuta in Francia: aveva origini umili, era schiva, riservata e poco rispettata dai colleghi. Inoltre, aveva rivelato informazioni direttamente agli americani durante il conflitto e il gesto non fu visto da tutti di buon occhio. Nonostante si fosse ritirata dalla scena pubblica nel 1968 continuò comunque a lavorare su questioni ancora aperte di restituzione di alcune opere, anche a guerra conclusa ma in un paese che voleva solo lasciarsi alle spalle quella tragica esperienza.