Tempi omerici quelli in cui era il firmamento a costituire la mappa delle vie percorribili sul mare, dove la strada degli antichi era illuminata dalle stelle. Oggi la poesia è andata perduta. La meridiana di cui lo studioso si serve per orientarsi nel disordine internazionale coevo è la geopolitica. Essa, per sua natura, apre un confronto diretto con la disciplina di cui è presumibilmente prole ribelle, la storia. Questa disputa porta con sé diverse domande. Può la geopolitica essere considerata una branca della storia? Oppure si tratta di una disciplina autonoma, autosufficiente, con uno statuto epistemologico a sé? Per riuscire a rispondere a queste domande occorre, almeno a livello preventivo, trattare le categorie di «storia» e «geopolitica» come discipline autonome, affinché esse possano essere sottoposte ad una analisi di carattere comparatistico. Siffatta comparazione può dipanarsi su tre piani ben definiti:
Genealogico. Comparare la storia della storiografia con la storia della geopolitica: in quale periodo storico sono nate queste discipline? Quali esigenze storiche hanno indotto l’uomo a pensarle come strumenti utili per meglio comprendere la realtà? Come esse si sono raffinate nel corso del tempo?
Metodologico. Quali tecniche definiscono e distinguono sul piano operativo la ricerca storica dall’analisi geopolitica? Quali altre le accomunano?
Epistemologico. Per quali motivi la storia nel corso del tempo è stata riconosciuta come disciplina autonoma? Dal canto suo, la geopolitica può essere considerata una disciplina che si sostiene grazie alle sue sole forze, o deve essere ancorata ad un’altra disciplina per avere ragion d’essere?
Attualmente non è stato ancora condotto uno studio di comparazione sistematico fra la storiografia e la geopolitica, al fine di comprendere, gnoseologicamente, cosa quest’ultima sia. Non solo. La storia della storiografia non ha bisogno di spiegazioni, essa, nel corso del tempo, è stata largamente studiata e, pertanto, al massimo, potrà domandare quelle rettifiche che emergeranno dai nuovi scavi archivistici; diversamente, una storia della geopolitica è stata appena accennata, la definizione dei suoi strumenti di analisi è ancora in fieri e solo uno sparuto numero di opere teoriche sono state scritte in merito. Ma procediamo con ordine, approfondendo le prospettive di analisi summenzionate.
Il frutto non cade mai lontano dall’albero: la genealogia.
Per quanto riguarda la storia della storiografia, è necessaria una sua menzione cursoria. Essa, almeno negli ultimi cento anni è stata ampiamente studiata e trattata da storici illustri, da Benedetto Croce a Giuseppe Galasso. Pertanto, i momenti chiave in cui la storia e la storiografia si definirono, – durante il Rinascimento o nel secolo della Riforma -, così come le gesta dei suoi esponenti più illustri – Lorenzo Valla e Machiavelli, Vico e Muratori – sono noti, studiati e parte di un patrimonio di conoscenze riconosciute dalla comunità scientifica. Al contrario, studiare la storia della geopolitica, in quanto disciplina giovane, presenta un maggiore grado di difficoltà. In primo luogo, si hanno a disposizione un numero di opere e pubblicazioni teoriche indiscutibilmente inferiore rispetto a quelle sulla storiografia. In secondo luogo, si deve riconoscere e prendere in considerazione il fatto che la geopolitica ha avuto due nascite, quindi due storie, la prima verso la fine del XIX secolo e la seconda verso la fine del XX. Entrambe meritano di essere brevemente spiegate. La prima fioritura della geopolitica, che alcuni studiosi definiscono «classica», si dipana dalla fine dell’Ottocento agli anni Trenta del XX secolo, e i suoi elementi di analisi particolare la distinguono in almeno tre sottoinsiemi.
1) Una geopolitica «nazionalista», votata a giustificare le annessioni territoriali e la grandezza di una nazione con motivi di carattere etnico e linguistico. Ne sono un esempio «La France de l’est» di Paul Vidal de la Blache, scritta per riconoscere alla Francia la legittimità all’annessione dell’Alsazia-Lorena, o il concetto pangermanico di «unificazione delle deutshtom» teorizzato da Karl Haushofer.
2) Una geopolitica «federalista», indirizzata a elaborare i presupposti teorici necessari a favorire una agglomerazione del mondo in macroregioni. Di questa corrente sono esponenti Rudolf Kjellén e Richard di Coudenhove-Kalergi.
3) Una geopolitica «pragmatica» legata ai concetti di landpower e seapower. Si tratta, non a caso, di concetti nati da pensatori – rispettivamente il britannico Halford Mackinder e lo statunitense Alfred Mahan – provenienti dai due stati che si sono passati lo scettro di egemone dell’ordine mondiale.
