L’occidente sta vivendo da alcuni anni una fase di profonde e repentine
mutazioni sistemiche. Dalla alleanza tra trumpismo e capitalismo
politico ed High tech all’ascesa del fenomeno Meloni, fino ai tentativi
di ricomposizione del bipolarismo in Francia. Emerge chiaramente e
trasversalmente la necessità di un superamento della stagione
populista, riconvertendo la polarizzazione tra “élite” e
“popolo” in una rinnovata dialettica destra-sinistra.
Un paradigma di superamento delle spinte populiste che si presenta come
una lente efficace per interpretare il caso italiano e le mutazioni
dello scenario francese, e che è il vero centro del saggio
“Post-populisme. La Nouvelle vague qui va secouer l’Occident”
(Éditions des L’Observatoire) di Thibault Muzergues. Muzergues senior
advisor, Europe & Euro-Med dell’International Republican Institute,
studioso, saggista e già consigliere di figure di spicco del panorama
britannico e francese, nel suo saggio e nei suoi ultimi scritti ha
focalizzato al meglio i veri nodi dell’occidente alla ricerca di una
evoluzione post-populista.
-Nel suo ultimo saggio “Post-populisme. La Nouvelle vague qui va secouer
l’Occident” (Éditions des L’Observatoire) lei affronta l’evoluzione
delle leadership europee verso un superamento del populismo. Cosa
intende con questa formula e quali sono le tesi di fondo del suo testo?
Gli anni 2010 sono stati caratterizzati da una lunga crisi populista, la
più lunga che abbiamo sperimentato finora. Al cuore di questa crisi
c’è stata la sostituzione di un paradigma intellettuale (destra contro
sinistra) con un’altra divisione, che definiva l’intero campo politico
dell’epoca: popolo contro élite. In Italia, è questa divisione a
determinare l’ascesa e la caduta di Matteo Renzi, del Movimento Cinque
Stelle e di Matteo Salvini. Al contrario, ciò a cui stiamo assistendo
oggi è il ritorno della divisione destra-sinistra, guidata da figure
come Giorgia Meloni in Italia, i Democratici Svedesi e altri partiti che
stanno attualmente rivendicando – e quindi ridefinendo – questo
dibattito destra-sinistra. Così, i partiti precedentemente populisti e
di estrema destra si stanno moderando, mentre altri al centro (CDU in
Germania, PP in Spagna) si stanno spostando a destra. A sinistra, questo
movimento è in via di sviluppo, ma non è ancora chiaro che vuole dire
al livello ideologico: una sinistra più identitaria, più woke? O al
contrario una sinistra che abbandona una parte del consenso politico
alle posizione della destra (come per esempio sull’immigrazione, come
è il caso per la sinistra scandinava)?
-Come è cambiato lo scenario europeo che è emerso dalle ultime
elezioni statunitensi e quali chiavi interpretative può fornirci per
comprenderne i mutamenti?
Cominciamo con l’Europa: alle ultime elezioni europee si è assistito a
un’ascesa della destra, con l’emergere di tre grandi poli: la destra
“classica” del PPE (di cui fa parte Forza Italia), la destra
post-populista dell’ECR di Giorgia Meloni e una destra populista divisa
in due famiglie, da una parte i patrioti (Orbán, Le Pen, Salvini),
dall’altra i tedeschi dell’AfD, con un posizionamento ancora più
anti-sistema. Le elezioni americane sono state caratterizzate anche da
uno spostamento a destra dell’elettorato, poiché Donald Trump ha vinto
le elezioni per la prima volta ottenendo la maggioranza dei voti in
tutti gli Stati Uniti e non solo negli stati chiave. Una vittoria
ingannevole che sembra aver convinto il Presidente di avere il mandato
di cambiare radicalmente gli Stati Uniti, il che non è necessariamente
vero (anche se i repubblicani hanno effettivamente ottenuto il monopolio
delle istituzioni, che durerà almeno fino al 2026). Il risultato è una
sorta di controrivoluzione, una “Terreur blanche” che non sembra dare
molti frutti e si sta rivelando addirittura controproducente per
l’economia americana, almeno per quanto riguarda i dazi.
-Come valuta le evoluzioni del partito di Alice Weidel AfD diventato in
pochi anni il primo partito tra gli Ossis, i tedeschi dell’est? Specie
dopo la nota intervista con Elon Musk?
