Oltrepassiamo, cauti e curiosi, la soglia del tempo attuale, ritrovandoci al cospetto di mini- cattedrali nucleari di quarta generazione, sconosciute ai profani, ma sacre agli iniziati. Nello splendore barocco di Palazzo Altieri il giorno 11 ottobre, anno del Signore 2023, si sta accendendo, in un afoso autunno romano, l’alba energetica di una nuova era. Per coincidenza assai curiosa, ad inaugurare l’avvento nucleare di quarta generazione è un evento giunto alla sua quarta edizione, l’Intelligence Week.
Qui si parrà la tua nobilitate!
L’evento, co-prodotto da Vento&Associati e Dune, assurge da laboratorio alchemico sperimentale ad Accademia delle tre transizioni: energetica, ecologica e dell’intelligence. Nel contempo lo scenario multilivello italiano, dove sotterranea alberga sempre la connessione di tutte le cose, evolve rapidamente nel trilemma e lo supera, per apprestarsi al salto atomico sub quarta specie. Così nella grande sala affrescata di Palazzo Altieri inizia ad aleggiare il verbo che trasmuta, la parola che non reca di sé più scoria alcuna, inizio e fine inscritte nella medesima sostanza.
La tecnologia della Trasmutazione, il cui nome stesso sembra uscito da un trattato ermetico di Paracelso o Fulcanelli, si presenta al pubblico post-rinascimentale, post-industriale e finanche post-umano come nuova frontiera, per la produzione di energia sicura. Nel segno del torio si compirà il processo di trasformazione della materia. Lectio nuclearis necessitata: “Rispetto all’uranio, il torio comporta infatti diversi vantaggi. Innanzitutto, è più abbondante, poiché è presente nella crosta terrestre in quantità di circa quattro volte superiori, stimate in circa 12 milioni di tonnellate. Inoltre, esso è un materiale fertile e pertanto interamente utilizzabile in reattori autofertilizzanti senza bisogno di arricchimento. Un reattore alimentato al torio produce poi una quantità minima di elementi radioattivi a vita lunga come plutonio, americio e curio. Questo fa sì che il combustibile esaurito, che rimane nel reattore, abbia una pericolosità di 1.000 volte inferiore a quella di un reattore all’uranio e che le scorie prodotte possano essere smaltite più facilmente”.
Anche a noi profani è dato dunque di capire come scorie altamente radioattive, provenienti dal pleistocene atomico, possano mutare in novello combustibile per nuove mini-centrali nucleari, ottenendo la classica coppia di piccioni via unica fava: smaltire i vecchi rifiuti radioattivi, cronicamente affetti da sindrome Nimby, estraendone al contempo energia pulita. Produzione di merci a mezzo di merci, direbbe l’economista; sì ma qui in versione alchemica a doppio legame, dove la materia inferiore, ma di superiore radiazione, si trasforma in materia più elevata ma ad emissione radioattiva inferiore. Sembra un rebus, o un sator-rotas ma è semplicemente pragmatismo energetico, in salsa tassonomica verde, con tanto di sigillo UE.
È anche, a ben vedere, scaturigine d’ingegno italico che sovente s’affina nell’era della scarsità e repentino s’adatta alla venuta del cigno nero, onde prosperare nel caos. Dicono, infatti, che a saper ben cercare, si trova sempre una storia meritevole di essere raccontata e certamente v’è né è più d’una nel corpo di un evento quale l’Intelligence Week, già di per sé costituitosi come dispositivo auto-narrante, macchina simbolica dove significato e significante si confondono e si fondono in una super-narrazione. L’evento intelligente si va facendo anche intelligibile, producendo visioni dal futuro e intuizioni nel presente. Futuro e presente che poi s’accavallano e s’alternano, senz’apparente soluzione di continuità. Qual è allora il tempo giusto del ritorno, il tempo fruttuoso per il concepimento dell’opus nuclearis?
Di fronte alla questione che ci interroga, rispondiamo con le parole utilizzate nell’opera “Miti, sogni e misteri” dallo storico delle religioni, Mircea Eliade: “L’operazione metallurgica, proprio come il lavoro agricolo – che implicava anche la fecondità della Terra Madre – ha finito col creare nell’uomo un sentimento di fiducia e anche di orgoglio: l’uomo si sente capace di collaborare all’opera della natura, si sente capace di aiutare i processi di nascita che si effettuano nel grembo della terra. L’uomo spinge e sollecita il ritmo di quelle lente maturazioni ctonie: in un certo senso si sostituisce al tempo”.