Tutte queste correnti afferiscono alla geopolitica «classica» non solamente per questioni anagrafiche, ma pure perché condividono un postulato teorico chiave: il primato nell’analisi della geografia, vista come il punto immodificabile dal quale dovevano prendere il via le tesi. In proposito Nicholas Spykman dichiara: “Dato che le caratteristiche geografiche degli Stati sono relativamente costanti e immodificabili, le esigenze geografiche di questi Stati rimarranno le stesse per secoli”, e aggiunge: “la Geografia non si discute. Semplicemente è.” Dopo una fase di sostanziale assenza, la geopolitica rinasce – almeno per quanto riguarda l’Italia – agli inizi degli anni Novanta. In quel momento il mondo bipolare, strutturalmente ordinato nelle rigidità del confronto Est-Ovest e sostanzialmente prevedibile, deflagra, inaugurando una stagione di disordine, tuttora in corso, delle relazioni internazionali. È qui che la geopolitica torna a bussare alle coscienze di studiosi e giornalisti: con i suoi poliedrici strumenti di analisi, ha l’ambizione di semplificare il nuovo corso della politica multipolare per renderla maggiormente comprensibile e definibile; allo stesso modo essa accetta la geografia come elemento di continuità con la geopolitica «classica», ma livellandone il primato originario. Le permanenze e le rigidità imposte dalla geografia sono considerate un elemento necessario ma accessorio, ad una corretta ed esaustiva analisi delle relazioni fra stati. Oggi, la geografia, viene considerata una componente che opera in coro con altre. Queste possono essere l’economia, la demografia, la psicologia sociale, la forza militare, lo stato delle infrastrutture, le tradizioni storiche o le ideologie che definiscono il carattere di uno stato o di uno spazio politico più vasto.
Homo faber ipsius fortunae: la metodologia
Sembra che le maggiori difficoltà emergano quando le due materie vengono sottoposte al vaglio metodologico. Lo storico cerca di comprendere il passato interpretandolo a partire da fonti d’archivio: i documenti sono la memoria del passato e sono pertanto imprescindibili ai fini di una corretta ricostruzione degli eventi che si desiderano approfondire. Lo storico, pertanto, interroga la fonte affinché questa chiarisca una vicenda i cui protagonisti sono scomparsi da secoli. Diversamente, l’analista geopolitico cerca di prevedere il futuro a fronte di una corretta interpretazione del presente. Le sue fonti sono per loro natura eterogenee, perfettamente in linea con l’inesauribile produzione di informazioni che la rete mette oggi a sua disposizione. Inoltre, una abilità che allo studioso di geopolitica non può mancare è la conoscenza di più lingue. Il metodo comparatistico dell’analista prende le mosse dall’assunto che un attore delle relazioni internazionali dia una narrazione di sé e della sua azione politica all’estero in modi sottilmente diversi da come esso si racconti in patria. D’altra parte, un’attenta lettura degli articoli proposti dalle riviste di geopolitica che attualmente sono pubblicate in Italia, può rivelare la penuria di analisi veramente lungimiranti e predittive, in grado di sostenersi alla prova del tempo; al contrario, si ritrovano perlopiù articoli che assomigliano ad una raccolta aneddotica di fatti, utili e curiosi per l’immediato presente, ma con una data di scadenza a brevissimo termine. Probabilmente questo non è il frutto del caso ma del metodo di lavoro proprio dell’analista. Il fatto che egli faccia largo uso di interviste o articoli di stretta attualità, e che quindi lavori sulla contingenza, amplifica molto la sua miopia sul fatto studiato (es. la guerra in Ucraina), il quale, per essere correttamente compreso, richiederebbe di essere interpretato post factum. Al contrario, la ricerca storica, quando è ben fatta, produce monografie con una interpretazione del passato tendenzialmente corretta e fruibile a distanza di anni (salvo ovviamente novità potenzialmente rinvenibili in nuovi scavi archivistici).
Ecco che qui si apre il paradosso della geopolitica…
a) Se escludiamo le analisi lungimiranti e teoricamente solide, si potrebbe affermare che i metodi operativi della geopolitica sono degli apparati formidabili per la raccolta di fatti, più o meno determinanti, di un evento della contemporaneità che solo in futuro sarà riconosciuto come storico. Poiché la geopolitica ha fretta di descrivere dinamiche ancora in fieri, essa potrebbe essere accostata alla pratica antiquaria così come viene descritta da Arnaldo Momigliano in «Storia antica e antiquaria» (1950) ma per un fine rovesciato rispetto alla pratica originale.
