OGGETTO: Quel presente che è già passato
DATA: 19 Febbraio 2022
SEZIONE: Politica
FORMATO: Letture
AREA: Italia
Trent’anni dopo la fine della Prima Repubblica, l'Italia non è poi così tanto diversa. Un saggio storico di Simona Colarizi.
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Con il suo ultimo saggio, edito per Laterza, la storica Simona Colarizi, allieva di Renzo de Felice, ha voluto delineare i fattori degenerativi dell’attuale stato politico e morale italiano, che di fatto sono gli stessi che hanno contraddistinto la Prima repubblica. Già dal titolo, Passatopresente, un vero e proprio neologismo, cui fa da pendant il sottotitolo Alle origini dell’oggi 1989-1994, si può capire ciò che l’autrice vuole far emergere, ovvero una soluzione senza continuità della storia politica italiana non solo dal punto vista diacronico, ma anche sociale, in cui la stessa classe politica non è altro che lo specchio della società italiana. Questa analisi la Colarizi la deduce da documenti storici inoppugnabili che sono gli atti delle sedute parlamentari e gli articoli dei maggiori quotidiani del periodo storico analizzato, secondo i tre concetti della metodologia storica: cronologica, geografica, filologica. 

La Seconda Repubblica, che secondo la pubblicistica italiana è nata nel 1994 sulle ceneri della prima che fu spazzata via dal Tangentopoli, di fatto si porta ancora  dietro i “caratteri dominanti” del vecchio sistema politico. L’autrice individua tre vecchi motivi di crisi che determinarono l’allora instabilità politica e che sono contigui con la crisi del sistema politico italiano attuale: l’ingresso nella moneta comune europea, ratificata con il Trattato di Maastricht nel 1992, che ha portato alla nascita del fenomeno “politico-sociale” del populismo di stampo nazionalistico e antieuropeo; la sfiducia, che può essere imputabile direttamente al punto precedente, per le varie compagini politiche, che di fatto già era presente nei primi anni ’80, ha creato i movimenti di base per il populismo che, crescendo pian piano, ha avuto il suo apogeo nelle elezioni politiche del 2018 con il massimo risultato elettorale raggiunto dal Movimento Cinque Stelle; l’esplosione del debito pubblico maturato durante gli anni ’70 che, di fatto, è diventato un problema endemico.

Renzo de Felice

Questi tre fattori di crisi si sono sovrapposti ad una fase di trasformazione legata allo scenario geopolitico dopo la caduta del muro di Berlino e la successiva dissoluzione dell’Urss. In questo contesto l’Italia fu l’unico paese occidentale in cui “l’effetto fu devastante” a causa di due motivi: la sua natura geografica, per la quale veniva considerata un paese di  frontiera della Nato, data la sua posizione proiettata nel Mediterraneo; la presenza del Partito Comunista italiano, il più grande partito comunista d’Europa per numero di iscritti e per la sua capillare organizzazione strutturale sul territorio. La somma di questi due fattori avevano garantito, per quasi cinquant’anni, un equilibrio politico e sociale che, come lo definì Enrico Perotti, accademico alla London School of Economics, in un articolo sul Corriere della sera del 7 giugno 1992 , era “l’anticamera del socialismo reale”. 

Qualche anno prima, precisamente  nell’89, Scalfari, dalle pagine della sua la Repubblica, si era spinto addirittura oltre, arrivando a definire i partiti della maggioranza di governo,  una “nomenklatura corrotta” come quelle dell’Urss. In sintesi, il cattolicesimo di stampo liberista-clientelare, fenomeno tutto italiano, si era mischiato con il realismo marxista più ortodosso. A suffragio di questa tesi era il dato ineccepibile che lo Stato controllava direttamente  o partecipava per un 40 % nell’azionariato delle grandi industrie e addirittura al 100% nel settore bancario. Ma con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Urss, la strategia geopolitica nel Mediterraneo degli Usa lasciò l’Italia ai margini. La stessa trasformazione del Pci in Pds , aveva di fatto, sentenziato anche la fine della Dc, ormai inconsistente perché il nemico rosso  era svanito. L’accordo di Maastricht del ’92, a seguito del quale le politiche economiche nazionali passarono de facto in gestione alle istituzioni della Comunità europea, fu solo il de profundis per la fine di questa politica di bilanciamento delle due forze politiche in Italia e che comportò anche la fine delle politiche di sviluppo del Welfare State. Politiche sociali che, se da una parte avevano avuto lo scopo di accontentare le classi sociali elettrice di ambo le parti, avevano avuto l’effetto di provocare un altissimo debito pubblico e “con l’entrata dell’Italia nella moneta unica europea tutti i nodi sarebbero giunti al termine”.