L’AfD si muove in contrasto con la maggior parte degli altri partiti
nazionalisti di destra europei: mentre molti stanno moderando il loro
linguaggio e rifinendo la loro immagine, l’AfD sta diventando più
radicale, e ancora di più dopo l’incoraggiamento di Musk. Ciò è
assolutamente controproducente per l’acquisizione del potere, ma
contribuisce anche a consolidare questo nucleo elettorale, in
particolare nella Germania dell’Est, che non ha ancora superato la
riunificazione. Ma la popolarità dell’AfD è anche il risultato delle
politiche centriste di Angela Merkel, tra cui l’idea che non ci fossero
alternative alle sue politiche (alternativlos), un’idea incarnata nelle
grandi coalizioni che hanno impedito qualsiasi innovazione nella vita
politica tedesca. Il risultato: l’innovazione è arrivata, ma non dove
avrebbe dovuto svilupparsi.
-Come vede le evoluzioni del trumpismo dal vaste programme verso nord al
sodalizio con il mondo dell’innovazione? Come è cambiato il presidente
dal suo primo mandato a oggi?
Trump ha aggiunto alla sua alleanza elettorale un’intera fetta della
Silicon Valley, più o meno di destra culturale, ma soprattutto
interessata a un mondo senza costrizioni, e che spesso aveva votato
democratico durante l’era Obama. Il matrimonio non è sempre felice (la
partenza di Musk è probabilmente già stata decisa), ma aggiunge una
dose di ottimismo a una visione del futuro che, finora, è stata molto
retrograda nella galassia del Partito Repubblicano. Resta da vedere cosa
farà questa nuova famiglia tecno-libertaria nel Partito Repubblicano:
consoliderà la sua posizione all’interno del partito o il suo sostegno
sarà passeggero? Quale sarà la sua reale influenza sulle politiche
pubbliche, dato che i primi 100 giorni sono stati guidati principalmente
(anche se non esclusivamente) dalle politiche MAGA, in gran parte
reazionarie? Tutte queste domande restano senza risposta perché la
Silicon Valley non è ben radicata a Washington e non ha le chiavi, le
reti o i think tank per avere una visione a lungo termine della
governance generale degli Stati Uniti (ma ha i mezzi per farlo).
-Tra l’ascesa di Bruno Retailleau come nuovo presidente di Les
Republicains e la linea pro sicurezza di Bayrou oggi come vede lo
scenario del centro destra francese conteso tra l’ascesa di Marion
Marechal e le incognite portate dal processo a Marine Le Pen?
Le carte sono state notevolmente rimescolate con la condanna di Marine
Le Pen, che apre la strada alle prime elezioni presidenziali dal 1974
(cioè, più di 50 anni) senza un membro della famiglia Le Pen candidato
(bisognerà comunque attendere l’esito di un ricorso che dovrebbe essere
pronunciato la prossima estate). Nel frattempo, c’è molto movimento e
molta incertezza: a sinistra, Mélenchon è in difficoltà ma ha un
solido equilibrio elettorale nel voto musulmano di cui trarrà pieno
vantaggio al momento delle elezioni. Nel blocco RN l’incertezza sulla
candidatura è un grosso problema, che indebolisce anche il tandem Le
Pen-Bardella: quest’ultimo sarà all’altezza della sfida? Vorrà volare
da solo? Infine, anche il blocco governativo “centrale” è
nell’incertezza: Emmanuel Macron non può ricandidarsi e sono numerosi i
contendenti, sia al centro (Gabriel Attal, Edouard Philippe) che a
destra, dove il partito repubblicano potrebbe trarre vantaggio da questa
incertezza sotto la guida di Bruno Retailleau.
-Come evolveranno i rapporti tra gli europei e gli USA in una cornice
segnata da dazi, attriti e nuove bussole strategiche? E che ruolo potrà
svolgere in questo ambito Meloni?
