Sabato 15 marzo 2025, Belgrado è stata testimone di una delle manifestazioni di protesta più imponenti nella storia della Serbia, segnando un momento cruciale nella politica serba. Decine di migliaia di cittadini, tra cui studenti provenienti da tutte le università del paese, hanno partecipato a quella che è stata la più grande manifestazione di dissenso mai vista, con lo slogan “15 per 15”, in segno di solidarietà con le vittime del crollo di una pensilina a Novi Sad che, nel novembre 2024, aveva provocato la morte di 16 persone durante una manifestazione studentesca.
La protesta ha preso piede nei mesi precedenti, con gli studenti a capo di un movimento che ha denunciato l’insufficiente risposta del governo alle tragedie del paese, il malfunzionamento delle istituzioni e la crescente insoddisfazione nei confronti del presidente Aleksandar Vučić. La partecipazione è stata massiccia, con stime che parlano di un numero che oscilla tra i 325.000 e gli 800.000 manifestanti. La capitale serba è stata letteralmente invasa, con le strade bloccate da una folla determinata, in un’atmosfera festosa, ma al contempo tesa, che ha visto le autorità fare di tutto per dissuadere i partecipanti, arrivando a organizzare ostacoli per impedire gli arrivi in città.
La presenza degli studenti nella guida di questo movimento è emblematica: si tratta di giovani che si sono fatti carico di organizzare le manifestazioni, di accogliere manifestanti da altre città e di garantire la sicurezza, spesso in condizioni di stress estremo. Il 15 marzo è stato un trionfo organizzativo. Nonostante i tentativi delle autorità di ostacolare l’afflusso in città e le manovre per spostare il raduno centrale, la manifestazione si è svolta pacificamente, con i cittadini che hanno continuato a manifestare il loro disappunto contro il regime.
Un altro elemento distintivo della protesta è stato l’incidente che ha segnato la giornata. All’improvviso, durante una pausa di silenzio in omaggio alle vittime delle recenti tragedie, è stato udito un suono assordante che ha causato il panico tra i manifestanti. Diversi testimoni hanno descritto il rumore come un suono simile a quello di un razzo o di un aereo in volo a bassa quota. Subito sono circolate voci secondo cui il rumore sarebbe stato causato da un cannone sonico, un dispositivo di crowd control usato per disperdere le folle, che il governo ha negato di aver utilizzato. Questo episodio ha alimentato ulteriormente il malcontento tra i manifestanti e l’opposizione, che ha chiesto un’indagine indipendente.
Le forze di polizia, schierate numerose durante l’evento, non sono intervenute adeguatamente per evitare gli scontri tra gruppi rivali all’interno della protesta. È stato proprio questo episodio che ha costretto gli studenti a proclamare la fine della manifestazione, ammettendo la loro incapacità di mantenere l’ordine senza il supporto delle forze di polizia. La sensazione di essere stati lasciati soli è stata ampiamente espressa dai rappresentanti degli studenti, che hanno denunciato l’assenza di protezione da parte della polizia, ma anche un’azione repressiva diretta da parte del governo.
Parallelamente alla crescita delle tensioni interne, i manifestanti hanno dovuto fronteggiare l’accusa ricorrente da parte del presidente Vučić e dei suoi alleati che le manifestazioni fossero manovrate da potenze straniere. Tale retorica, ripresa anche dai media governativi, è stata accolta con una certa irritazione dai manifestanti, che hanno risposto simbolicamente sventolando bandiere della Ferrari, un segno che ha radici nelle proteste contro Slobodan Milošević negli anni ‘90. La bandiera della scuderia di Maranello è diventata un simbolo di resistenza e protesta contro i governi autoritari, e la sua presenza nelle attuali manifestazioni rappresenta non solo la continuità di un movimento, ma anche una risposta ironica contro l’idea di un’influenza straniera.
Dal punto di vista geopolitico, queste manifestazioni non sono solo un segno di un malcontento interno, ma si collocano in un contesto più ampio, in cui la Serbia deve fare i conti con le sue alleanze internazionali. Se da un lato Vučić ha cercato di mantenere un delicato equilibrio tra l’Unione Europea e la Russia, dall’altro la crescente insoddisfazione interna potrebbe compromettere la sua posizione. La Serbia, infatti, è in un limbo geopolitico: desiderosa di integrarsi nell’UE, ma al contempo legata a Mosca per motivi storici, economici e politici. Le manifestazioni di marzo hanno messo in evidenza un dissenso che non è solo contro Vučić, ma anche contro la sua politica di navigazione tra l’Occidente e l’Est.
In sintesi, la protesta del 15 marzo non è stata solo una manifestazione di malcontento popolare, ma una vera e propria sfida al sistema politico serbo. Gli studenti, con il supporto della società civile, hanno messo in luce l’impotenza del governo nel gestire le istanze sociali e politiche, ma anche l’incapacità del regime di ascoltare le richieste legittime dei cittadini. In questo clima di crescente instabilità, il futuro della Serbia sembra sempre più incerto, mentre il governo serbo dovrà rispondere alle domande sollevate dai manifestanti, non solo riguardo la gestione della protesta, ma anche sulle reali intenzioni politiche di Vučić, che sembra più impegnato a mantenere il potere che a garantire una vera democrazia nel paese.