OGGETTO: Guerra spionistica mondiale
DATA: 06 Aprile 2024
SEZIONE: Recensioni
FORMATO: Letture
Il libro di Alberto Bellotto e Federico Giuliani, "La guerra delle spie. Washington contro Pechino", offre un'immersione dettagliata nel confronto tra le due superpotenze nel campo dell'intelligence. Attraverso un ampio utilizzo di fonti documentarie e un contesto storico ben definito, gli autori tracciano un quadro esaustivo della sfida tra USA e Cina, esaminando anche le implicazioni politiche, economiche e strategiche. Con un focus particolare sulle metodologie di spionaggio cinese e sulle risposte statunitensi, il libro si presenta come un indispensabile contributo alla comprensione di questa "guerra" moderna e altamente complessa.
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“La guerra delle spie: Washington contro Pechino”, pubblicato da Castelvecchi, con un’introduzione di Aldo Giannuli, si contraddistingue per un ampio utilizzo di fonti documentarie quali: testate internazionali occidentali e asiatiche, sia cartacee che online, testi accademici e saggi di studiosi di primo livello di relazioni internazionali. Il libro ha come scopo principale quello di descrivere in modo lineare la “guerra” in atto tra le due superpotenze nel campo dell’intelligence. Per fare ciò, gli autori inquadrano tale vicenda all’interno di un determinato contesto storico permettendo così di definire il testo come un vero e proprio saggio storico.

L’inizio di questa “guerra” si ebbe con il collasso dei paesi dell’Europa dell’Est facenti parte del Patto di Varsavia e con la susseguente disgregazione dell’URSS. Gli Stati Uniti, oltre alla facile vittoria ottenuta nella Prima guerra del Golfo, si autoconvinsero che il loro modello politico e militare fosse l’unico paradigma unipolare di potenza mondiale. Secondo gli autori, «il culmine di questa ubriacatura» di onnipotenza degli Stati Uniti si manifestò il 9 marzo del 2000, quando l’allora presidente Bill Clinton pronunciò un discorso alla John Hopkins University, definito sempre dagli stessi autori “un discorso manifesto“, in cui commentava il prossimo ingresso della Cina nel Wto, avvenuto nel 2001. Clinton asserì che con l’ingresso nel Wto della Cina, quest’ultima avrebbe importato diversi beni mobili provenienti dagli Stati Uniti, insieme ai valori democratici occidentali, secondo l’equazione che equipara liberalismo economico a democrazia. Ex post, quell’analisi di Clinton fu lapalissianamente errata. Giuliani e Bellotti scrivono che «i due decenni successivi furono la conferma plastica di quanto quell’idea e quella sbornia fossero sbagliate, ma soprattutto di quanto quel sogno “americano” unipolare fosse pura illusione oltre che l’anticipazione di un incubo a occhi aperti per gli americani» (pag. 15).

Le date simbolo di questa percezione di perdita della sicurezza furono: l’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 e l’assalto al Capitol Hill del 6 gennaio 2021. In questi vent’anni, i cittadini americani hanno acquisito consapevolezza dei limiti strutturali delle strutture di intelligence e di sicurezza, dove la Repubblica Popolare Cinese è riuscita a inserirsi. Le diverse agenzie statunitensi di intelligence, come FBI, CIA e NSA, dopo la caduta dell’URSS, hanno ristrutturato il proprio organico, tagliando diverse risorse umane.

Dopo l’11 settembre “il confronto tra le intelligence” è diventato una vera e propria attività diplomatica a tutti gli effetti. Un esempio a cui fanno riferimento è stato il viaggio di William Burns, direttore della CIA, nel novembre del 2021 a Mosca per definire le conseguenze di un’invasione della Russia in Ucraina. Lo stesso Burns che nel 2023 volò anche in Cina per cercare di definire le linee militari e di intelligence tra i due paesi, con lo scopo di scongiurare un conflitto.