Se fino al XIX secolo gli antiquari ricercavano in scavi archeologici o in biblioteche oggetti come medaglie, incisioni su statue antiche e cammei ai fini di un esercizio prettamente classificatorio, allo stesso modo, ma per un obiettivo diverso, l’analista di geopolitica, oggi, raccoglie nel presente aneddoti, interviste e statistiche, su di un evento ancora in corso di svolgimento, ma che solo di fronte alla prova del tempo potranno essere riconosciuti come determinanti (o meno) alla conclusione – e comprensione – di quell’evento di cui, peraltro, ancora non conosciamo l’esito. Così per l’attuale conflitto in Ucraina possediamo articoli su: il numero di milizie e mercenari inviati da Mosca; l’attentato al ponte di Kerch; la fornitura a Kiev dei missili Himars da parte statunitense; un’analisi sulla combinazione fra controllo da parte russa delle centrali elettriche ucraine e arrivo dell’inverno come strumento di pressione. Ma quali di questi elementi saranno determinanti per la risoluzione del conflitto? Ad oggi non è dato sapere. Quel che resta – e non è poco – è la funzione della geopolitica come deposito della memoria evenemenziale. Essa, raccogliendo tutte le informazioni e gli aneddoti che si sono manifestati e si manifesteranno in quel contesto, offrirà agli storici del futuro – che ricostruiranno quella vicenda – anche quelle informazioni che il filtro della memoria avrebbe eliminato in quanto – apparentemente – poco determinanti per una summa del conflitto. Lungi dall’essere inutili, articoli molto mirati e mappe che quotidianamente monitorano lo stato di avanzamento degli eserciti sul campo, ricoprono la funzione di memento storiografico.
b) Pertanto, se da una parte la geopolitica riprende, più o meno consciamente, quella pratica classificatoria della ricerca antiquaria che la storia ha espulso dalla storiografia, dall’altra pare che la geopolitica, studiando la più stretta attualità delle dinamiche di politica internazionale, si avvicini moltissimo al nucleo primigenio degli studi storici. Essa sembra connettersi con un filo diretto al pensiero dei primi storici greci. Così sostiene Momigliano:
Ha più importanza il fatto che verso la fine del secolo V a.C. si tendeva a porre in due compartimenti separati la storia politica e la ricerca erudita del passato. Tucidide scrisse un tipo di storia che riguardava eventi del passato recentissimo più che le tradizioni del passato lontano o di nazioni lontane, s’interessava più della condotta individuale o collettiva che delle istituzioni religiose o politiche, e voleva servire al politico piuttosto che allo studioso. […] La storia era principalmente storia politica: ciò che ne restava fuori era la sfera della curiosità erudita, che gli antiquari potevano facilmente prendere in consegna ed esplorare sistematicamente.
A. Momigliano, Sui fondamenti della storia antica, Einaudi, Torino 1984, pp. 6-7
Il fatto che eminenti storici della Grecia classica guardassero al «passato recentissimo», considerassero «storia» gli eventi della diplomazia e le guerre, interessandosi pertanto alla storia politica, avvicina, contrariamente a quanto si potrebbe evincere dal punto precedente, l’analisi geopolitica al concetto di storia come declinato alle origini. Difatti Momigliano, parlando del posto che la storiografia antica si riserva in quella moderna, scrive:
Il nostro scopo è di render conto, se possibile, del paradosso per cui la storiografia classica non perse credito né venne considerata inutile quando gli scopi dello scrivere storia cambiarono […]. La guerra e la diplomazia sembravano richiedere uno sfondo classico. Non dovremmo mai cessare di meravigliarci del fatto che, con tutti i cambiamenti avvenuti nelle tecniche militari e nelle pratiche diplomatiche, le battaglie e le relazioni internazionali venissero ancora descritte, nel secolo XIX, secondo i modelli classici. Laddove i contenuti ponevano esigenze assolutamente diverse, l’erudizione manteneva la continuità.
A. Momigliano, Fondamenti, cit., pp. 57-8
La comparazione presenta ulteriori sinonimie, ed è interessante osservare come l’analisi del presente fatta dalla geopolitica si avvicini al senso con il quale Erodoto utilizzò la parola autopsìa – letteralmente «vedere con i propri occhi» -, per narrare la Storie del mondo del suo tempo. Così è significativo anche l’uso che Erodoto fa della parola autòptico ossia «fondato sulla testimonianza oculare». A questo proposito, si potrebbe citare ancora Momigliano:
Una metodologia storica per l’antichità è essenzialmente una discussione sul modo corretto di interpretare le fonti pervenuteci dall’antichità stessa […]. Nello scrivere di storia contemporanea, cioè del più recente passato, la situazione è diversa perché si aggiunge un’altra fonte di conoscenza: la diretta esperienza personale, l’esserci stato. […] Se lo storico del mondo antico per definizione non ha mai partecipato di persona agli eventi che narra, si vale tuttavia di testimonianze di persone che vi parteciparono. Anzi per certi storici greci di prima grandezza, come Tucidide e Polibio, la conoscenza diretta acquistata con l’essere presente o interrogare persone che erano state presenti a un evento (la cosiddetta autopsìa) era la migliore fonte di informazione: perciò le loro storie erano prevalentemente storie contemporanee.
