OGGETTO: La terroristizzazione della Palestina
DATA: 11 Luglio 2024
SEZIONE: Geopolitica
La retorica che ha guidato le mosse israeliane degli ultimi anni è una e una sola: demonizzare il nemico confinante, partendo dalla sua classe dirigente. Un gioco pericoloso che si è rivoltato contro i propri ideatori. Così ora Tel Aviv è finita in un cul-de-sac strategico "troppo serio per essere lasciato ai politici".
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Nonostante il recentissimo e un po’ ipocrita riconoscimento da parte di alcuni Stati europei (e non) della Palestina, un autentico Stato palestinese non esiste e non esisterà mai, se non sulla carta. Il problema non risiede tanto nella divisione geografica e politica delle due entità (Striscia di Gaza e la cosiddetta Cisgiordania) ma dalla costante espansione delle colonie israeliane che hanno scientificamente suddiviso il territorio oltre la cosiddetta Linea Verde in tre distinte zone, di cui solo l’area A è effettivamente sotto il controllo dell’Autorità Palestinese. Un mosaico in cui i centri abitati e le zone rurali sono frazionati difficilmente può diventare uno Stato, tanto meno finché i coloni – attualmente settecentomila, quasi il 10% dell’intera popolazione israeliana – l’abiteranno e nessun governo di Gerusalemme accetterà mai di sgomberarli con la forza.

Sharon sale al potere proprio quando gli accordi di Oslo – che portarono all’istituzione dell’attuale Autorità Nazionale Palestinese – sono già falliti in gran parte per responsabilità di Arafat e in seguito all’omicidio di Rabin da parte dell’estremista di destra Yigal Amir, di cui l’attuale ministro della Sicurezza Nazionale Bern-Gvir tiene una foto in bella mostra nel suo ufficio.

L’idea di Sharon è fondamentalmente elementare: denigrare la dirigenza palestinese da autorità riconosciuta internazionalmente a branco di terroristi, negando così qualunque accordo, facendo semplicemente tornare indietro le lancette della storia. Il compito è facilitato dalla proliferazione delle milizie palestinesi che segnano in quegli anni la nascita di Hamas – se non inizialmente favorita, di certo auspicata dal governo Israeliano in quanto frammentazione islamista dell’unità della ANP, indebolendola dall’interno  – e dalla campagna d’attentati contro i civili. Sharon ha buon gioco nel rivendicare la stessa retorica della lotta contro il male di George Bush: dopotutto è uno Stato democratico in lotta contro spietati terroristi e per rafforzare questa tesi decide il ritiro unilaterale da Gaza che, da quel momento, rimarrà sotto il controllo di Hamas, mentre Netanyahu guadagna la guida del Likud nel 2006. Da questo momento le colonie ebraiche non cesseranno mai d’ampliarsi, manifestando l’impotenza di Abu Mazen e parallelamente aumentando il prestigio di gruppi come Hamas; alimentando la spirale di reciproca violenza.

Esiste, però, anche una parte d’Israele che dissente da questa politica di demonizzazione, comprendendo come faccia parte dell’interesse nazionale favorire la creazione d’un vero Stato Palestinese come parte essenziale nella creazione d’un sistema di sicurezza condiviso con cui dialogare e come atto propedeutico per normalizzare i rapporti con il mondo arabo e islamico; ma nel frattempo scoppiano le “primavere arabe” e la devastante guerra civile in Siria. A molti pare preferibile chiudersi dentro un alto muro e rifiutarsi di trattare con i “terroristi”. L’America è stata attaccata da Bin Laden perché difende il “mondo libero” mentre Israele deve combattere per sopravvivere contro nuovi e pericolosi nemici (Hamas, Jihad Islamica, al-Qaida, Hezbollah e, per ultimo, lo Stato Islamico); quindi entrambi sono vittime e chiunque parli d’integrazione, di Stato Palestinese è per forza un amico dei terroristi. Israele non lotta più contro un popolo che aspira a uno Stato ma con il postmoderno analogo dei nazisti in carne e ossa; coloro che aspirano a instaurare un califfato globale. L’opinione pubblica si sposta in massa a destra e la demografia stessa, dopo decenni di sussidi ed esenzioni per le comunità degli haredim, portano al governo le formazioni ultra-ortodosse. Aumenta la polarizzazione e, quindi, ricapitolando: gli islamisti diventano a tutti gli effetti nazisti per gli “amici d’Israele”;  mentre nazisti sono gli israeliani per i simpatizzanti dei palestinesi con conseguente fine della “laicità politica” per entrambi i contendenti.