Negli ultimi mesi la fiducia tra gli Europei e gli Stati Uniti è stata
infranta, in seguito al dietrofront sull’Ucraina, alla guerra dei dazi e
alla retorica chiaramente antieuropea dei massimi dirigenti
dell’amministrazione statunitense (in primis il presidente Trump e il
vicepresidente Vance). Anche se non si può parlare in questa fase di
rottura dell’alleanza (una cosa che persone come Marco Rubio vogliono
chiaramente evitare), è evidente che tra Europa e America c’è una
crisi nei rapporti, e questo rende più fragile la posizione di Giorgia
Meloni a livello europeo, soprattutto da quando Francia, Germania e
Polonia si sono unite nelle ultime settimane su una posizione comune,
trascinando con sé anche il Regno Unito. Ciò lascia il Presidente del
Consiglio in una posizione isolata al livello continentale. Ancora più
perche Trump sembra ascoltare più Emmanuel Macron o Keir Starmer
(sull’Ucraina) che la posizione italiana – anche perché quella è
meno chiara di quella francese o inglese. Tuttavia, le circostanze
potrebbero cambiare, ma oggi è chiaro che l’Italia si trova in una
posizione molto più difensiva rispetto a qualche mese fa.
-Pensa potrà ora Meloni rappresentare un riferimento per le destre
europee e guidare una svolta post populista?
Si tratta chiaramente di una nuova proposta ideologica, una sorta di
sintesi tra le ideologie di cambiamento radicale avanzate dai populisti
nell’ultimo decennio e la necessaria salvaguardia delle istituzioni e
della nostra cultura democratica, minacciate da ogni parte. Ma come
tutti i politici italiani, Meloni resta vincolata dalla situazione
interna del Paese: anche se oggi è forte, la sua coalizione resta
fragile, e deve vigilare costantemente. Ciò la porta a un’eccessiva
cautela, che le impedisce di tracciare una vera visione per la destra e
per l’Europa, mentre un Emmanuel Macron, un Viktor Orbán o un Friedrich
Merz hanno molto più spazio per presentare il loro progetto. Meloni ha
avuto delle occasioni per fare dei discorsi forti sul futuro
dell’Europa e della destra, come le hanno fatto gli altri leader, e
non li ha sfruttati – forse per eccesso di prudenza, sapendo che, come
lo diceva il Cardinal de Retz, “sfuggiamo all’ambiguità solo a nostre
spese”.
-Si fa tanto un parlare della cosiddetta “Tecnodestra” che ne pensa?
Bolla mediatica o possibile percorso di evoluzione?
L’idea non mi sembra totalmente nuova, e per certi aspetti fanno eco
alle teorie esplorate da Giuliano da Empoli con gli ingegneri del caos
(è vero però che Dominic Cummings non aveva la statura di un Elon
Musk…). Credo che tra gli imprenditori attenti all’innovazione questa
prospettiva populista, alimentata dalle nuove tecnologie, sia una
costante da almeno 20 anni e non sono sicuro che questa nuova tendenza
possa davvero soppiantare una visione di destra più tradizionale nel
lungo termine. Ma è vero che è una tendenza di lungo-termine nel
paesaggio politico della destra mondiale.
-Oggi Trump vuole rifondare i parametri del patto euro-americano o vuole
incarnare quello spirito di rivincita verso l’Europa favorendo la
disarticolazione della UE?
Nel suo entourage le due tendenze si scontrano. È chiaro che una parte
dell’amministrazione americana odia l’Unione Europea perché rappresenta
tutto ciò che essa aborrisce (stato sociale, autorità al di sopra
delle nazioni, liberalismo, ecc.). Sarebbero molto felici di potersene
liberare, anche perché tende a regolamentare il comportamento delle
loro aziende. Ma ci sono anche attori pronti a negoziare e che
accetterebbero di ricostruire una nuova relazione transatlantica. Il
problema è che sono ancora intrappolati in un profondo equivoco: quando
vogliono che gli europei paghino di più per la loro difesa, in realtà
pensano che dovrebbero pagare di più per sostenere l’industria della
difesa americana, in modo che possa diventare più efficiente. È
assolutamente essenziale chiarire questi malintesi il più rapidamente
possibile.
-Crede che oltre ad uno scenario post populista assistiamo ad un mondo
“post-conservatore” dove ai valori tradizionali del conservatorismo si
sostituisce una sintesi tra individualismo libertariano, reazionarismo e
postumano?
Non credo proprio. I primi 100 giorni dell’amministrazione Trump non si
preannunciano come un successo su tutti i fronti: nonostante un forte
attivismo, nulla è stato risolto e la guerra continua in Medio Oriente
e in Ucraina, mentre il dinamismo economico americano è minacciato come
mai prima dalla politica tariffaria di Trump. Naturalmente, esistono
alternative al conservatorismo classico a destra, ma non sono sicuro che
emergeranno più forti dall’inizio dell’era Trump 2.0.