A. Momigliano, Fondamenti, cit., p. 478
Non è forse un caso se il geografo Yves Lacoste, quando fondò la sua rivista di geopolitica, le attribuì il nome Hérodote.
Ogni problema di conoscenza, è un problema filosofico: l’epistemologia
Lungo è stato il percorso che ha permesso alla storia di emanciparsi dal ruolo ancillare che le veniva attribuito nei confronti delle discipline letterarie. La sua genealogia parla chiaro, ed è descritta in ogni manuale di storia della storiografia. Come capire se la corona dell’autonomia epistemica sia assegnabile anche alla geopolitica? Al contrario, come dimostrare che essa non sia altro che una branca della madre storia? Il problema dell’autonomia disciplinare ed epistemologica della geopolitica è anche un problema teoretico, e quindi filosofico. La risoluzione di questo problema non è semplice, tuttavia è importante per lo studioso rendersi conto che nell’affrontare questa disputa egli non parte disarmato. Egli deve riconoscere che sono a sua disposizione, per l’interpretazione della storia, una «archeologia di saperi» assolutamente non inerti e anzi utilizzabili quando la situazione lo renda necessario. La geopolitica, quasi fosse una sostanza chimica, può essere saggiata con alcuni reagenti al fine di dimostrare (o smentire) l’esistenza di analogie con gli stessi. Per reagenti si intendono quelle correnti di pensiero che gli eruditi hanno distillato nel corso del tempo per interpretare e dare un senso al passato. Fra essi – il materialismo storico, lo storicismo gramsciano e crociano – quello più utile per tentare di sciogliere la matassa sull’autonomia epistemica della geopolitica è senz’altro l’approccio utilizzato dagli storici afferenti alla Scuola francese degli «Annales d’histoire économique et sociale». Febvre, Braudel e Le Goff proposero una interpretazione polifonica della storia, la quale ammette l’influenza e la collaborazione di altre discipline, come la geografia, la statistica, la demografia o l’antropologia. L’analista geopolitico, per stendere i suoi articoli o preparare conferenze, si avvale, come descritto in precedenza, e allo stesso modo dei francesi, degli strumenti analitici propri di molte scienze sociali. D’altra parte, i frutti più maturi del pensiero geopolitico, ossia le analisi più strutturate e predittive, utilizzando categorie interpretative ormai canoniche – almeno nella geopolitica italiana – come il concetto di fattore umano, il binomio tattica/strategia o la declinazione della categoria di Impero, disconoscono l’appartenenza alla classe degli «aneddoti» più sopra menzionanti. Esse sono mutuate dal concetto – sempre coniato dalla scuola degli Annales – di Longue durée, definibile come struttura della storia. A questo proposito Fernand Braudel scrive:
Per noi storici, una struttura è senza dubbio connessione, architettura, ma più ancora realtà che il tempo stenta a logorare e che porta con sé molto a lungo. Talune strutture, vivendo a lungo, diventano elementi stabili per un’infinità di generazioni: esse ingombrano la storia, ne impacciano, e quindi ne determinano il corso. […]; tutte sono al tempo stesso dei sostegni e degli ostacoli. Come ostacoli, esse si caratterizzano come dei limiti, […], dei quali l’uomo e le sue esperienze non possono in alcun modo liberarsi. Si pensi alla difficoltà di spezzare certi quadri geografici, certe realtà biologiche, certi limiti della produttività, ovvero questa o quella costrizione spirituale: anche i quadri mentali sono delle prigioni di lunga durata.
F. Braudel, Historie et sciences sociale, la longue durée, «Annales ESC», ottobre-dicembre 1958, pp. 725-53, ora in F. Braudel, Scritti sulla storia, Bompiani, Milano 2016, pp. 44-5
Se il fattore umano in geopolitica spiega i comportamenti e le convinzioni mediane di una società, esamina il suo modello culturale e indaga le rappresentazioni geopolitiche che essa sogna; se la principale peculiarità del concetto di strategia è quella di essere insita nel DNA di un soggetto statale, tanto che il suo disconoscimento è preludio al collasso; allora le parole di Braudel – storico – non sono così lontane dal definire anche l’arte della geopolitica.
Storia evenemenziale e storia strutturale. Raccolta aneddotica di fatti e inossidabili categorie interpretative. Se molte analisi geopolitiche peccano di lungimiranza e tendono a invecchiare precocemente, queste si renderanno, quasi fosse una forma di risarcimento, utili per lo storico del futuro; se, al contrario, le analisi utilizzano le giuste chiavi interpretative, si sposeranno con la storiografia, divenendo impermeabili all’agente del tempo. È veramente la dicotomia a governare l’analisi geopolitica?