Uno dei principali esercizi del mantenimento del potere sussiste nel giustificare intellettualmente sè stesso e la sua necessità come argine contro la barbarie. Questo principio hobbesiano trova una peculiare conferma nell’esercizio del quarto potere nella odierna società, anche se lo scopo di tale articolo è di prendere in considerazione una infinitesima parte del tentacolare assetto mediatico degli Stati odierni. Partendo dal presupposto che il potere non cerca più un supporto strutturale nelle conoscenze umanistiche, poiché il suo legame è molto più forte con l’analisi e il dominio analitico, esse comunque fungono da meccanismo retorico di influenza mediatica. Le materie umanistiche assumono un ruolo eristico totalmente svuotato del principio guida veritativo e recesso a questione estetica dove il relativismo costituisce l’unico assunto primario. Tutte le discipline umanistiche hanno subito questo triste destino già reso chiaro illo tempore da Bobi Bazlen nei suoi Scritti (Adelphi)
“L’Ancora dell’umanesimo è affondata nella merda”
Ma questo cadavere non è stato seppellito poiché conserva una pragmatica utilità comunicativa e perciò è stato sottoposto ad un curioso intervento per omaggiare Frankenstein di Mary Shelley: continua a parlare. La voce (senza scomodare Carmelo Bene) tra l’altro assume una credibilità e molto spesso viene dalla nostra cucina o sala, la Televisione ne è il principale mezzo. Stiamo attenti però! L’esperimento orribile con i pezzi di cadavere non è la TV, lei è Frankenstein, i suoi ospiti sono il mostro. Letterati, storici, artisti e filosofi e qualunque altro umanista che appare in televisione, se sono fortunati o intelligenti, appaiono raramente perché sanno di essere al patibolo. I meno intelligenti invece si adagiano nel comodo sistema del quarto potere, diventano, al meglio, dei buffoni, al peggio dei megalomani.
Vorrei prendere in considerazione un elemento specifico (pur sapendo che è perfettamente sostituibile con tutti gli altri umanisti): il filosofo. Ciò che oggi si presenta tramite il piccolo schermo con tale epiteto ci riporta alla incredibile attualità dei dialoghi platonici del “Gorgia” e del “Protagora”, dove Platone dialetticamente contestava le finalità oscure e politicamente schierate di filosofi che piegavano la loro materia a retorica connivente con il potere politico.
“Dunque, il retore e la retorica si trovano in questa posizione rispetto a tutte le altre arti: non c’è alcun bisogno che sappia come stiano le cose in sé, ma occorre solo che trovi qualche congegno di persuasione, in modo da dare l’impressione, a gente che non sa, di saperne di più di coloro che sanno.”
(Gorgia)
I filosofi della televisione hanno compiuto una scelta di denaro e di potere ancor prima di una scelta filosofica. Dopo secoli di studi filosofici, la contemporaneità ha maturato una quantità di volumi e critiche, saggi che il solo paragone, raffronto critico, speculazione e meditazione richiederebbero un ciclo di conferenze, altri scritti sul tema e articoli estremamente complessi. Nessuno di tali studi si potrebbe ricondurre alle tempistiche da slogan della televisione, perlomeno non quella attuale. Proprio per questo, per il filosofo si presuppongono due destini di fronte a sé: l’Incomprensione e/o la Banalità. Ma un filosofo che sa di essere travisato per quale motivo andrebbe in un contesto tale? O è poco intelligente o ha bisogno di soldi. Queste modalità depauperano immensamente la materia, poiché non fanno altro che confermare il fatto che essa sia “aria fritta”. Lo Slogan banale, la frase fatta, il concetto da lezione introduttiva di filosofia, la provocazione sull’argomento dei diritti, diventano solo dei meccanismi retorici di convincimento: essi sono dispositivi.
“Quel che definisce i dispositivi con cui abbiamo a che fare nella fase attuale del capitalismo è che essi non agiscono più tanto attraverso la produzione di un soggetto, quanto attraverso dei processi che possiamo chiamare di desoggettivazione. […] quel che avviene ora è che processi di soggettivazione e processi di desoggettivazione sembrano diventare reciprocamente indifferenti e non danno luogo alla ricomposizione di un nuovo soggetto, se non in forma larvata e, per così dire, spettrale.”
(Agamben, Che cos’è un dispositivo. Nottetempo 2006 pp.30/31)
In tale contesto di disposizione linguistica, permeato delle logiche di potere, si sviluppa il senso definitivo dell’Antifilosofia intesa come sincera ricerca della verità. L’antifilosofo si nutre dell’aura che suscita e che cresce dal suo essere presentato come tale, ad un ascolto attento presenta la sua vacuità. Ecco i quattro tipi principali di anti filosofi che popolano la televisione:
Potremmo andare avanti in una sequela infinita di definizioni in negativo di quel che la comunicazione di massa stia producendo. Infatti i Social Media non sono del tutto avulsi da tale rischio. La televisione esercita tutta la sua funzione di dispositivo per produrre un mostro metafisico che rischia di espandersi nelle menti di chi ha meno strumenti mentali per difendersi. In questo contesto, facendo leva su meccanismi semplici e semplificanti, il dominio e la logica di potere si insinua. Lo stesso Papini del Crepuscolo dei Filosofi (1906) forse avrebbe provato pena nel vedere un tale scempio verso la categoria, poiché tale attacco è ben più micidiale della feroce critica da lui esposta, che ha sempre una funzione dialettica e rigenerativa. L’Umanista da TV, sia esso filosofo, poeta, scrittore, storico e così via, non ha altro scopo che l’ umiliazione, oltre che di sé stesso, di chi mette passione nello studio e nella cultura. Ma ancor peggio, non ha altra funzione che di disporre finti argomenti per persone poco acculturate, per mantenerle nel recinto del controllabile e del dominabile, con una giustificazione pseudo filosofica.