A questo, a detta della Colarizi, va sommato il fattore populismo, elemento fondamentale  per interpretare tutta la fase della politica italiana dagli anni ’80 ad oggi, dove fenomeni populisti quali il giustizialismo, il razzismo, le reminiscenze antipartitica, continua avversione verso il fattore istruzione:

“Un magma antidemocratico e qualunquista era sempre esistito in una democrazia giovane come l’Italia, ma le responsabilità di averlo fatto lievitare pesa sulle forze politiche che hanno abbattuto la prima repubblica.”

Questo era dovuto ad una superficialità intellettuale, caratteristica comune nella cultura italiana. Un caso emblematico fu il referendum dell’Aprile dell’89 in cui veniva chiesto se i cittadini italiani fossero d’accordo se entrare o meno nella Cee. Il risultato di un vero e proprio plebiscito in favore dell’Unione europea con l’88 % del si. La stampa aveva tuonato che la febbre dell’Unione europea poteva essere controproducente sia per l’Italia che per la tessa neo istituzione europea: il 5 giugno dell’89 Montanelli scrisse sul Giornale che che l’Italia rischiava di portare in Europa tutte le sue deficienze  sia pratiche che morali, in primis quello di esportare la mafia;  poco più di un mese dopo, Eugenio Scalfari su la Repubblica, con un editoriale intitolato L’arrogante, il profeta, la cassandra…, avvertiva quasi profeticamente  che, da come si stavano mettendo gli scenari, era quasi sicuro che la nuova istituzione si sarebbe fondata quasi  esclusivamente solo su politiche economiche liberiste. Secondo la storica, queste analisi erano state del tutto inascoltate sia dalla classe politica che dai cittadini:

“Tutti ragionamenti che avrebbero richiesto però una maggiore attenzione da parte dei cittadini e una maggiore preparazione da parte dei politici sulle vicende europee ( come su quelle internazionali)”.

Quella ipocrisia di un falso senso comunitario da parte degli italiani venne sbugiardata di fronte ad una sempre maggiore crescita dei flussi migratori dall’Africa sulle coste della Sicilia. Tanto che nell’89  il governo varò un decreto legge, che portava la firma di Martelli, in cui venivano stanziati 200 milioni per l’accoglienza dei migranti di primo soccorso. Nella successiva discussione parlamentare, che si tenne il 20 ottobre, i deputati del Msi: Olindo del Donno e Giulio Baghino, giustificarono  legittimi gli atti di violenza a sfondo razziale commessi da parte di alcuni italiani contro i migranti perché, a detta loro, gli africani “erano degli invasori” che avrebbero tolto i lavori agli italiani. Nella loro prolusione alla camera del Parlamento, i due missini proposero un blocco navale nel Mediterraneo come unica soluzione per bloccare l’immigrazione: “nel Mediterraneo mai per far si che non giungono nel nostro paese profughi per bloccare dall’Africa settentrionale e centrale”. Pulsione razziale che ebbe il suo massimo acume di fronte all’improvvisa ondata migratoria proveniente dall’Albania sulle coste della Puglia nel ’91, che nell’opinione pubblica venne denominata come “l’invasione degli albanesi”.

La Colarizi sostiene che un aiuto, seppur involontario, alla delegittimazione della politica nell’opinione pubblica nei confronti della vita politica del proprio Paese fu la comunicazione  e in modo particolare nel mezzo televisivo. Un ruolo di protagonista di questa stagione, lo ebbe Michele Santoro  con la trasmissione “Samarcanda ” su Rai 3 , dove di fatto organizzò una guerra mediatica contro la classe politica:

“Stampa e televisione avevano costruito e alimentato la favola di una società civile, dominata per quasi mezzo secolo da partiti corrotti, collusi con la criminalità organizzata, colpevoli di avere dilapidato le risorse economiche e persino di aver trasformato contro le istituzioni democratiche”.

Proprio nel contesto del populismo nacque lo stereotipo di una cesura morale tra rappresentanza politica  malata e dall’altra parte una società sana, portatrice di sani valori morali, ma che in realtà anche questa aveva la stessa patologia della sua classe politica: “…una cittadinanza afflitta degli stessi mali dei suoi governanti…” , in cui fenomeni quali il clientelismo, diffuso in tutte le organizzazioni sia private che pubbliche, l’assenteismo, l’obiettivo del posto fisso, non erano altro che i sintomi di malattia, che fanno ipotizzare alla Colarizi di non “esserci alcuna differenza tra passato e presente”. A questo fa da pendant l’utilizzo di un lessico sempre più sagace all’interno delle compagine politiche: “Democristiani, anche solo uno alla volta, suicidatevi tutti . Abbiamo tempo e pazienza. E voglia di godere.” Fax giunto presso la sede della Dc in via del Buon Gesù il 20 luglio del 1993 in seguito al suicidio in carcere di Gabriele Cagliari, ex numero di uno di Eni. 