Roma, Marzo 2024. XVI Martedì di Dissipatio

Il devastante attacco del 7 Ottobre rilancia questa retorica con inaudita forza. Non solo le guarigioni vengono subito sopraffatte, ma migliaia di cittadini vengono uccisi e rapiti. È l’ennesima riprova agli occhi del mondo che i terroristi sono belve assetate di sangue con le quali non si può trattare e che rinviare sine die la creazione d’uno Stato palestinese sia l’unica scelta sic stantibus rebus. Da ciò consegue che solo dopo la completa eradicazione di Hamas se ne possa discutere mentre, a ben vedere, è stata proprio l’assoluta ostilità dei governi israeliani all’ANP a sgombrare il campo ai gruppi armati in una Striscia trasformatasi nell’ultima ridotta della resistenza palestinese. Ma il danno d’immagine è persino peggiore e, se non si comprendono fino in fondo le conseguenze politico-militari dello smacco, non si può capire la successiva cieca e feroce rappresaglia in atto a Gaza.

Israele è l’unico Stato colonialista non-imperialista – con buona pace di tutta la retorica terzomondista dal ’68 in poi. Di fatto è una sorta di Stato-Fortezza; una guarnigione di cittadini-soldati perennemente sotto assedio, protetti da una cinta muraria e da armi sofisticate. Una nazione di coloni che, per loro stessa natura etnico-religiosa, non mirano ad assimilare e integrare come farebbe un impero e che deve peraltro costantemente mantenere un’elevata e potente deterrenza nei confronti dei vicini. L’aurea d’invincibilità che l’IDF si è costruita durante tutte le grandi “guerre simmetriche” combattute dal ’48 ad oggi serve a proteggerne gli abitanti. Nessuno deve permettersi di pensare di poter colpire Israele e farla franca ma, allo stesso tempo, è impossibile difendere tutti i confini da attacchi asimmetrici e proprio per questo si deve esercitare una spietata deterrenza.

L’attacco del 7 Ottobre, però, non solo ha gravemente incrinato il mito delle Forze di Difesa, dell’intelligence e della loro tecnologia bellica ma, soprattutto, ha portato il governo israeliano a esercitare una risposta di guerra diretta non solo inadeguata a raggiungere lo scopo ma, soprattutto demolendo l’immagine faticosamente costruita d’Israele nell’ultimo ventennio agli occhi del mondo. I terroristi sono da nemici da eliminare, su questo concordano quasi tutti i governi del globo, ma non tutti i palestinesi sono terroristi e nessun Stato confinante è disposto ad avvallare e affrontare una seconda Nakba; così la guerra a Gaza deve necessariamente proseguire per scelta politica mentre i vertici militari s’interrogano su come lo sforzo bellico non solo sia inconcludente e logorante per l’esercito ma anche incapace di risolvere il problema degli altri proxy iraniani – Hezbollah e Houti su tutti – che, legittimati dalla mattanza a Gaza, agiscono in modo asimmetrico ma coordinato provocando gravi danni all’economia del Paese, rafforzando anche il loro status ben oltre il mondo islamico.

Per tutta questa serie di motivi il governo di Netanyahu ora si trova in un cul-de-sac strategico, perché ritirarsi da Gaza senza gli ostaggi e la cattura d’ogni membro di Hamas equivarrebbe a una cocente sconfitta ma, allo stesso tempo, non può neppure pensare d’affrontare gli altri suoi nemici finché è ingaggiato nella Striscia.

Israele sembra quindi condannato a ripetere i suoi stessi errori e, non potendo rinculare finché la sua deterrenza non sia stata ripristinata, può solo cercare d’espandere il conflitto costringendo gli Stati Uniti a intervenire – come del resto ha timidamente provato bombardando il compound dell’ambasciata iraniana a Damasco, stanando il suo vero nemico esistenziale. Un azzardo rischiosissimo che porterebbe Netanyahu a disobbedire a Washington – come del resto fece a suo tempo Sharon con Begim nel ‘82 superando il Litani e puntando su Beirut – ma che incendierebbe l’intero Medioriente con conseguenze potenzialmente devastanti per l’esistenza stessa d’Israele. Una guerra che, rovesciando la massima di Clemenceau, si fa ogni giorno “troppo seria per essere lasciata ai politici”. Il preambolo della Terza Guerra Mondiale.    

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