Il motivo nell’individuare all’interno della società americana la Cina come nemico sistemico degli Stati Uniti è causato dal declino del commercio globale della produzione industriale dell’economia statunitense, dovuto all’espansione nei mercati globali delle aziende cinesi e dal suo mercato del lavoro a basso costo. Un altro fattore scatenante è stata la decisione della Cina di espandere il loro mercato attraverso la “Belt and Road Initiative” nel 2013, che ha avuto la conseguenza di far temere all’amministrazione Obama di mettere in discussione l’ordine globale sotto l’egemonia statunitense. Così ha avuto inizio una competizione di tipo strategico e militare, cominciata sotto la presidenza Obama che è continuata con il suo successore Trump, che ha dato inizio a una “guerra totale” con la Cina, sia dal punto di vista commerciale, con i dazi sull’acciaio importato dalla Cina, poi contro la multinazionale delle telecomunicazioni Huawei e che ebbe il culmine con le polemiche di Trump per la diffusione del Covid-19. Con Biden, sottolineano gli autori, l’atteggiamento nei confronti della Cina non è mutato rispetto all’amministrazione Trump. Sotto Biden vennero arruolati, nei vari staff dell’esecutivo, diversi falchi anti-Pechino, come Katherine Tai, rappresentante per il commercio per gli Stati Uniti; Jack Sullivan, come consigliere alla sicurezza nazionale e in ultima posizione Kurt M. Campbell, in qualità di coordinatore di una task-force creata ad hoc, la Indo-Pacific-co. Gli autori, coniando una nuova locuzione («clima di guerra civile fredda tra destra e sinistra»), sulla situazione socio-politica negli Stati Uniti, capeggiata dal Partito Repubblicano e da quello Democratico, sostengono altresì che un fattore che unisce le due fazioni è il nemico comune, la Cina.

Roma, Luglio 2023. X Martedì di Dissipatio

Per le agenzie statunitensi, il 2020 è stato l’anno della svolta, sulla sfida alla lotta contro la Cina. In primis con l’arruolamento di agenti operativi, che parlano fluentemente il cinese mandarino e sono localizzati in network dedicati alla Cina. La stessa Repubblica Popolare, che nel 2010 ha smantellato il network di agenti statunitensi a Pechino. Bellotti e Giuliani ritengono che il valore aggiunto sia stato la designazione di William Burns a direttore della CIA.

Oltre a questi preliminari di carattere metodologico in cui viene delineato il contesto affrontato dalle due superpotenze, il saggio descrive dettagliatamente la struttura dell’attività di intelligence della Repubblica Popolare Cinese. Bellotto e Giuliani riportano un passaggio dello storico di Harvard Calder Walton, autore di “The Epic Intelligence War between East and West”, in cui si evidenziano le differenze nelle regole di ingaggio dell’intelligence cinese rispetto a quelle occidentali. Mentre nell’Occidente viene garantita massima libertà per l’acquisizione di dati di carattere militare, tecnologico e commerciale, in Cina si fa largo uso di una diffusa sorveglianza, con sistemi come il riconoscimento facciale, il controllo delle app e la videosorveglianza, caratterizzando una cultura dell’intelligence all’interno della società cinese. Questa cultura è stata formalizzata con una legge, la National Intelligence Law of the People’s Republic of China del 2007. Gli Stati Uniti sostengono che la strategia dell’intelligence cinese consista nell’utilizzare la fusione tra il settore civile e militare, il cosiddetto Jumin runghe, con l’obiettivo di ridefinire l’ordine mondiale. Tra le aziende che potrebbero rispondere a questa strategia si citano la ZTE, la Hivision e infine TikTok, tutte leader nei rispettivi settori, ma secondo Washington potenziali strumenti di spionaggio che sfruttano i propri utenti come spie inconsapevoli. Tuttavia, secondo gli autori, tali accuse sono “spesso ipotetiche“.

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