Negli ultimi anni, si occupò della tenuta austera, “Il Dosso”, a Cardina, sul lago di Como. Se l’era fatta costruire dall’amico Luigi Conconi, dandy pure lui, una piroetta nell’assenzio, negli anni ondivaghi della Scapigliatura. Gli ordinò di ispirarsi ai quadri di Arnold Böcklin: la dimora, piuttosto, emerge dal bosco come un racconto di Edgar Allan Poe. Passò gli ultimi anni scavando: aveva vezzi da archeologo e aveva raccolto, dalla Colombia alla Grecia, una notevole collezione di monili antichi. Morì sessantenne, il 17 novembre del 1910, Alberto Carlo Felice Pisani Dossi; era nato a Zenevredo, nel marzo del 1849, in provincia di Pavia, “settimino, da madre in fuga, senza levatrice, fra gli ultimi echi delle cannonate infauste della battaglia di Novara”, ricordava. “Solo mi resta quel tanto d’ingegno per accorgermi che non ne ho più”, scrive, inacidito nell’ironia nera, nell’ultima delle sue Note azzurre, diario spavaldo, aggressivo, un assalto verbale, uno dei libri mitici e remoti della letteratura italiana, “Lazzaretto dove il D. tiene in quarantena i propri e i pensieri altrui”, diceva lui, macello di pensieri e di anti-pensieri di un intelletto contraddittorio, abile “nel pensiero contrario” e nella “proposizione rovesciata”.
Carlo Dossi è l’aceto nella scrittura italica, troppo spesso insapore, il calice di cognac: uno che non s’inasprì per la fama, ma che foraggiò il ghepardo del genio con sottigliezze e cattiverie. Neppure ventenne fondò con un paio di amici “La Palestra Letteraria”, per “offrire alla gioventù che ama muovere i primi passi nella letteratura, un campo vergine, esclusivo ad essa, dove provare le proprie forze”. Voleva smobilitare le appestate aule della letteratura, manzonidipendente; tentò di riformare la grammatica. Fu l’eroe delle “due-vìrgole” (“con tal nuova pàusa si verrebbe a indicare un distacco tra l’una e l’altra proposizione, minore di quello della vìrgola accoppiata al punto, maggiore della sèmplice vìrgola, e ciò servirebbe principalmente per allacciare, senza fònderle, le frasi incidentali sia verso l’antecedente, sia verso la susseguente”), per estro e per gusto del ritmo. Azzardò la punteggiatura spagnola nella frase italica (es. “¿Mi amerài? – ¡Vatti a far frìggere!”); scrisse libri precoci, superbi, d’insindacabile talento (L’atrieri; Vita di Alberto Pisani; La desinenza in A), idolatrati da Carlo Emilio Gadda e da Alberto Arbasino, nipotini spericolati del Dossi. Quest’ultimo, AA, architetto di ninnoli letterari, lo dichiarò “il gin & tonic della letteratura italiana”. L’ultimo romanzo (diciamolo così, ma tutto in Dossi è ‘anti-’, è fuori dai generi, fuoriclasse), edito dai Fratelli Dumolard nel 1887, è un esercizio neoplatonico, liberty. S’intitola Amori; “Ho molto amato, vero?, fors’anche, in amore, ipotecai l’avvenire, ti pare?”, scrive il Dossi innamorato, giunto al “Settimo cielo” del suo libro.
