In uno dei suoi romanzi, non ricordiamo quale, Henry Miller dice che gli scrittori più sinceri e preziosi sono quelli che nella vita esercitano la professione di medico. Fa gli esempi di Rabelais, Cechov e Céline: esperti di sofferenze umane, intenti a lenire quotidianamente il dolore altrui, non potevano che scrivere qualcosa di indispensabile, salutare, salvifico. È questa una verità che dovrebbe valere anche per un medico che non scrive letteratura ma saggi, purché sia medico non solo del corpo ma sia tanto sapiente da non trascurare anima e spirito. Così fu Ita Wegman e lo dimostra la lettura dei saggi raccolti, tradotti e devotamente curati da Giancarlo Roggero per le Edizioni Arkeios sotto il titolo Discepoli nella luce di Michele.
La Wegman nacque nel 1876 da famiglia olandese sull’isola di Giava e all’alba del nuovo secolo. Diplomatasi ginnasta, era tornata in Europa, a Berlino. Fu lì che, nel 1902, dopo aver appreso anche l’arte del massaggio svedese, mossa da ancor vaghi impulsi mistici, prese a frequentare le conferenze della Società Teosofica e conobbe così Rudolf Steiner. L’uomo al quale fu idealmente e spiritualmente fedele per il resto della sua vita non solo la accettò come allieva di studi esoterici ma, sapiente di vocazioni inespresse, la indirizzò verso studi accademici di medicina. Così la Wegman, volitiva trentenne, si rimise sui libri per ottenere la laurea e, quando ci riuscì, dalla Svizzera si pose “al servizio della medicina secondo gli insegnamenti del dottor Steiner”. Lo fece appunto considerando l’uomo non mero assemblaggio di carne, nervi ed ossa, ma essere tripartito in corpo, anima e spirito, come sapevano gli antichi fino a Paolo di Tarso. Lo fece fondando, nel settembre di cento anni fa, una clinica che esiste ancora ad Arlesheim, nei pressi di Dornach, dove il suo maestro stava facendo costruire il Goetheanum, moderno tempio dell’uomo.
Quel tempio in legno andò dolosamente a fuoco nella notte di San Silvestro tra il 1922 e il 1923. Di fronte al rogo, accanto a Steiner, la Wegman sentì affiorare ancor più l’urgenza di donare e svelare i nuovi misteri a beneficio dell’umanità in pericolo. Come la notte in cui andò a fuoco il tempio di Artemide ad Efeso secondo la leggenda vide la luce Alessandro Magno, dal disastro di Dornach nacque una Wegman ancor più consapevole e decisa nel votarsi al Cristo e al prossimo. Negli ultimi mesi di vita del dottor Steiner, che lasciò il corpo fisico nel marzo del 1925, i due scrissero insieme, senza purtroppo portarlo a termine, il testo basilare per “l’ampliamento” della medicina secondo le basi conoscitive occulte. Ampliamento, appunto, e non opposizione alla scienza medica ufficiale, come ben sanno i tanti medici che ancor oggi nei cinque continenti curano ispirati da quel libretto e da un pugno di conferenze che Steiner donò ai loro predecessori, colleghi e collaboratori della Wegman. Lei, dopo la dipartita del maestro, entrò presto in conflitto con la dirigenza del nuovo Goetheanum, ricostruito in cemento armato e non più tempio ma sede della “Libera Università della Scienza dello Spirito”.
Libera però sempre meno, dato che la Wegman venne espulsa perché non si limitava al ruolo di passiva seguace e ripetitrice di contenuti antroposofici comunicati da Steiner ma nelle sue conferenze pretendevadi donare il frutto di suoi studi indipendenti. La Società Antroposofica cerchò anche, con scarsi risultati, di convivere col regime nazista, fino alla persecuzione del 1935, mentre la Wegman aveva capito subito la natura demoniaca dell’hitlerismo, con cui era impossibile e criminale scendere a patti. Dopo aver animato gruppi antroposofici indipendenti, negli anni della Seconda Guerra mondiale la Wegman si stabilì nel Canton Ticino, aprendo una clinica di pedagogia curativa per bambini “bisognosi di cure d’animo” e una casa di cura intitolata a San Cristoforo in quel di Ascona. Colpita da una grave forma influenzale e quasi in fin di vita, ancora chiedeva preoccupata notizie sul conflitto in corso, prevedeva nuove patologie future come effetti tardivi di tutto quell’odio e riuscì, prima di lasciare il corpo fisico nel 1943, a percepire lo spazio e il tempo nella loro realtà. La Wegman fu una degna allieva di Steiner anche nel culto, non sentimentale ma spiritualmente oggettivo, verso l’Arcangelo Michele, entità che vuole “restituire all’uomo la coscienza del mondo sovrasensibile” e suggerisce un nuovo atteggiamento nei confronti del male, che non va soltanto evitato ma “affrontato e vinto”, come scrive Roggero nella sua lunga ed erudita introduzione al volume che raccoglie i saggi dedicati proprio alla missione di Michele.
Ricorda la Wegman che l’Arcangelo solare agì in passato come combattente contro le forze oscure della materia. Prima ancora che la civiltà cristiana si figurasse questa lotta come quella di Michele contro il drago, quella persiana si figurò Mithra contro il toro e la babilonese Marduk contro la caotica Tiamat. Michele agì poi in seno al popolo ebraico risvegliando la coscienza dell’ “Io sono”, e ispirò ad Aristotele la saggezza di fondarsi sulla forza del pensiero, essendo ormai gli uomini talmente entrati nella materia da non aver più contatto diretto con le Gerarchie spirituali. Dopo il sacrificio di Cristo è però possibile la consapevole e volontaria risalita, in particolare dalla fine dell’800, poiché da allora, come succede ciclicamente, Michele non è solo arcangelo solare ma anche spirito del tempo. Ora grazie a Lui l’uomo arricchito dalle conquiste della scienza e dalla libertà dell’autocoscienza può e deve recuperare la sua origine e natura spirituale. Si può ritrovare la via verso le altezze, uscendo dagli inferi come Persefone, protagonista di un dramma che la Wegman scrisse con Walter Johannes Stein nel 1930, parzialmente riprodotto in questo volume così prezioso, salutare e salvifico in un 2020 tanto buio e segnato dal dolore.