Passatopresente (Laterza) di Simona Colarizi

Risulta evidente che lo scandalo Tangentopoli del ’92 fu solo uno dei tanti casi di una lunga coda fatta di corruzione tra imprenditoria e sistema politico. Già a partire dal 1973 un gruppo di magistrati appartenenti alla corrente “Magistratura democratica”, vicina al Pci, con una serie di indagini riuscirono ad accusare due ministri in quota DC, Gui e il segretario del PSDI ( Partito Socialdemocratico) Tanassi. Lo scandalo fu talmente grande che l’allora capo dello Stato, Giovanni Leone, fu costretto a dimettersi. Lo stesso Sciascia trasse ispirazione da queste vicende di malaffare per il suo romanzo Todo Modo. Dai banchi dell’opposizione il Pci coniò  lo slogan del “governo degli onesti”, creato ad hoc per la propaganda elettorale alle elezioni politiche del ’76.

Nel 1983, con l’imprevisto arresto del presidente socialista della Liguria Alberto Teardo con l’accusa di concussione e associazione a delinquere di stampo mafioso, si intravidero i primi scricchiolii all’interno del Partito  socialista, che poi culmineranno nove anni dopo con Tangentopoli. Craxi definì le indagini della magistratura come una battaglia politica effettuata dalla magistratura stessa per compromettere il risultato alle prossime elezioni, che si  sarebbero svolte da lì a breve. Quelle dichiarazioni del segretario socialista provocarono la scintilla nei confronti della stampa, che da quel caso si concentrò in una serie di inchieste giornalistiche e di titoli sui quotidiani contro il Psi, definendolo un partito di corrotti  e corruttori e che ebbe il suo acume con il famoso monologo di Beppe Grillo a Fantastico accusando i dirigenti del Psi di essere dei corrotti. Con la dichiarazione di Craxi nei confronti della magistratura in sostegno di Teardo , venne inaugurata anche la guerra tra politica e magistratura. Ma l’opinione pubblica patteggiava  apertamente per quest’ultima: e che si manifestò in tutta la sua evidenza con il biennio di Tangentopoli, dove il pool della Procura di Milano erano considerati dei veri e propri “salvatori della patria” contro la  malapolitica”.

Simona Colarizi

L’ultimo fattore endemico è il tema del debito pubblico, la cui salita esponenziale era un vero e proprio salasso per i conti pubblici. Il ministro del bilancio del governo Craxi (1983-87), Bruno Visentini,  aveva cercato di programmare una riforma per ridurre la spesa pubblica, che però fu contrastata dalla Cgil perché prevedeva che il prelievo fiscale sarebbe gravato per il 75 % sui lavoratori dipendenti e sui pensionati. In quel contesto, la Colarizi tiene a sottolineare, si formò  una vera e propria associazione “anti-fisco”, organizzata da un gruppo di accademici che comprendevano diverse categorie lavorative autonome e partite iva, “nelle cui file vi era sempre annidata la più alta percentuale di evasori, non investiva quasi mai in attività produttive, ma comprava titoli di Stato da cui ricavare una sicura rendita”. Di fatto mancava la volontà da parte del governo e delle forze politiche della maggioranza  (Pentapartito) di tagliare la spesa pubblica; l’unico e vero scopo era mantenere elevato il consenso per il bacino elettorale, come denunciò Alfredo Reichlin nella seduta sull’approvazione della finanziaria del 20 gennaio del 1986 alla Camera, in cui accusava senza mezzi termini di: “aver contribuito il consenso sulla base dello scambio perverso con le risorse dello Stato”. 

Il mito di un’Italia costituita da italiani che appartenevano a due categoria morali, di prezzoliniana memoria, era per la Colarizi un falso mito che si era erroneamente diffuso nel senso comune dell’opinione pubblica. Una società civile con dei sani principi civici e morali e una classe politica che non era degna di rappresentarla. A sostegno di tale tesi viene riportato l’intervento parlamentare della deputata Ceci del Pci l’8 maggio dell’89 in occasione del voto sulla proposta di legge fiscale per inserire il pagamento dei ticket sanitari, quando il Pci minacciò lo sciopero generale, in cui considerò che l’Italia della piazza era “un’Italia matura e sofferente, ma anche insofferente dell’arroganza e della superficialità“.

Nel 1824 Giacomo Leopardi così descriveva la società italiana, anche se formalmente l’Italia era ancora un’utopia:

“Gli spettacoli, e le Chiese sono le principali occasioni di società che hanno gli italiani…Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari alle altre. Il popolaccio italiano è il più cinico dei popolani. L’Italia è  in ordine alla morale, più sprovveduta di fondamenti che di alcun’altra nazione europea e civile. Gli usi e costumi in Italia si riducono generalmente a questo, che ciascuno segue l’uso e costume proprio, quel che egli sia”.

Un’analisi sociologica tutto sommato simile a quella che ha descritto Simona Colarizi nel suo saggio.

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