Il comunismo e il socialismo vanno posti fra gli errori del tempo presente. Il primo, a fortuna, è inattuabile. Esso esige una perfetta e continua eguaglianza. Or come ottenere quella dell’ingegno? L’altro purtroppo è in pieno vigore. I Governi ne sono la massima prova – i quali tendono sostituire alla spinta dell’individuale interesse, un interesse comune, cui nessuno partecipa
Carlo Dossi
Nelle fotografie da ragazzo, capelli folti, aperti, labbra in carne, viso che pare un’accetta, occhi sottili, è schifiltoso, ha l’aristocratica avventatezza di un Peter Pan costretto all’umido umano, distillato d’ego fatato in un ginepraio di bipedi. Doveva essere antipatico, Carlo Dossi, pare uno a cui nulla è precluso e che sceglie di obliterarsi: sembra saper volare. Approdato al Ministero degli Esteri nel 1872, dopo un tira-e-molla – per un po’, preferì la foga milanese – tornò a Roma, in vista di una carriera folgorante. Era il prediletto di Francesco Crispi, di cui guidò la segreteria. Soprattutto, diede avvio a una riforma del Ministero, ricostruendo, con piglio da letterato, il “Bollettino del Ministero degli Affari esteri” e l’“Annuario diplomatico”. Con la caduta di Crispi, Dossi va in disgrazia: nel 1892 è inviato, in una sorta di esilio, a Bogotà, come console generale; prima di partire impalma Carlotta Borsani, bella&ricca, che gli darà tre figli. Nel 1895 ottiene di essere inviato ad Atene come ambasciatore, “pochi mesi dopo, ai primi di agosto, gli accade di fare gli onori di casa al D’Annunzio e ai suoi compagni di navigazione nelle acque greche” (Dante Isella): resterà poco nel lampo greco, dal 1901 si congeda dall’attività politica, latitante ai noti, in una sorta di alta reclusione.
Note azzurre, naturalmente, non può che essere un libro postumo – pubblico, in parte, nel 1912 –, preparato per chi verrà, un congegno di stile, come d’un felino che si aggiri, sinuoso, tra i ruderi di una civiltà defunta. Libro irritato e speciale, estemporaneo, indipendente, aggressivo, incredulo, imbizzarrito, bizzarro, ha la sonora bellezza di una mente implacabile. Andrebbe messo sul banco dei parlamentari, lettura d’obbligo – per spirito e protervia del pensiero – alle scuole. Sapessimo ancora leggere. Ecco, intanto, impiattata una antologia spiccia. Diceva, il Dossi, di essere affetto “da itterizia morale”. Non perdonatelo. Vi sfida a duello.
Amare. “Nessuno mi ama? Ebbene, io mi vendico amando tutti”.
Amore. “È un amore indegno di te, mi diceva Perelli a proposito di Ester. Sarà benissimo, rispondevo. Sarà fuoco di gelso anziché di legna di rovere; ma ciò non diminuisce il bruciore. La mia vita è tutta pazzie. Ma muta, mi si suggerisce. Se muto, rispondo, sembrerò pazzo. E così, per non lo parere, seguito ad esserlo. Il mio discorso è tutto cancellature”.
Autoritratto. “Il nome del villaggio dove nacqui, tra i colli dell’Oltrepò pavese, predisse il mio carattere: “Zenevredo” ossia Ginepreto – odoroso ed ispido”.
Bambini. “Ha bimbi? No – salvo il marito”.
Bestia. “Il cane è la bestia, che io, dopo la donna, preferisco”.
Burocrazia. “Scopo della burocrazia è di condurre gli affari dello Stato nella peggior possibile maniera e nel più lungo tempo possibile”.
Cancellare. “L’arte di un autore sta nel cancellare”.
Comunismo. “Il comunismo e il socialismo vanno posti fra gli errori del tempo presente. Il primo, a fortuna, è inattuabile. Esso esige una perfetta e continua eguaglianza. Or come ottenere quella dell’ingegno? L’altro purtroppo è in pieno vigore. I Governi ne sono la massima prova – i quali tendono sostituire alla spinta dell’individuale interesse, un interesse comune, cui nessuno partecipa”.
Conservatori. “Un governo, perché sussista, non può essere, almeno nella grandissima parte de’ suoi atti, che conservatore. Volerlo senza fine progressivo anzi rivoluzionario è un sogno. Distruggerebbe se stesso. Qualunque governo che esista rappresenta infatti il progresso o la rivoluzione ad esso anteriori, iniziate e condotte dagli uomini e dai discendenti degli uomini che lo compongono, i quali sono quindi interessati, una volta raggiunto il loro scopo, a mantenerlo. Progresso e Governo sono due termini contraddittori, il primo è moto, l’altro è stato”.
Critica. “La vera critica è un vento che se spegne le candele, ingagliardisce i falò. E il mio ingegno è un falò”.
Deserto. “Un modo umanitario di utilizzare il deserto di Sahara sarebbe quello di adoperarlo come il terreno dove soltanto si avessero a definire i duelli fra le nazioni. Rimarrebbero così illese le terre innocenti, e la sabbia ingrassata dalle umane carogne diventerebbe fruttifera”.
Dizionari. “I dizionari vanno continuamente corretti come le carte geografiche”.
Eruditi. “Il mondo passa di gergo in gergo; scolastica ecc… La ciurmeria erudita”.
Leopardi. “Il vezzo dei poeti è di starsi in arretrato un buon mezzo secolo dai loro tempi: parlo dei mediocri poeti come Aleardi e Leopardi…Né ci si dica che Leopardi fece dell’Ironia. L’Ironia è il sommo dell’Arte – e Leopardi non era da tanto. Leopardi credette far dello spirito e ci riuscì svelto ed elegante come un elefante che balli”.
Letteratura. “Quale val meglio, una letteratura utile a questa vita, oppure una che, trasportandoci fantasticamente in altra, ci faccia dimenticare questa?”.
Manzoni. “Manzoni corrisponderebbe a Mozart – Rossini a Rovani – Verdi a Dossi”.
Matrimonio. “Al matrimoniale diritto bisognerebbe conservare sempre el fogn dell’amor. Io per es. non dormirei abitualmente con mia moglie. Il primo peto basta a ingiallire e sfiorire la rosa della poesia – e senza poesia l’amore finisce presto”.
Morale. “In ogni cosa, a me fu sempre più facile l’astenermi che il moderarmi”.
Notte. “Non so pensar che di notte. la luce torna il bujo al mio animo. Di giorno non mi sta desto che il sonno”.
Pensare. “Il pensiero è Dio, perché lo comprende. Dio pensa a noi, quando noi lo pensiamo –”.
Scrittori. “Spesso gli scrittori ignoranti scrivono molto più spigliatamente, e quindi simpaticamente dei dotti. Cammina infatti più svelto chi ha sulle spalle minor bagaglio”.
Scuola. “Fra gli avvilimenti di un giovane d’ingegno, massimo è quello di andare a scuola e di subire gli esami”.
Socialismo. “Il socialismo ha finalmente trionfato. Tutti i seggi parlamentari sono occupati da socialisti salvo una infinitesimale minoranza. L’individualità umana ha cessato di esistere. I Re hanno rinunciato alle loro corone. Si è proclamato la costituente socialistica e si discutono gli articoli del nuovo Statuto. Stabilita, consacrata l’assoluta e perfetta eguaglianza tra gli uomini, tutti gli articoli di questo Statuto mirano a combattere il riprodursi di qualsiasi individualità ed eccezione… Appena qualcuno nasca con qualche virtù questi è sequestrato dal resto dei cittadini, è nutrito a spese dello stato, ma deve dar tutto allo stato. Il genio sarà obbligato a pensare, a far scoperte per il bene di tutti, non potrà farsi un patrimonio a sé e neppure una famiglia”.
Studi. “Qualcuno si lamenta che molti artistici geni non abbian potuto studiare. Fu una fortuna. Guai se di tempo in tempo non sorgesse qualche artista come lo Shakespeare, dall’anima affatto fresca – affatto libera dagli impedimenti della scuola”.
Teologia (e morale). “La teologia fece spesso gli atei, e gli eretici. I libri di morale insegnano a fare quello che si è sempre fatto, senz’essi”.